Continua il dibattito sulle sanzioni: «Applicazione debole»
Ammonta a 7,5 miliardi di franchi il valore dei beni russi congelati dall’inizio dell’applicazione delle sanzioni dalla Confederazione. Ad affermarlo è stata la SECO settimana scorsa. L’Associazione svizzera dei banchieri, però, stima che nelle banche svizzere risiedano beni russi per 150-200 miliardi di franchi. Le sanzioni nei confronti della Russia non sono applicate in maniera coerente in Svizzera, denuncia il Partito socialista, attaccando il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca. «Le cifre sono interessanti», commenta il professor Kern Alexander, titolare della cattedra di Diritto dei mercati finanziari dell’Università di Zurigo e professore di Regolamentazione bancaria. «Sembrano davvero indicare una mancanza di capacità di applicare le nuove sanzioni», aggiunge il professore, con il quale abbiamo parlato delle critiche, sorte (soprattutto a sinistra della scacchiera politica) sull’applicazione delle sanzioni nei confronti della Russia dopo i tragici eventi del 24 febbraio in Ucraina.
Secondo voci come quella di Rudolf Strahm, intervistato la settimana scorsa da Le Temps, i cantoni lamentano una mancanza di indicazioni chiare sul modo in cui procedere, e non è nemmeno chiaro chi sia responsabile dell’attuazione delle sanzioni. All’interno dell’Amministrazione, «il coordinamento è davvero deplorevole», ha affermato l’ex Mister Prezzi, già consigliere nazionale socialista. «Ci sono la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e quella per le questioni finanziarie internazionali (SFI)», ha ricordato Strahm, «ma la supervisione delle banche è di competenza dell’organo di controllo, la Finma. E quando ci sono sospetti di riciclaggio, è la Procura federale che deve agire». Ci sarebbe insomma parecchia confusione.
«È necessaria una task force internazionale», come quella creata dall’UE e dagli USA, «alla quale la Svizzera deve imperativamente partecipare». L’UE e gli USA hanno creato una task force di questo tipo. «La Svizzera deve assolutamente evitare di fermare il congelamento dei fondi russi quando la guerra è finita, o quando viene dichiarato un cessate il fuoco. Deve aspettare che ci sia una strategia internazionale per ricostruire l’Ucraina».
«Alle prime armi»
«La Svizzera è ancora alle prime armi in materia di sanzioni», afferma il professor Alexander. In seguito all’invasione russa in Ucraina, «dopo qualche tentennamento, la Confederazione ha deciso di seguire l’Unione europea, con la quale ha una relazione fragile, per dare un segnale. Ma un conto è avere severe norme sulla carta, e un altro è implementarle e farle rispettare». Ufficialmente è la SECO a occuparsi dell’applicazione delle sanzioni, ma, afferma Alexander, «si è ritrovata con questo peso sulle spalle senza aver grandi competenze in campo». Ciò che tende a rendere meno efficace il nostro sistema, aggiunge il professore, è che «in generale i cosiddetti reati dei colletti bianchi vengono perseguiti nell’ambito di un procedimento penale avviato dalla Procura. Per infliggere una condanna è necessario disporre di prove sicure. Questi procedimenti penali possono quindi durare anni e sono molto costosi. La Finma, la SECO e la SFI possono avviare dei procedimenti amministrativi, ma non possono infliggere nessuna pena». Se constatano violazioni penali le denunciano al Ministero Pubblico. Questo poi avvierà un ( lungo, appunto) procedimento penale. All’estero, invece, alcune autorità di vigilanza sul settore bancario e finanziario possono infliggere multe e addirittura sanzioni detentive. «In Svizzera la legge parla chiaro, ma l’applicazione è debole».
L’esempio britannico
Il Regno Unito – continua il professore – si trovava in una situazione simile alla Svizzera. «Poi, nel 2016, è stato creato l’Office of Financial Sanctions Implementation (OFSI, Ufficio delle sanzioni finanziarie), autorità del Tesoro britannico responsabile dell’attuazione delle sanzioni finanziarie. Da allora è stato svolto molto lavoro investigativo e le sanzioni economiche sono state applicate molto più severamente. La Confederazione ha bisogno di un organo simile». I singoli enti già esistenti potrebbero tutti farne parte, continua l’esperto: «La Finma ad esempio ha esperienza nel monitoraggio degli istituti bancari per quanto riguarda il riciclaggio di denaro. Un compito che non dista molto dal controllo sulle sanzioni. Per questo la Finma dovrebbe essere più coinvolta».
«Gli esperti internazionali analizzeranno i Pandora e Panama Papers in una nuova luce nel prossimo futuro», ha sottolineato a Le Temps Rudolf Strahm, che si dice «convinto che le indagini sull’applicazione delle sanzioni rimarranno un campo minato per la Svizzera. E per molto tempo». Kern Alexander vede anche altre possibili minacce all’orizzonte: «Le sanzioni secondarie, quelle che gli Stati Uniti hanno già detto di voler applicare a chi effettua transazioni con il destinatario delle sanzioni primarie».