L’approfondimento

Ecco perché quella dell’uomo che si è fatto da sé è solo una leggenda

Sia i campioni dello sport, sia i grandi imprenditori hanno ottenuto il successo anche grazie a fattori esterni indipendenti dalle loro attitudini
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Mattia Darni
25.12.2023 06:00

Una persona nata in un contesto sociale difficile che grazie all’ingegno e al duro lavoro riesce a ottenere il successo e la prosperità economica: è il mito dell’uomo che si è fatto da sé, quello che in inglese chiamano self made man. Una visione romanzata e idealistica che da generazioni nutre il sogno americano e che, attraverso i film hollywoodiani, si è imposta anche nel Vecchio Continente. 

E se vi dicessero che non esistono uomini che si sono fatti da soli e che il sogno americano altro non è che una leggenda? È ciò che sostiene Malcolm Gladwell in Fuoriclasse – Storia naturale del successo (ed. Mondadori). Nel saggio, il giornalista scientifico del Washington Post e collaboratore del New Yorker dimostra la sua teoria analizzando i dettagli in apparenza insignificanti delle biografie dei campioni dello sport, dei geni della scienza e degli uomini d’affari multimilionari. Secondo Gladwell, infatti, «c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro modo di interpretare il successo» in quanto, guardando ai fuoriclasse, «vogliamo sapere come sono, conoscerne la personalità, sapere quanto sono intelligenti, che vita conducono, quali talenti innati possiedono» dando «per scontato che le caratteristiche individuali spieghino perché una certa persona abbia raggiunto l’apice». 

Quando per essere un campione conta il mese di nascita

Quello sportivo è nell’immaginario collettivo il luogo perfetto per realizzare il sogno americano. Quanti grandi campioni sono arrivati all’apice partendo da quartieri poveri e malfamati. Sembrerebbe insomma che, con un certo talento e una buona dose di impegno e di sacrificio, l’accesso all’olimpo sportivo sia garantito. E se a determinare il futuro successo di un giovane atleta non fossero le sue abilità, bensì il mese in cui è nato? 

Già, perché per essere un campione sarebbe necessario essere nati tra gennaio e marzo. A rendersene conto, spiega Gladwell, fu, a metà degli anni Ottanta, lo psicologo canadese Roger Barnsley. Analizzando la composizione di diverse leghe d’élite juniores di hockey del suo Paese, Barnsley si accorse che il numero di atleti nati nei primi tre mesi dell’anno era nettamente superiore a quello degli atleti nati nei nove mesi successivi. La stessa cosa valeva per la National Hockey League (NHL). 

Per sperare di diventare un campione, insomma, bisogna esser nati all’inizio dell’anno; ma perché? Il dato, all’apparenza curioso, ha in realtà una spiegazione razionale. Nell’hockey canadese il limite minimo per rientrare in una classe di età è il 1. gennaio: ciò significa che un ragazzo nato il 2 gennaio può avere in spogliatoio compagni nati alla fine di dicembre. Ora, soprattutto durante la preadolescenza, una differenza anagrafica di dodici mesi comporta un grande scarto dal punto di vista della maturità fisica: il giovane nato all’inizio dell’anno sarà molto più sviluppato rispetto a quello nato alla fine dello stesso. Al momento di selezionare i giocatori più idonei a entrare nelle squadre d’élite, dunque, gli allenatori sceglieranno quei ragazzi che, oltre a mostrare un certo talento, sono più maturi dal punto di vista fisico, ovvero quelli nati all’inizio dell’anno. 

Questa prima scelta arbitraria è foriera di una serie di conseguenze in base a cui gli atleti già considerati forti lo diventano ancora di più. Una volta entrati nelle selezioni d’élite, infatti, questi ragazzi si allenano in modo migliore, per più tempo e a fianco di compagni migliori e quindi lo scarto rispetto ai coetanei nati nella seconda parte dell’anno aumenta. 

Il fenomeno descritto da Barnsley non si limita solo all’hockey canadese, ma lo si ritrova anche nel calcio in Europa e nel baseball negli Stati Uniti. Gladwell sottolinea in particolare come «in Inghilterra la data di idoneità coincida con il 1. settembre e negli anni Novanta sia accaduto che nel massimo campionato di calcio ci fossero 288 giocatori nati tra settembre e novembre e soltanto 136 nati tra giugno e agosto». Nel calcio internazionale, osserva sempre il giornalista scientifico del Washington Post, la data per il calcio giovanile è il 1. gennaio e, dando uno sguardo alla rosa della selezione Under 20 della Repubblica Ceca del 2007, si può notare come 15 dei 21 giocatori selezionati fossero nati nei primi tre mesi dell’anno.  

