Il punto

Disinformazione: non è solo colpa dei social

Quando si parla di notizie false spesso si punta il dito contro i social network, non tutti però la pensano così: scopriamolo in questa puntata di CdT Check
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Facta.News
05.07.2022 17:15

Credere alle notizie false è umano e a dirlo sono psicologi e sociologi. Tutti possiamo sbagliare e considerare corretta un’informazione che è in realtà falsa, errata o manipolata.

Cadere preda delle notizie false è spesso facile perché entrano in gioco dei pregiudizi, o bias, che dettano il comportamento o le scelte umane in modo quasi automatico, portandoci ad esempio a considerare più credibile una notizia che ci viene raccontata da una persona che stimiamo o un’ipotesi che conferma la nostra idea di partenza, piuttosto che una che la mette in discussione. 

Quando si parla di notizie false spesso si punta il dito contro i social network (o il mondo di Internet in generale). Non tutti, però, la pensano così: secondo alcuni ricercatori i social non sono il principale problema e offrono dei vantaggi quando ci si vuole informare.

Distratti per riflettere?

Secondo uno studio pubblicato a marzo 2021 su Nature, prestigiosa rivista scientifica, sui social network gli utenti tendono ad essere distratti e a prestare poca attenzione, il che li porta a commettere errori nello scegliere se una notizia è corretta oppure no. La successiva conseguenza è che la distrazione provoca una maggiore possibilità di condividere passivamente una notizia errata o fuorviante.

Della stessa opinione anche un altro studio, pubblicato sulla rivista dell’Association for Psychological Science statunitense nel 2020. I ricercatori hanno mostrato che, se agli utenti veniva richiesto di soffermarsi a riflettere su una notizia a tema Covid-19 prima di condividerla, il rischio di contribuire alla diffusione di contenuti di disinformazione in effetti diminuiva. 

Quando i social non sono il problema

I social network non sono però un problema per tutti i ricercatori. Secondo Richard Fletcher, studioso di giornalismo dell’Università di Oxford, le piattaforme social creano sì «bolle» che tendono ad amplificare una data visione del mondo, ma portano anche all’attenzione degli utenti una varietà di punti di vista (e contenuti) maggiore rispetto a quanto avviene attraverso altri media. 

Fletcher ha impostato uno studio in grado di confrontare il consumo di notizie di persone che non utilizzano i social network con altri due gruppi: quelli che affermano di utilizzare intenzionalmente i social per fruire notizie, e quelli che non lo fanno intenzionalmente. I Paesi coinvolti nella ricerca sono stati il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Australia e l’Italia, con cittadini di età ed estrazione sociale differente. 

È emerso che le persone che utilizzano i social network per informarsi sono accidentalmente esposte a più notizie e in grado di venire a contatto con fonti (e opinioni) tra loro diverse, rispetto a coloro che non svolgono alcuna attività sui social network e si informano su altri media, come ad esempio i giornali. I social network che, nella ricerca di Fletcher, hanno avuto un miglior impatto nell’informare l’utente sono stati YouTube e Twitter, seguiti da Facebook. 

L’illusione di comprendere, online e offline

Ci sono poi limiti comuni a tutti i mezzi di informazione. Un aspetto comune alle notizie presenti sui diversi media, sia online che offline, è il rischio di cadere in una trappola cognitiva conosciuta con l’espressione «illusione di comprendere», come suggerito in uno studio del 2002 di alcuni ricercatori affiliati all’Università di Yale (Stati Uniti).

Spesso crediamo di comprendere bene concetti complessi, ma in realtà non è così, com’è dimostrato dalla difficoltà in cui si incorre se si cerca di spiegarli ad altri. Un esempio efficace per dare un’idea del fenomeno è il cosiddetto «test della bicicletta»: pensiamo di sapere come funziona una bicicletta, ma nel momento in cui ci viene chiesto di disegnarla pochi riescono a tracciare uno schizzo accurato, o a decidere quale disegno corrisponda più o meno alla sua reale struttura.

L’«illusione di comprendere» può trarre in inganno sia con notizie (o informazioni) online che offline, ed è spesso dettata dalla fretta e dalla superficialità con cui si approcciano le notizie. Una buona pratica è quella di soffermarsi su una notizia il tempo necessario per comprenderla correttamente, qualsiasi sia il media su cui la fruiamo.

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