«Demonizzare la cultura russa è un errore imperdonabile»
Professor Ferrari, che cos’è la russofobia? Si tratta di un fenomeno già esistente o di qualcosa che è stato scatenato dalla guerra?
«Siamo di fronte a una questione abbastanza complessa. Anche prima dell’invasione dell’Ucraina, per evidenti ragioni storiche, c’erano intere popolazioni russofobe: penso alle nazioni baltiche e ai polacchi. In altri Paesi questo sentimento, invece, non è mai esistito. La cultura italiana, ad esempio, è sempre stata molto simpatetica nei confronti della Russia, probabilmente anche per la presenza del più grande Partito comunista dell’Europa occidentale. Purtroppo, la guerra scatenata da Putin ha fatto nascere forme di russofobia, che si sono poi estese alla sfera culturale».
Che cosa la preoccupa di più?
«Anche se gli episodi sono molto limitati, si discute di quanto siano profonde queste manifestazioni. Ha fatto discutere il caso di Paolo Nori, censurato dall’Università della Bicocca, a Milano. Un’altra università, quella di Trento, ha deciso di sospendere ogni rapporto di collaborazione accademica con istituzioni russe. In realtà, ciò che più mi preoccupa è che ovunque, in Europa, si è creata una narrazione culturale e politica che tende a demonizzare tutta la Russia. Non sono mancati nemmeno alcuni segnali di falsificazione della storia».
A che cosa si riferisce?
«Penso, ad esempio, ad alcuni podcast di Paolo Mieli il quale, facendo perno sul luogo di nascita, ha attribuito all’Ucraina scrittori che invece sono da considerare russi: Gogol o Bulgakov, che hanno scritto soltanto in russo, Vassilij Grossman, che era ebreo e scriveva in russo, Joseph Roth anch’egli ebreo ma autore tedesco, o Joseph Conrad, nato in Ucraina ma romanziere di lingua inglese. Non essendo Mieli ignorante né stupido, mi chiedo quale sia stato l’obiettivo di questa opera di disinformazione mirata».
Si è dato una risposta?
«Ovviamente, com’è giusto, agli ucraini è concessa molta visibilità e c’è un accoglimento molto alto delle loro richieste. Tuttavia, mi auguro che non venga accettata la loro richiesta di interrompere ogni rapporto culturale con la Russia. Molti intellettuali russi sono contrari alla guerra e lo scopo principale della cultura è unire i popoli. Colpire la cultura è assurdo».
A questo proposito, le voci di dissenso in Russia sembrano essere poche. Anche tra gli intellettuali.
«In realtà non è così. Potrei fare molti nomi: Olga Sedakova, ad esempio, la più nota e importante poetessa russa vivente; il sociologo Grigory Yudin; il direttore artistico del Teatro statale di Mosca Dmitry Volkostrelov, licenziato dopo aver scritto un post critico su Facebook; o Ivan Velikanov, direttore d’orchestra dell’Opera di Niznij Novgorod, sospeso dal suo incarico perché la sera del 25 febbraio, prima dell’esecuzione del programma, ha fatto un breve discorso di ripudio della guerra e ha fatto eseguire l’Inno alla gioia di Beethoven. Ma ad esprimersi contro la guerra sono stati anche il regista teatrale Lev Dodin, l’attrice e conduttrice televisiva Julia Menshova, l’attore Anatoly Bely, il cantante Sergey Lazarev, l’attrice Elizaveta Boyarskaya».
Ma i sondaggi, anche quelli indipendenti, dicono che Putin ha una popolarità elevatissima.
«È vero. La maggioranza della popolazione sta con Putin perché è patriottica, riceve un’educazione patriottica, si informa soltanto attraverso la Tv di Stato. Putin è stato molto abile a disseccare ogni forma di opposizione politica. Nei primi giorni della guerra abbiamo visto molti arresti, poi il dissenso si è espresso in altre forme. Tanti giovani fuggono, si fa opposizione abbandonando il Paese: è questa la vera catastrofe russa, l’incapacità di Putin di trattenere in patria le forze migliori».
Ma che cos’è, oggi, la Russia, secondo lei?
«Nonostante tutto continuo a non considerarla una dittatura; io ho studiato nell’Unione Sovietica, e quello era un vero regime totalitario. Certo è che la Russia sta sempre più diventando autoritaria e autocratica, gli spazi di libertà si stanno riducendo molto. Sia la Russia sia la Cina non stanno andando verso la democrazia, stanno subendo dinamiche opposte. Spetta a noi decidere che fare».
Che cosa intende?
«Si possono tenere due tipi di atteggiamento da parte dell’Occidente: non avere rapporti e aumentare il livello della contrapposizione; oppure riconoscere l’esistenza di percorsi politici diversi, trovando un modus vivendi accettabile».
Quale può essere in futuro, il rapporto tra Europa e Russia? A proposito di «alterità e omogeneità» dei due contesti, lei ha scritto che «la Russia non è “totalmente altra” rispetto all’Europa, è piuttosto una parte speciale della cultura europea». Putin, nei suoi discorsi, afferma il contrario, rivendica una netta distanza tra la cultura russa e quella europea.
«La cultura russa moderna dopo Pietro il Grande è una cultura europea. Sono tre secoli che la Russia è parte grandissima della cultura europea: nella letteratura, nella musica, nella pittura. Il romanzo russo dell’Ottocento è il più grande in assoluto, ma poi ci sono Chagall, Kandinsky, Stravinsky, Čajkovskij: stiamo parlando di giganti della cultura europea, e dimenticarsene sotto l’emozione di una guerra è sbagliato. Il conflitto, spero il prima possibile, finirà, e con questo Paese dovremo tornare a fare cultura. Demonizzarlo andando a colpire l’ambito più facile è un errore imperdonabile. Anche oggi in Russia c’è una cultura estremamente viva, ci sono grandi scrittori e grandi artisti. Quello che non dobbiamo fare è confondere una guerra voluta da una dirigenza politica con un Paese e una cultura che in tutto questo non hanno alcuna responsabilità».
Purtroppo, la posizione della Chiesa ortodossa non aiuta a favorire un percorso di pace o di riavvicinamento. Perché?
«Perché la Chiesa ortodossa è molto conservatrice e vicina al potere, cosa che caratterizza da sempre tutte le chiese nazionali ortodosse. Persino in epoca sovietica, quando riacquistò qualche margine di manovra dopo i primi decenni di violente repressioni, la Chiesa russa fu sostanzialmente leale al regime. Può piacere o non piacere, ma fa parte dello specifico dell’ortodossia. C’è un altro elemento che bisogna sottolineare: dopo lo scioglimento dell’URSS, il vuoto culturale e ideologico lasciato dalla fine del comunismo è stato riempito con la consonanza tra Chiesa e Stato. Putin fa della fedeltà ai valori ortodossi e cristiani un punto forte della sua politica valoriale, indicando il sistema russo come il più solido moralmente, in opposizione all’Occidente degenerato».