Medio Oriente

Davanti agli orrori di Gaza non si può più restare in silenzio

Mentre si moltiplicano le manifestazioni pro-palestinesi e aumenta il dissenso dei cittadini verso l'operato del governo israeliano, il silenzio della politica sembra sempre più assordante
©Jehad Alshrafi
Michele Montanari
21.09.2025 09:40

Ahmad, 12 anni, non è riuscito a mangiare quest’oggi. Forse neppure domani. Il suo corpo scheletrico non reggerà ancora a lungo. Noura ha vissuto solo tre giorni, come una farfalla colorata. Malak era abbracciato alla mamma quando un missile ha spazzato via  la loro casa. Non si è accorto di nulla. Fatima deve ancora abituarsi a camminare con le stampelle. A volte sente prurito a quella gamba sinistra che non c’è più. Le sembra di sentire persino male. Lo chiamano dolore dell’arto fantasma. Ci si abitua con il tempo. Reimas stava fuggendo verso il sud della Striscia insieme alla sorellina. Un frastuono nel cielo ha attirato il suo sguardo. Poi il buio.

Secondo Save The Children, in quasi due anni di conflitto a Gaza, almeno 20 mila bambini hanno perso la vita sotto i bombardamenti dalle forze israeliane. Praticamente un bimbo palestinese ucciso ogni ora dall’ottobre 2023. Una statistica dell’orrore che non parla solo di morti, ma pure di decine di migliaia di feriti, mutilati e malnutriti, in una terra devastata, dove scuole e ospedali sono stati distrutti e la carestia mette a rischio la vita di oltre 132 mila bambini sotto i cinque anni.

Con l’occupazione dell’esercito israeliano di Gaza City, la situazione umanitaria è al collasso. Migliaia di persone fuggono verso un posto sicuro (ammesso che esista), caricando su vecchie carrette i ricordi di una vita e il poco cibo a disposizione. Un esodo tutt’altro che facile, non solo per lo sforzo fisico.  Secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), il viaggio verso sud costa in media più di 3 mila dollari. Un prezzo esorbitante per molti, destinati a sfidare la sorte in mezzo alle bombe.

Lungo la strada costiera di al-Rashid, migliaia di residenti si sono ammassati per fuggire dai raid israeliani, in un estenuante viaggio verso le zone centrali e meridionali dell'enclave. I corrispondenti delle Nazioni Unite raccontano scene di sofferenza e devastazione inaccettabili, mentre dall’enclave mediorientale arrivano immagini strazianti. Un massacro in diretta sui media e sui social, di fronte a cui molti cittadini, nel loro piccolo, hanno scelto di agire. Perché quelle foto e quei video fanno male come certi orrori letti sui libri di storia. C’è da non dormirci la notte.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente USA Donald Trump hanno più volte affermato che se Hamas liberasse gli ostaggi e deponesse le armi tutto finirebbe in breve tempo. Ma il gruppo islamista, responsabile degli atroci attentati del 7 ottobre del 2023, non appare intenzionato a scendere a patti. 

In uno scenario del genere, il senso di impotenza cresce a dismisura, con le manifestazioni pro-palestinesi che si moltiplicano in ogni angolo del mondo. Le barche della Global Sumud Flotilla sono partite alla volta di Gaza, in una operazione civile senza precedenti. Gli aiuti umanitari caricati sulle imbarcazioni serviranno a ben poco, ma la missione, contestabile quanto si vuole, ha un potentissimo valore simbolico. C’è poi chi ha deciso di boicottare i prodotti israeliani e americani (eh sì, sono gli Stati Uniti di Trump ad armare più di tutti la mano dello Stato ebraico). Piccoli gesti di ribellione, certo, ma l’unione può fare la forza. Soprattutto davanti all’immobilismo della politica mondiale. L’altra sera il consigliere federale Ignazio Cassis, dopo le proteste dei manifestanti a Bellinzona, ha dichiarato: «Credo che sia giusto capire che, malgrado tutta la buona volontà di tantissimi Paesi al mondo, ce n'è solo uno che può cambiare la realtà sul terreno e sono gli Stati Uniti. Una frustrazione gigante per chiunque, però è la realtà dei fatti e con questa dobbiamo convivere».

Verissimo, signor ministro, la Svizzera non è nulla rispetto agli Stati Uniti. Ma può fare la sua parte, come per la guerra in Ucraina. Le sanzioni alla Russia sono sacrosante, eppure il governo israeliano di Benjamin Netanyahu sembra immune a certe restrizioni. Non si può lasciare tutto nelle mani dei cittadini, perché il rischio è la deriva di azioni riprovevoli, come gli attacchi di matrice antisemita contro gli ebrei. Anche la politica può utilizzare lo strumento del dissenso, con la saggezza che dovrebbe appartenerle. Qualcuno una volta disse: «Neutralità non significa indifferenza». Oggi, però, davanti a quello che sembra a tutti gli effetti il primo reality show di un massacro, il silenzio delle istituzioni è assordante.

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