Musica

Da Bruce Springsteen a Vasco, è l'estate dei settantenni

Una tendenza che va al di là del normale revival e che riguarda la discografia in generale, con le major e i fondi di investimento che hanno fotografato la realtà
© KEYSTONE / ENNIO LEANZA
Stefano Olivari
21.06.2023 13:15

Da Springsteen a Vasco Rossi, l’estate 2023 è dominata dai concerti di artisti ultrasettantenni, a dispetto di quelle che si pensava fossero le leggi del mercato e quelle biologiche. Una tendenza che va al di là del normale revival e che riguarda la discografia in generale, con le major e i fondi di investimento che hanno fotografato la realtà: le tecnologia ha dato ai grandi del passato un vantaggio competitivo incolmabile, se parliamo di grandi numeri e non di successi momentanei. 

Concerti per generazioni

Cosa hanno in comune Bruce Springsteen, Vasco Rossi, Bob Dylan, gli Who, Peter Gabriel e Cat Stevens? Diverse cose, ma soprattutto l’età ben oltre i 70 anni (per Dylan anche oltre 80), che però non impedisce loro di essere stati ed essere i protagonisti più attesi dei concerti del 2023. Con il 2024 che promette bene, visto che è già stato annunciato il ritorno sul palco, a 78 anni, dell’acciaccato Eric Clapton…. Inutile mettersi a fare un elenco di date e di tutto esaurito, più interessante riflettere su una tendenza che va al di là del revival e dell’effetto nostalgia, perché il pubblico di questi dinosauri del rock è soltanto in parte formato dai fan di mezzo secolo fa: un po’ perché buona parte di questi fan è passata a miglior vita prima dei propri idoli giovanili e molto perché gli Springsteen della situazione hanno un pubblico intergenerazionale, grazie a YouTube e al vituperato streaming. Se una volta facevano impressione ragazzi che assistevano a un concerto insieme ai genitori adesso siamo arrivati ai nipoti insieme ai nonni. Situazione inimmaginabile 20, 30 o 40 anni fa: quale ragazzo degli Ottanta sarebbe andato ad un concerto di Frank Sinatra, per non dire Claudio Villa, insieme a suo padre? 

I cataloghi

Le major discografiche, gli unici soggetti che davvero guadagnano dallo streaming e dalla musica liquida (è in perdita anche Spotify…), nel 2022 hanno avuto circa il 75% degli introiti derivanti da musica da catalogo, e questo spiega come mai i soldi veri nella musica vengano mossi più dalla storia che dall’attualità. I 400 milioni di dollari pagati nel 2020 dalla Universal per il catalogo di Bob Dylan non sembrano oggi una cifra fuori dal mondo, visto che in campo sono scesi anche fondi di investimento specializzati come Hipgnosis Songs Fund e Primary Wave, che basano i loro investimenti su due domande. La prima: in un mondo in cui la dichiarazione di un banchiere può far crollare qualsiasi titolo, quali asset danno rendimenti stabili? Pochi, fra questi la musica visto che non si smette di ascoltarla, anzi, nemmeno durante le guerre. La seconda domanda: quale musica offre maggiori garanzie di rendimento costante nel tempo? Risposta semplicissima: quella storicizzata, quella dei grandi nomi, quella con una fanbase che abbraccia più generazioni. Ecco perché è più conveniente essere un vecchio cantante (meglio ancora un suo erede) che uno giovane. 

Covid

Il fenomeno della vendita dei cataloghi da parte degli artisti più famosi, per lo meno di quelli autori delle proprie canzoni, è esploso in piena era Covid, quando a tutti è venuta a mancare l’attività live e per un certo periodo si pensava che sarebbe mancata per tanti anni. Una situazione che ha spinto molti a monetizzare, appena superata quota 20, cioè la soglia di 20 volte le royalties annuali: in altre parole significa che per ammortizzare i 400 milioni di Dylan ci vorranno circa 20 anni. Tutto ha quindi un prezzo: Primary Wave ha pagato 50 milioni di dollari il catalogo di Bob Marley, Concord 300 milioni quello dei Genesis, mentre gli eredi di David Bowie hanno incassato 250 milioni e a fine 2021 Springsteen ha integrato i soldi dei concerti con un bonifico della Sony da 600 milioni di dollari. Si tratta in ogni caso di un mondo molto complesso per la molteplicità di autori (senza contare la cause per plagio che con questi soldi in palio sono aumentate a dismisura), per la scissione fra i diritti di edizione e quelli delle registrazioni, per i cambiamenti di formazione di molti gruppi. Un business che vede fra i vincitori grandi nomi del passato, come nel caso dei concerti, ma aperto anche ad alcuni del presente, e che per certi versi è una rivincita degli autori oltre che dei produttori, visto che pochi associano Johntà Austin a Mariah Carey o Scooter Braun a Taylor Swift. 

Il colpo di Michael Jackson

Non occorre essere esperti di musica per prevedere che questa musica che premia i vecchi avrà come vincitori assoluti i Beatles, che del resto vincevano anche quando erano giovani e tutti e quattro viventi. Il loro catalogo fu acquistato nel 1985 per 41,5 milioni di dollari da un lungimirante Michael Jackson, che nonostante i luoghi comuni era anche un abile uomo d’affari. In quella leggendaria asta batté Paul McCartney… Catalogo che insieme a tante altre cose, tipo i gioielli della Motown, è stato nel 2016 acquistato dalla Sony per 750 milioni di dollari (e quindi valutato 1,5 miliardi, visto che metà era già della Sony), così che la famiglia Jackson ha potuto per l’ennesima volta sfruttare il suo esponente più geniale e sfortunato. Facendo una proporzione con i dischi venduti da Dylan e Springsteen, oggi il solo catalogo dei Beatles potrebbe valere 5 miliardi. 

L'ultima dei Beatles

Proprio l’ottantunenne McCartney ha individuato una nuova area di guadagno per i vecchi del pop e del rock, l’immancabile intelligenza artificiale. Perché se il catalogo è stato venduto le nuove canzoni di Paul, John, Ringo e George ancora no. Nuove canzoni? Una settimana fa McCartney ha spiegato alla BBC di avere utilizzato l’AI per recuperare la voce di Lennon da una vecchia demo, rielaborandola e facendola diventare una canzone vera e propria cantata dal Lennon degli anni Sessanta e dal McCartney di adesso. Un’operazione ancora più spinta rispetto a Free as a bird (quella era davvero la voce di Lennon, sia pure restaurata) e che potrebbe in teoria portare anche a nuove canzoni dei Beatles. Che come tutti i vecchi possono schierare contro i giovani la storia: seriamente, chi potrebbe competere con i Beatles? Visto che la grande discografia oggi è trading di diritti, più che scoperta e coltivazione di talenti, è possibile che fra qualche anno nessuno ascolti più musica nuova. Non perché non nascano più autori geniali, ma semplicemente perché è inutile scriverla. Si può anche prendere in giro la musica dei settantenni, ma questi grazie ai deepfake potrebbero stare sul palco fino a 700 anni.