L'analisi

Ecco dove può portare la crisi istituzionale tra la California e la Casa Bianca

Secondo Marco Mariano, storico dell’Università di Torino, ci sono almeno due scenari possibili - Il primo riguarda il semplice cambiamento dei rapporti tra Governo federale e Stati dell’Unione - Il secondo prefigura invece il controllo diretto del processo elettorale da parte di Washington
Alcuni taxi Waymo senza conducenti dati alle fiamme durante le proteste esplose lungo le strade di Los Angeles dopo l’intervento della Guardia nazionale voluto da Donald Trump. © Eric Thayer
Dario Campione
09.06.2025 20:21

Tra la California e l’amministrazione Trump è ormai scontro istituzionale aperto. Il Golden State ha intentato causa contro la Casa Bianca per la decisione di quest’ultima di prendere il controllo della Guardia nazionale e schierarne le truppe a Los Angeles. La notizia è giunta direttamente dal governatore Gavin Newsom, che in un post sui social media ha accusato il presidente di essere uno «squilibrato» e di aver volutamente infranto le regole costituzionali.

«Questo è esattamente ciò che Donald Trump voleva - ha scritto Newsom su X a proposito del dispiegamento dei soldati sulle strade - ha acceso i fuochi e ha agito illegalmente per federalizzare la Guardia nazionale. L’ordine che ha firmato non si applica solo alla California. Gli permetterà di andare in qualsiasi Stato e fare la stessa cosa».

Secondo Newsom, le forze dell’ordine locali stavano gestendo efficacemente la risposta alle proteste contro i raid sull’immigrazione e non c’era alcun bisogno della Guardia nazionale. Domenica, in una lettera inviata al segretario alla Difesa, Pete Hegseth, il segretario agli affari legali di Newsom, David Sapp ha evidenziato come «in situazioni dinamiche e fluide come quella di Los Angeles, le autorità statali e locali siano le più appropriate per valutare la necessità di risorse per salvaguardare la vita e la proprietà. La decisione di schierare la Guardia nazionale senza un addestramento o ordini adeguati rischia di aggravare seriamente la situazione».

Una partita politica

La partita in corso è quindi interamente politica, poco o nulla ha a che vedere con la questione immigrati. Questi ultimi, semmai, sembrano essere utilizzati dall’amministrazione di Washington come pretesto. Lo spiega al CdT Marco Mariano, associato di Storia dell’America del Nord all’Università di Torino. «Siamo di fronte a una crisi istituzionale che può essere interpretata a vari livelli - dice Mariano - Il primo è relativo a un significativo cambiamento dei rapporti tra lo Stato federale e gli Stati dell’Unione, con la presidenza Trump impegnata a imporre le prerogative federali soprattutto nei cosiddetti Blue States, gli Stati governati dai democratici, visti in un’ottica strettamente politica come bersagli da colpire, ostacoli lungo la marcia verso l’attuazione del programma dell’amministrazione. Il secondo livello, prefigurato da osservatori di varia matrice è più radicale e più sinistro come scenario. In sostanza, secondo questa ipotesi sarebbe in corso un tentativo di sottrarre agli Stati le proprie prerogative. Prendendo a pretesto gli scontri a Los Angeles, si toglie alla città e allo Stato della California il mantenimento dell’ordine pubblico e si apre la strada a un disegno più ampio, più ambizioso e più inquietante: sottrarre il controllo del processo elettorale agli Stati per federalizzarlo. Cosa che potrebbe accadere già nelle elezioni di midterm, elezioni che, secondo alcune previsioni, potrebbero non andare benissimo per l’amministrazione Trump. Questa sarebbe una prospettiva assai più nefasta, soprattutto per il funzionamento stesso della democrazia americana».

Ribaltamento di ruoli

In queste ore, negli USA si discute molto animosamente sul superamento dei limiti del potere presidenziale. Ancora una volta, è stato il New York Times a farsi portavoce delle critiche all’operato della Casa Bianca. In un editoriale firmato dalla redazione, si legge: «La sfida più grande posta da Trump alla federalizzazione della Guardia nazionale è questa: qual è il principio limitante? Potrebbe un presidente ordinare alle truppe federali di far rispettare i suoi capricci? E in definitiva, di chi e di che cosa sono al servizio le truppe dell’esercito? Dei cittadini o dell’agenda politica del presidente?».

Secondo Marco Mariano, «esiste in realtà una dinamica storica di lungo periodo riguardo alle tensioni tra Washington e gli Stati; la cosa nuova è che, in questo caso, sarebbe il partito repubblicano - in passato paladino delle autorità locali - a diventare il fautore di una iper-centralizzazione delle prerogative federali, con un ribaltamento rispetto al passato recente in cui soprattutto il partito democratico era la voce di un cosiddetto big government interventista. Se rimaniamo a questo livello, siamo nella fisiologica tensione tra Governo federale e singoli Stati, semplicemente con un ribaltamento delle parti politiche». Quando invece si dovesse prendere in considerazione sul serio l’ipotesi di un «esautoramento delle prerogative statali partendo dalla questione ordine pubblico per giungere al controllo del processo elettorale - dice ancora Mariano - allora si entrerebbe pienamente in un territorio di pericolosa sovversione dei pilastri della democrazia liberale. Una gestione federale del processo elettorale significa porre il voto sotto il controllo di agenzie che ormai sono state trumpizzate, ovvero sottoposte al comando di fedelissimi del presidente. Penso a Kash Patel, direttore dell’FBI, o a Todd Lyons, direttore dell’ICE, la U.S. Immigration and Customs Enforcement che abbiamo visto in funzione in questi giorni».