Il caso

Cosa c'entra la legge «Don't Say Gay» con la Disney?

È battaglia aperta in Florida tra il governatore Ron DeSantis, che punta a diventare il «nuovo Donald Trump» nel 2024, e l'azienda che fa sognare grandi e piccini – Dietro questioni non proprio arcobaleno, più che altro politiche
Jenny Covelli
25.04.2022 21:02

Non «V», ma «RdS» per vendetta. Ovvero, Ron DeSantis. Il governatore statunitense del Grand Old Party, il Partito repubblicano, se l'è presa nientepopodimeno che con la Disney. E, come regalo per i cento anni dalla fondazione della compagnia, nel 2023, ha giocato un bello scherzetto. A partire dal 1. giugno del prossimo anno cadrà lo status speciale che da oltre cinquant'anni consente a Disney di governare in modo indipendente sull'area in cui sono presenti i suoi parchi divertimento. Addio distretto fiscale speciale. E, il tutto, è collegato alla discussa legge denominata «Don't say gay». Ma andiamo con ordine.

«Don't Say Gay»

Il 28 marzo Ron DeSantis, governatore repubblicano della Florida nonché tra i possibili candidati alla Casa Bianca nel 2024, ha firmato la legge promossa dal suo partito che proibisce di tenere lezioni sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere dalla scuola dell'infanzia alle elementari. La convinzione? «Dire "possono essere ciò che vogliono" non è appropriato per i bambini. I genitori mandano i loro figli a scuola per ricevere un'istruzione, non un indottrinamento». Il provvedimento, che entrerà in vigore il 1. luglio, è stato ribattezzato dai suoi critici «Don't Say Gay». Il timore è che il divieto possa contribuire all’emarginazione delle persone LGBTQ+. E che gli insegnanti - considerate le definizioni agli argomenti come «non adeguati all’età» e «non appropriati» allo sviluppo del bambino - finiscano per evitare categoricamente di parlare di identità di genere e orientamento sessuale anche oltre le scuole elementari, nel timore di finire in tribunale. 

Dipendenti in rivolta

La Florida è lo Stato dove ha sede il Walt Disney World Resort, in cui lavorano circa 80 mila persone. Proprio tra i dipendenti dell'azienda di Topolino si è alzata una voce di protesta contro il silenzio del CEO, Bob Chapek. Voci che si sommano a un discorso che si trascina da tempo. Con Disney spalleggiata tra le accuse di rainbow washing (la pratica, cioè, di «dipingere d'arcobaleno» i contenuti per convenienza nei confronti del mercato del pubblico, senza una reale convinzione) e quelle di eccessivo progressismo politically correct (vedi il senatore Simone Pillon in Italia). Se da una parte l'azienda, che si rivolge a un pubblico familiare, si è sempre tenuta su un profilo abbastanza conservatore nei confronti della «diversità»,  spicca la decisione di organizzare la prima parata del Pride a EuroDisney, in giugno. I personaggi LGBTQ+ nei prodotti, invece, sono spesso secondari oppure «interpretabili» agli occhi di chi li guarda, come nel recentissimo Luca. Gli animatori Pixar, in una lettera aperta, hanno lamentato di «storie bellissime ridotte a briciole dopo la revisione da parte di Disney» che «taglia quasi tutti i momenti di affetto gay esplicito». Tanto che le polemiche hanno portato alla decisione di ripristinare il bacio gay, inizialmente «censurato», nel film di animazione Lightyear - La vera storia di Buzz, in uscita a inizio estate, prequel di Toy Story.

E anche nel caso della legge «Don't Say Gay», insistentemente sollecitato (pure Human Rights Campaign, una delle più importanti associazioni americane a sostegno dei diritti civili, aveva rifiutato una donazione di 5 milioni di dollari in attesa di «un impegno concreto» da parte dell'azienda), il CEO ha finito per cedere e ha dichiarato di auspicare che la controversa legge venga abrogata oppure annullata da un giudice. Si è pure spinto oltre: ha deciso di sospendere le donazioni alle campagne elettorali in Florida. Non si tratta di pochi spiccioli: Disney ha donato circa 4,8 milioni di dollari ai candidati della Florida nel ciclo elettorale del 2020, secondo i rapporti finanziari della campagna elettorale. Durante il ciclo elettorale del 2020, in particolare, ha donato 913.000 dollari al Partito Repubblicano della Florida e 50.000 dollari direttamente a DeSantis.