L’opportunità fa l’uomo ricco

Si potrebbe pensare che quella dello sport professionistico sia un’eccezione: non è così. Anche in ambito imprenditoriale, a determinare il successo di una persona è, oltre al talento e al duro lavoro, tutta una serie di fattori esterni. 

L’esempio lampante, in questo senso, è Bill Gates. L’informatico statunitense certamente possiede un'intelligenza fuori dal comune, ma, evidenzia Gladwell nel suo libro, nel corso della vita ha potuto beneficiare di opportunità negate ad altri suoi coetanei magari dotati dello stesso genio. Innanzitutto, i genitori di Gates erano facoltosi e ciò ha permesso loro di iscrivere il figlio alla Lakeside Academy, una scuola privata per le famiglie bene di Seattle. Il dato è rilevante perché la scuola possedeva un club di informatica quando, siamo negli anni Sessanta, nemmeno la maggior parte delle università ne possedeva uno. Il computer della Lakeside era poi all’avanguardia: in un’epoca in cui il metodo di programmazione usato praticamente da tutti era quello a schede perforate, quello della scuola di Seattle era basato sul «time sharing», tecnologia che permetteva di programmare «in tempo reale» e perciò di razionalizzare il tempo rispetto a coloro che lavoravano ancora sul sistema a schede perforate. 

Quando la Lakeside Academy esaurì i fondi destinati al club informatico, per Gates si presentò un’altra opportunità: la madre di uno degli studenti della scuola aveva fondato, con un gruppo di programmatori dell’Università di Washington, un’impresa dal nome C-Cubed: se i ragazzi della Lakeside avessero verificato i software prodotti dall’azienda, in cambio avrebbero potuto utilizzarne gratuitamente il computer. Grazie alla frequentazione del centro informatico dell’Università di Washington, Gates entrò in contatto con la Information Sciences Inc. che, una volta che la C-Cubed andò in bancarotta, gli acconsentì di utilizzare gratuitamente il proprio computer in cambio dello sviluppo di un programma di gestione automatizzata dei libri paga dei dipendenti. 

Le concatenazioni fortunate per Gates non finiscono comunque qui. Quando l’azienda tecnologica TRW contattò uno dei fondatori della Information Sciences Inc., Bud Pembroke, per chiedere se fosse a conoscenza di programmatori che potessero sviluppare un software per la gestione della centrale elettrica di Bonneville, Pembroke fece il nome di Gates in quanto, agli albori della rivoluzione informatica, era difficile trovare persone con un’esperienza tanto specialistica quanto la sua. 

E se oltre a questa concatenazione di eventi fortuiti vi dicessero, proprio come per i campioni dello sport, che a determinare il successo di Bill Gates è stata anche la sua data di nascita? Già, perché la rivoluzione del personal computer iniziò nel 1975 quando la rivista Popular Electronics dedicò la copertina all’Altair 8800. Per non essere né troppo giovani né troppo vecchi e poter così sfruttare appieno le opportunità portate dalla rivoluzione informatica era auspicabile che nel 1975 si avessero circa una ventina di anni, cioè che si fosse nati nel 1954/1955. Ora, quando è nato Bill Gates? Il 28 ottobre 1955. A conferma di ciò, solo per fare alcuni esempi, troviamo poi la data di nascita di Steve Jobs, 24 febbraio 1955, e quella del presidente esecutivo (2015-2017) e consigliere tecnico (2017-2020) di Alphabet Eric Schmidt, 27 aprile 1955. 

Quelli degli sportivi d’élite e di Bill Gates sono solamente due tra i numerosissimi esempi portati da Malcolm Gladwell in Fuoriclasse – Storia naturale del successo. L’uomo che si è fatto da sé, lo abbiamo capito, non esiste. Ciò non significa che si debba rinunciare a inseguire i propri sogni abbandonandosi a un atteggiamento di rassegnato fatalismo. Quello che intende fare Gladwell nel suo libro è sottolineare come «per creare un mondo migliore occorra sostituire la combinazione di colpi di fortuna e vantaggi arbitrari – la data di nascita favorevole e gli eventi storici propizi – con una società che conceda a tutti le stesse opportunità». Un ideale utopico, insomma, al quale non è tuttavia sbagliato tendere. 

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