Stati Uniti

E se Apple diventasse una banca?

La collaborazione con Goldman Sachs si è arricchita di un nuovo prodotto, Savings, un conto di risparmio ad alto rendimento – Nel settore le preoccupazioni circa l'impatto del colosso di Cupertino non mancano
La presentazione di Apple Card, la carta di credito di Apple, nel 2019. © AP
Red. Online
22.04.2023 12:30

Anni fa, nel 2019, dopo mesi di lavoro congiunto Apple e Goldman Sachs rischiavano di mandare tutto all’aria. Il motivo? Apple Card, la carta di credito di Cupertino, o – meglio – lo slogan attraverso cui sarebbe stata lanciata sul mercato. Come rivela il Financial Times, infatti, il colosso tech voleva vendere il proprio prodotto come «la carta di credito più sicura di sempre». Affermando, così, con forza le proprie ambizioni nel settore finanziario. Goldman Sachs, tuttavia, temeva azioni legali e possibili ripercussioni. E così, di Apple Card si disse semplicemente che offriva «un nuovo livello di privacy e sicurezza».

Quattro anni più tardi, il produttore di iPhone sembra aver trovato il proprio posto anche fra i giganti della finanza. Tant’è che, sempre sfruttando le competenze di Goldman Sachs, ha lanciato due nuovi prodotti: Apple Pay Later, un «compra ora, paga dopo» che prevede la rateizzazione degli acquisti, e Savings, un conto di risparmio ad alto rendimento, che offre ai clienti statunitensi un tasso di interesse del 4,15%, 10 volte superiore alla media nazionale.

Un gigante

Il doppio annuncio ha creato qualche grattacapo all’interno delle altre banche. Una, fondamentalmente, la domanda: bisogna preoccuparsi se un’azienda tecnologica con 1,2 miliardi di utenti iPhone e una capitalizzazione di mercato pari a 2,6 mila miliardi di dollari, capace negli anni – grazie alla sua innovazione – di conquistare sempre più fette di mercati apparentemente lontani?

Di sicuro, le dimensioni monstre di Apple fanno tremare i polsi a qualsiasi banca globale, anche alle più grosse. La sua divisione servizi, prosegue il Financial Times, l’anno scorso ha generato 55 miliardi di dollari in termini di profitti. E parliamo, appena, di un quinto dei ricavi totali, più di JPMorgan e Citi messe assieme in ogni caso.

Apple, d’altronde, non ha mai nascosto le proprie ambizioni. Banalmente, ha rivoluzionato e continua a voler rivoluzionare l’industria dei pagamenti e, ora, dei conti bancari. Nell’ambiente, non a caso, l’azienda di Cupertino viene descritta (anche) come una banca. Per dirla con Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan, «se sposta denaro, detiene denaro, gestisce denaro, presta denaro, allora è una banca». Lo stesso Dimon ha messo in guardia gli investitori da una minaccia incombente, affermando che le «grandi aziende tecnologiche» dispongono di «enormi risorse in termini di dati e sistemi proprietari, che conferiscono loro uno straordinario vantaggio competitivo».

Da Apple Pay a oggi

Apple, appunto, da sempre ha cercato e ottenuto espansioni in nuovi settori. Non attraverso acquisizioni, ma con passi mirati e misurati. E, soprattutto, senza paura delle reazioni. Annunciato per la prima volta nel 2014, all’epoca dell’iPhone 6, Apple Pay inizialmente venne deriso nei primi anni di attività. Il suo utilizzo, tuttavia, nel 2022 è stato adottato dal 75% degli utenti iPhone nel mondo.  

C’è chi ha paragonato la forza di Apple a quella della natura. Lenta, magari, ma inesorabile. Gene Munster, managing partner di Deepwater, si immagina così il futuro della Mela nella finanza: «Ci vorranno cinque o dieci anni, ma per allora penseremo ad Apple come a Citi, JPMorgan e Wells Fargo».

Secondo tre ex dipendenti Apple, citati dal Financial Times, l’azienda produttrice di iPhone sta giocando una partita lunga, lunghissima nel settore finanziario e dei pagamenti. Le sue mosse attuali stanno gettando le basi tecniche per conquistare una quota maggiore del mercato. E, addirittura, per escludere dai circuiti di pagamento nomi di spicco come Visa e Mastercard.

Munster, al riguardo, ha spiegato che Apple ha una lunga storia di partnership con altri attori. Ma solo fino a quando non è vantaggioso andare avanti da soli. E infatti il sospetto è che questo sia il gioco finale anche nella finanza. «L’elenco degli ex partner di Apple che sono diventati obsoleti è lungo».

Il vantaggio di Apple? I dati

Le possibili, future vittime dell’ingresso di Apple sono i dispositivi di pagamento fisici per le carte di credito, il cui mercato – oggi – vale 48 miliardi di dollari. Verifone e Ingenico, i due leader, al momento non sembrano particolarmente preoccupati. Secondo altri analisti, l’unico interesse di Apple è mantenere i propri utenti, garantendo loro nuove offerte e possibilità e impedendo il passaggio al rivale Android. Non, quindi, diventare una banca tout court. Anche perché le banche, lo abbiamo visto pure in Svizzera di recente, sono soggette a una regolamentazione continua e costante. Apple o Google, insomma, cercano solo di offrire servizi per rendere i propri utenti ancora più legati al proprio ecosistema.

A dare un vantaggio incredibile ad Apple rispetto alle banche tradizionali, beh, sono i dati. Che potrebbero essere usati affinché gli utenti ottengano prestiti migliori. Così Charlotte Principato, analista di Morning Consult, una società di business intelligence: «Più informazioni si hanno su un consumatore, migliori sono le decisioni di prestito che si possono prendere. E Apple è seduta su una montagna di dati». Anche l’acquisizione di nuovi clienti, per Apple Card, presenta costi decisamente inferiori rispetto a quelli che devono sostenere le tradizionali compagnie di carte di credito.