La vendetta è un piatto che va servito caldo

Botta, e risposta. Disney è stata accusata di «essersi approfittata troppo a lungo» dei privilegi concessi dal governo della Florida, di voler «governare lo Stato», e di voler portare avanti un'ideologia «woke». Un termine usato dai conservatori americani per indicare quella che considerano una pericolosa tendenza della sinistra: l'atteggiamento «buonista di dogmatismo intollerante e censorio nei confronti di termini e idee che offendono la sensibilità sulle questioni delle minoranze e dei diritti civili». Ron DeSantis ha puntato il dito contro Disney definendola «disonesta» e ha annunciato che la sua amministrazione avrebbe ritirato tutti i privilegi di cui la compagnia gode.

Detto, fatto. L'ultraconservatore ha chiesto al parlamento dello Stato della Florida di approvare una legge che tolga al gigante dell'intrattenimento lo statuto speciale che gli consente di operare come una sorta di «governo locale» nel parco a tema di Orlando. In pratica, sulla base di una legge statale risalente al 1967, Disney gestisce attualmente in maniera indipendente un'area di oltre 10 mila ettari a Orlando, dalla fornitura dei servizi pubblici (rifiuti compresi) alla riscossione delle tasse. Una sorta di autogoverno, insomma. Tanto che Disney può costruire nuove strutture senza l'approvazione di una commissione di pianificazione locale. Tutto questo, per DeSantis, deve finire. La battaglia è diventata guerra. E lui ha (almeno apparentemente) vinto. Anche la Camera della Florida, a maggioranza repubblicana, ha approvato poche ore dopo il Senato il disegno di legge che cancella il distretto fiscale speciale di Disney dopo oltre 50 anni. Addio Reedy Creek Improvement District (Disney potrebbe ora chiedere di ottenere nuovamente un regime speciale, oppure decidere di ridurre gli investimenti destinati all’espansione del parco).

Le «imprese» di Ron DeSantis

E non è tutto. I parlamentari della maggioranza repubblicana avrebbero pure minacciato di votare una legge che cancellerebbe la proroga al copyright sui personaggi di Topolino. Il gruppo fondato da Walt Disney rischia di perdere i diritti sul primo cartone animato che ha preso vita negli studios di animazione più famosi al mondo. E per cosa? Una battaglia fondamentalmente politica. L'ultraconservatore Ron DeSantis tenta di accaparrarsi le simpatie dell'America più integralista in vista delle elezioni del 2024. E lo fa con mosse decisamente plateali. Di cui Topolino è solo l'ultima vittima. Dieci giorni fa ha fatto il giro degli USA la notizia della «messa al bando», nello Stato del Sole, di una cinquantina di libri di matematica sui 132 proposti per le scuole pubbliche. «Incorporano temi proibiti o strategie non richieste. Indottrinano i ragazzi», è stata la spiegazione ufficiale. Ciò che non piaceva sono i «contenuti socio-emotivi». «Matematica vuol dire dare la risposta giusta e noi vogliamo che i nostri figli imparino a dare la risposta giusta, non vogliamo che ci dicano come si sentono di fronte a un problema». Sempre DeSantis ha firmato la legge che vieta l'aborto dopo la quindicesima settimana anche in caso di stupro, incesto o tratta di esseri umani. Proprio le battaglie su politiche che coinvolgono etnia, genere, ma anche norme anti-COVID, armi e cambiamento climatico lo hanno reso uno dei politici più popolari negli USA. «Il "nuovo" Donald Trump odia la Disney, i libri di matematica e l’aborto», titola Rolling Stone.

E con Mickey Mouse sembra che DeSantis se la sia proprio legata al dito. «Se la Disney vuole combattere, ha scelto la persona sbagliata», ha scritto in un'e-mail di raccolta fondi. «Come governatore, sono stato eletto per mettere al primo posto il popolo della Florida e non permetterò a una società con sede in California di gestire il nostro Stato». Gli ha fatto eco il repubblicano Randy Fine, fautore del disegno di legge contro il Reedy Creek Improvement District. «Se prendi a calci il nido di calabroni, le cose saltano fuori. Questa legge prende di mira un'azienda, la Walt Disney Co. Perché sono l'unica azienda nello Stato a cui sia mai stato concesso il diritto di autogovernarsi». Chi l'avrà vinta? Staremo a vedere.

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