E la volpe disse: «Il caos REGNA»

La battuta più significativa della storia del cinema
Oliver Broggini
01.06.2011 06:00

Willem Dafoe cammina – con la sua faccia triste da gemello di Moritz Leuenberger – nella radura di un bosco, immerso tra felci di altezza abnorme. È alla ricerca di qualcosa e – dopo un breve vagare – si imbatte in quel che pare il suo obiettivo, per metà nascosto tra il verde; una volpe accoccolata nel buio, fradicia di pioggia e sangue, intenta a mordersi via dal ventre brandelli di carne. All'arrivo dell'uomo, l'essere fa sussultare il capino bagnato, pronunciando a sorpresa – con un tono di voce da puro oltretomba – una frase che non ammette replica: «Il caos REGNA».

Se ho scoperto questo bizzarro incontro tra uomo e animale, è perché mio fratello è finito per sbaglio – qualche tempo fa – nella sala cinematografica dove veniva proiettato il film Antichrist. Dal suo racconto esterrefatto, circa le disavventure sessual-orrorifiche narrate nell'allucinata opera di Lars von Trier, la scena della volpe autofaga e parlante si è subito ricavata un posto speciale nel mio cuore (più ancora dell'altra scena, di cui mi è stato riferito, nella quale la protagonista cala un ciocco di legno sulle parti sensibili di Dafoe, sempre lui, per poi – ma forse è meglio tralasciare). Più tardi, vedendo per la prima volta con i miei occhi la scena del film, su Youtube, ho compreso cosa mi avesse colpito – e perché, in bocca a una volpe, sia finita quella che è di gran lunga la più significativa battuta di tutta la storia del cinema.

Mi rendo conto di quanto una simile investitura possa sembrare esagerata; il fatto, però, è che la sentenza volpina – pronunciata in un bosco!, per eccellenza il luogo letterario di smarrimento e rivelazione – affonda le sue radici nelle più vertiginose profondità del pensiero occidentale. Il riferimento qui va a un inquietante frammento della saggezza antica, che Nietzsche scelse di porre in testa alla sua prima opera, La Nascita della tragedia.

«L'antica leggenda – vi si legge – narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone taceva: finché, costretto dal re, se ne uscì da ultimo, fra stridule risa, in queste parole: "Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto».

Accanto al pensiero luminoso che costruisce senza posa strade e grattacieli – allo slancio apollineo che celebra la luce del progresso, irradiantesi verso ogni angolo del Mondo – noi portiamo conficcate nell'animo anche le schegge della disperazione e dell'irrazionale; i segni incancellabili di una sorte «precaria e ambivalente», come la chiama il filosofo Umberto Curi. Non è quindi un male che a volte, sulla nostra strada, compaia qualcuno uscito per un istante dall'ombra, al solo scopo di ricordarci la nostra fragilità. E pazienza se si tratta di una volpe parlante digitalizzata.

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