Domande e risposte

Ecco perché gli aerei non decollano

Finita l'emergenza sanitaria, la domanda nel settore del trasporto aereo è letteralmente esplosa, trovando le compagnie impreparate – Ne parliamo con Oliviero Baccelli, direttore del master in Economia dei trasporti dell’Università Bocconi di Milano
Dario Campione
08.06.2022 20:30

Centinaia di voli cancellati in tutta Europa (Svizzera compresa), prezzi dei biglietti in forte crescita, scelte politiche che tendono a limitare il più possibile le tratte a breve e medio raggio, con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento atmosferico. Il trasporto aereo vive una fase molto complessa, in cui la forte ripresa post-COVID è condizionata da enormi problemi gestionali. Con l’aiuto di Oliviero Baccelli, direttore del master in Economia dei trasporti dell’Università Bocconi di Milano, tentiamo di spiegare che cosa sta accadendo e quali possono essere gli scenari futuri.

1. Professor Baccelli, dal 16 maggio scorso, con l’allentamento delle restrizioni sanitarie anti-COVID applicate nell’Unione Europea, è di nuovo possibile salire su un aereo senza mascherina e senza dover esibire un tampone negativo o il green pass. La domanda di voli è esplosa, ma l’offerta delle compagnie non è stata in grado di rispondere in maniera adeguata. Perché?
«Durante la crisi pandemica, per contenere i costi, le compagnie aeree hanno chiesto ai loro dipendenti di tagliarsi lo stipendio. Non tutti hanno accettato, molti tra piloti e personale di volo hanno preferito scegliere gli incentivi e uscire dal mercato del lavoro. Le compagnie inglesi, in particolare, hanno licenziato, riducendo i propri organici di circa 30 mila unità su un totale di 140 mila. Adesso, con la fine dell’emergenza sanitaria, c’è un forte rimbalzo della domanda e i vettori fanno fatica a trovare personale. Compagnie low-cost come Ryanair o EasyJet volano oggi con più aerei del 2019 ma con meno dipendenti, “stressando” questi ultimi in modo eccessivo. Ecco il motivo anche delle proteste sindacali e degli scioperi di questi giorni in Italia, ad esempio».

2. È vero che il tema della mancanza di personale di volo riguarda in particolar modo i piloti?
«Senza dubbio. I piloti anticipatamente “pensionati” dalle compagnie per ridurre i costi non sono stati sostituiti in modo adeguato dai giovani, e adesso non possono essere facilmente richiamati in servizio. Per rinnovare le certificazioni scadute di abilità al volo, infatti, servono tempo e soldi. Uno dei temi chiave è l’investimento di risorse importanti nella formazione. Chi paga? Senza dimenticare che durante l’emergenza COVID anche le stesse scuole di formazione hanno ridotto molto le proprie attività. In ogni caso, il mercato è stato colto di sorpresa dal rapidissimo recupero della domanda e le difficoltà non riguardano soltanto il personale di volo».

3. Ci sono problemi anche nelle strutture aeroportuali?
«Certamente, anche perché quando dimezzi gli organici e interrompi le attività per due anni, riprendere è complicato. A Malpensa, ad esempio, il terminal 2 è tuttora chiuso. Per riattivarlo servono molte più persone di quelle a disposizione della società di gestione dello scalo. Le conseguenze di questa situazione danneggiano però in gran parte gli utenti. Nel terminal 1 ci sono lunghissime code e si accumulano ritardi importanti».

4. La carenza di personale sembra essere il problema più immediato da risolvere, ma il settore del trasporto aereo deve fronteggiare questioni importanti anche nel medio e lungo periodo, a partire, ad esempio, dalla sua sostenibilità ambientale.
«Le incognite legate alla sostenibilità di un comparto molto inquinante sono numerose e, sin qui, non sono state affrontate in modo chiaro. Pensiamo ai carburanti alternativi o ecologici, i cosiddetti SAF (acronimo dall’inglese Sustainable Aviation Fuel, ndr): provengono quasi tutti da un’unica raffineria in Olanda, sono molto costosi e utilizzati pochissimo, in pratica soltanto per progetti pilota. Tutte le industrie produttrici di aerei immaginano piuttosto di usare l’idrogeno, ma l’orizzonte di questa innovazione è molto lungo e le tappe intermedie ipotizzate sinora non troppo rilevanti. Ecco perché si lavora su altre forme di compensazione, come la riduzione o la cancellazione totale dei voli a breve raggio. Su questo tema, peraltro, c’è una forte sensibilità dei Paesi del Nord-Europa e dei più giovani, anche sulla spinta di Flight Shame (Flygskam in svedese, ndr), il movimento sospinto dall’esempio dato in prima persona da Greta Thunberg».

5. È vero che il profilo dei passeggeri è cambiato e che questo incide sul sistema?
«Sì, la domanda è tornata a crescere ma proviene da una utenza più “povera”. Mancano i passeggeri business, quelli che occupano i voli intercontinentali. Mancano anche i russi, com’è ovvio, ma pure gli asiatici e i mediorentali, tuttora alle prese con il COVID. I grandi aeroporti che avevano puntato molto sugli spazi destinati a questo tipo di viaggiatori stanno soffrendo molto».

6. Qual è lo scenario più probabile, di qui ai prossimi anni, per il mercato internazionale del trasporto aereo?
«Credo che il settore premierà di più chi ha scelto forme di gestione flessibili e ultra low-cost. Per essere chiari, saranno avvantaggiate le compagnie che saranno in grado di dislocare rapidamente i propri aeromobili lì dove c’è maggiore domanda. Oggi Ryanair ha 43 basi diverse e si sposta a seconda delle necessità, delle stagioni o delle richieste degli utenti. Ha una rapidità vincente, che le deriva in primo luogo dalla possibilità di gestire il personale con minore rigidità. In questo modo, peraltro, è in grado di compensare anche gli aumenti dei costi fissi. Ad esempio, il carburante, il cui prezzo è molto più elevato rispetto allo scorso anno. La capacità di accogliere più passeggeri le permette di assorbire l’extra-costo. Cosa che, invece, altre compagnie aeree non possono fare con altrettanta facilità». 

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