Essere previdenti

Il terzo «comodo»

Nonostante il tasso minimo di legge dell'1,25% per la rimunerazione dei nostri averi previdenziali, le casse pensioni riescono a rimunerare di più, a vantaggio sia di chi percepisce una rendita, sia degli assicurati
Fabrizio Ammirati
30.11.2024 06:00

La previdenza professionale si basa sul principio della capitalizzazione. Ciò significa che per finanziare l’accumulo dei propri averi previdenziali e di conseguenza della propria pensione, si sommano durante gli anni di attività lavorativa i contributi mensili, dedotti dal salario, i contributi del datore di lavoro e il contributo del terzo pagatore, ossia la remunerazione sul capitale pensionistico che gli assicurati attivi ricevono ogni anno. Il valore della remunerazione degli averi di vecchiaia è estremamente importante perché incrementa quanto risparmiato e nel corso della vita lavorativa influenza fortemente l’accumulo degli averi di vecchiaia e quindi la pensione. Il risultato finanziario alla fine dell’anno degli istituti di previdenza è dunque estremamente importante, ma è solo uno degli ingredienti della formula che permette di determinare il tasso di remunerazione. Gli altri parametri sono, tra gli altri, la legge sulla previdenza professionale, la struttura demografica delle casse di previdenza, ossia il rapporto tra pensionati e assicurati attivi, il livello di solidità della cassa misurato anch’esso come rapporto tra patrimonio e impegni assunti e la discrezionalità dei membri dell’organo paritetico degli istituti di previdenza che in ultima istanza è chiamato alla decisione sul tasso di remunerazione.

Ma andiamo con ordine. Il Consiglio federale stabilisce di anno in anno la remunerazione minima della parte obbligatoria degli averi previdenziali, utilizzando le raccomandazioni della Commissione federale della previdenza professionale. La Commissione utilizza come parametri di valutazione, comunque non vincolanti per la propria raccomandazione, il tasso a dieci anni delle obbligazioni della Confederazione, l’andamento dei mercati azionari, obbligazionari e immobiliari. Nel mese di settembre di quest’anno la Commissione ha proposto di mantenere il tasso di remunerazione minimo pari a 1,25%, ciò che il Consiglio federale ha approvato nella sua seduta del 9 ottobre scorso.

Quindi l’1,25% appena discusso rappresenta il minimo di legge, sotto il quale le casse pensioni non possono andare. Fissato il minimo, i ragionamenti si spostano sulla struttura demografica degli istituti di previdenza. Casse più «anziane», ossia con una quota maggiore di pensionati rispetto agli assicurati attivi, avranno meno spazio per remunerare gli averi di vecchiata degli assicurati, perché la precedenza va data alla remunerazione delle rendite pensionistiche, che è un valore fisso implicito nel tasso di conversione. Anche la solidità finanziaria delle casse gioca un ruolo determinante nella fissazione del tasso di remunerazione: le casse meno «sane», ossia dove il rapporto tra attività e passività è più vicino alla parità, saranno molto più inclini a incrementare le riserve, destinando una buona parte del rendimento finanziario generato alla costituzione delle riserve di oscillazione valori che servono per gli anni, come il 2022 ad esempio, quando i risultati finanziari sono negativi e il rendimento minimo di legge va comunque pagato. Alla fine, l’organo paritetico, ascoltato il parere del perito in materia di previdenza professionale che valuta in maniera approfondita tutti gli elementi visti finora, stabilisce il tasso di remunerazione da applicare agli averi di vecchiaia. Nel suo ultimo rapporto sulle casse pensioni in Svizzera la società di consulenza PCC Metrics, ha calcolato che nella decade 2014-2023, la remunerazione effettiva che gli istituti di previdenza hanno pagato in media sui capitali di vecchiaia è stata pari al 2,26% annuo, ben al di sopra del minimo di legge pari all’1,15% medio annuo sul medesimo periodo. Ottimo lavoro, se si considera che la decade in considerazione ha visto gli istituti di previdenza confrontarsi con tassi di interesse nulli o addirittura negativi sugli investimenti obbligazionari, con una pandemia di portata mondiale, con shock inflattivi e tensioni geopolitiche. Facendo i debiti scongiuri, vista la performance realizzata fino a novembre di quest’anno e il livello medio delle riserve degli istituti di previdenza, la remunerazione per il 2024 potrà essere in molti casi superiore al minimo fissato dal Consiglio federale. Buone notizie per gli assicurati, dunque.