Destituiti, «ma a testa alta»

È definitivo il licenziamento con effetto immediato - pronunciato nel dicembre scorso dal Consiglio della magistratura - degli ormai ex giudici del Tribunale penale cantonale Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti, accusati di «avere gravemente violato i loro doveri di magistrato denunciando per il reato di pornografia il presidente del Tribunale penale cantonale» Mauro Ermani, nel frattempo dimessosi dalla carica. La denuncia, legata alla famosa foto dei due falli giganti inviata da Ermani a una collaboratrice, si inseriva nel cosiddetto «caso al TPC» che ora si avvia verso la conclusione. Presto dovrebbe poter essere aperto il bando di concorso per la nomina di due nuovi giudici ordinari in sostituzione di Quadri e Verda Chiocchetti.
I due ex giudici reagiscono alla sentenza del Tribunale federale ribadendo di essere convinti di aver fatto ciò che andava fatto. «Non penso che abbiamo avuto coraggio, abbiamo fatto quello che qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi cittadino, doveva fare. Se si vede un abuso, lo si segnala. È una tutela della società tutta. Purtroppo, ho la sensazione che noi siamo intervenuti in un sistema dove i tempi non sono ancora maturi. Ci sono cose che sono state tollerate per anni, ora si sa che non devono esserlo ma gli adattamenti sono lenti», afferma Verda Chiocchetti, che come Quadri tornerà a fare l’avvocato. «La vita non finisce mica con una sentenza del Tribunale federale o con la perdita di un lavoro - aggiunge -. Paga molto più di qualsiasi stipendio la certezza di avere la propria barra, di avere fatto la cosa giusta. È quello che ho sempre spiegato ai miei figli, che oggi sono fieri della propria mamma. Questo per me è impagabile».
Signor Quadri, è deluso dalla sentenza del Tribunale federale?
«Non esprimo delusione, conosco il mondo, so che le cose funzionano così. Quando qualcuno riuscirà a convincermi che abbiamo sbagliato a difendere i diritti di chi se li è trovati calpestati, allora a quel momento potrei cambiare idea. Ma finora nessuno ci è riuscito».
Col senno di poi rifarebbe la denuncia?
«Quello che mi sento di dire è che secondo me un giudice non può stare a guardare in silenzio di fronte a situazioni che in un rapporto di lavoro si avvicinano al concetto di molestia».
Però il messaggio che emerge da questa vicenda è che sarebbe stato meglio non denunciare nulla.
«Certo, capisco che qualcuno possa essere allibito che una situazione dove sicuramente c’era qualcosa di sbagliato, di molto sbagliato, si concluda con la destituzione di chi l’ha denunciata, non con pubblicazioni sui social o con atteggiamenti denigratori, bensì con una segnalazione alle autorità competenti».
Lo rifarebbe?
«Dire che rifarei la stessa cosa è difficile. Sicuramente non è cambiato il mio spirito di tutela del senso di giustizia, del ruolo del dipendente, del ruolo della donna, del ruolo che ogni persona nel mondo merita di avere. Io continuerò a vivere - e la mia collega pure - con lo stesso spirito di difesa e di protezione delle persone più deboli».
Cosa farà ora nella vita?
«Con le nostre teste, con la nostra volontà, con la nostra capacità, con il nostro coraggio continueremo a offrire a chi lo desidera una sana tutela contro le ingiustizie».
Andate ancora in discoteca?
«(ride) Questo fa parte della vita. Siamo rimasti male nel vedere il bigottismo di certa gente, siamo convinti che una società più libera e meno attaccata ai pregiudizi sarà più forte. Speriamo di riuscirci».
La vostra discussa foto può essere vista come un contributo al cambiamento?
«Certo. Il mondo deve funzionare sempre in base al bene, in base a quello che ci si sente di fare, finché non si intacca la libertà degli altri. Questi sono i limiti. Ognuno deve poter vivere e fare quello che meglio sente, senza fare del male agli altri. Solo così troverà il giusto spazio e la giusta energia per migliorare questo mondo».
L’ex collega Mauro Ermani è tornato a fare l’avvocato. Ha qualcosa da dirgli?
«No, non sono io che devo giudicare l’operato dell’ex collega».


Signora Verda Chiocchetti, la morale di questa storia è che conviene tacere?
«Ho ricevuto diversi messaggi in questo senso, sia da chi ha vissuto la vicenda in prima battuta, sia da cittadine e cittadini che l’hanno seguita. Perché in fin dei conti era una storia molto semplice. C’è un collega giudice con quella che è a tutti gli effetti una molestia. E c’è quello che dovrebbe fare qualsiasi cittadino, a maggior ragione se riveste una funzione di autorità, di fronte a questa situazione. Cioè intervenire. Noi l’abbiamo fatto secondo la procedura e nelle competenti autorità. Ma queste autorità non hanno gestito il caso nella maniera dovuta».
Alla fine, avete pagato solo voi che avete denunciato.
«Ci viene rimproverato di avere evidenziato una situazione. Ma se avviene una molestia nei confronti di una collaboratrice, è un nostro dovere intervenire».
Non ci sarebbero state altre modalità di intervento?
«Noi ci siamo rivolti alle autorità competenti e abbiamo seguito gli iter. Quando gli iter si arrestavano senza motivo, ne chiedevamo il perché. Ma per qualcuno la giustizia è sacra e non bisogna mai dire come si comportano le persone al suo interno. Non funziona così. La sacralità sta nel dire che certe cose non devono essere fatte, a maggior ragione in certi gremi come può essere un tribunale».
I panni sporchi si lavano in casa, dice qualcuno.
«A me sembra di aver sentito troppe volte queste giustificazioni. La vittima che segnala è quella che dà fastidio, quella che viene allontanata. Se guardiamo anche solo alla storia ticinese degli ultimi due anni troviamo tante storie analoghe. Per esempio, quella di don Leo. Ci sono vittime che segnalano, non vengono credute, si cerca di sistemare le cose, alla fine vengono fuori lo stesso. E quando vengono fuori si dice che non dovevano uscire, perché l’istituzione è sacra. Ma non deve funzionare così. L’istituzione deve avere gli anticorpi già al suo interno. E i vertici devono segnalare le molestie, non tollerarle, a tutela della stessa istituzione».
Rifarebbe tutto?
«Sì, rifarei tutto dall’inizio. E vorrei aggiungere una cosa. Come donna giudice, una delle rare donne nella dirigenza, non potevo tollerare le molestie sulle collaboratrici. E sono ben contenta che ci sia stato un unico collega uomo, Siro Quadri, che ha preso anche lui una posizione netta. Altri uomini non hanno questa sensibilità, perché sono abituati che tutto viene tollerato. Io come donna non potevo non intervenire e sono contenta che anche un uomo sia intervenuto. La collaboratrice in questione ha apprezzato molto e io sono convinta che abbiamo fatto la cosa giusta».