Le altre vittime

La guerra nel granaio del mondo avrà un prezzo da pagare in fame

Le sanzioni contro la Russia e lo stop all’agricoltura in Ucraina stanno già avendo l’effetto di un domino globale – Nel mondo 12 calorie su 100 consumate ogni giorno vengono dai due Paesi – Molto ora dipenderà dalla durata delle ostilità sul campo
Ferdinando Cotugno
28.03.2022 06:00

La guerra rischia di essere l’innesco di un’altra crisi globale, parallela a quella dell’energia: nel mondo 12 calorie su 100 consumate ogni giorno vengono dalla Russia o dall’Ucraina, che insieme rappresentano il 30% delle esportazioni di grano e che producono altri elementi chiave dell’alimentazione mondiale come olio di girasole per cucinare (la metà di quello usato nel mondo è ucraino) e fertilizzanti per coltivare. Per il capo economista della FAO, Maximo Torero, un accesso più limitato ai fertilizzanti russi può valere, da solo, un crollo della produzione di cibo del 30% in Africa. Ci sono quasi 50 Paesi che dipendono da Russia e Ucraina per almeno il 30% del loro grano, per 26 tra loro la dipendenza supera il 50%. Tra i paesi più vulnerabili ci sono il Libano, l’Egitto, il Bangladesh, la Turchia, l’Indonesia.

Crisi senza precedenti

Le sanzioni contro la Russia e lo stop all’agricoltura in Ucraina stanno già avendo l’effetto di un domino globale. I prezzi del grano sono saliti del 21%, quelli dell’orzo del 33%, quelli dei fertilizzanti (la cui produzione risente molto anche degli sbalzi sul mercato dell’energia) del 40%. I costi operativi del Programma alimentare mondiale (WFP) sono cresciuti di 71 milioni di dollari nel giro di un mese, sono state già tagliate le razioni quotidiane per 3,8 milioni di persone. Le parole più cupe le ha trovate proprio il direttore esecutivo del WFP, David Beasley, in un documento ufficiale: «Non abbiamo altra scelta che togliere il cibo da chi ha fame per darlo a chi sta morendo di fame, è una crisi senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale». In questo momento, nel mondo, ci sono 811 milioni di persone che non riescono ad avere le calorie necessarie per vivere in modo sostenibile, 283 milioni di persone in sofferenza alimentare acuta e 45 milioni sull’orlo della carestia. Tra i Paesi che osservano con più ansia gli sviluppi della situazione, ci sono quelli che maggiormente dipendono dagli aiuti alimentari internazionali: l’Afghanistan, dove una siccità lunga due anni si è innestata sul caos politico, la Siria, l’Etiopia, lo Yemen.

Gli effetti della siccità

Sono i numeri di una situazione sulla quale già due anni di pandemia avevano colpito con durezza. Ai primi lockdown, però, il sistema si era dimostrato pronto e resiliente, lo choc è stato troppo lungo: dopo essere stata piatta per cinque anni, la curva della fame aveva già iniziato la sua risalita l’anno scorso, con un brusco aumento del 18%. Nel domino della guerra, sulla situazione alimentare globale bisogna inserire anche gli effetti della siccità e di altri eventi estremi sull’agricoltura in Paesi chiave per il sistema: in Cina, le alluvioni del 2021 hanno causato il peggiore raccolto da decenni. «Stiamo affrontando gravi difficoltà nella produzione di cibo per gli allagamenti dello scorso autunno. Molti tecnici ci dicono che le condizioni dei nostri campi coltivati sono le peggiori della storia», ha detto il ministro dell’agricoltura Tang Renjian. La produzione cinese di grano è crollata del 20%, in aggiunta alla siccità che potrebbe eliminare l’8% del riso entro la fine del decennio. Il risultato è che la Cina dovrà acquistare di più da mercati internazionali già in crisi, facendo volare ulteriormente i prezzi verso l’alto. L’ex direttrice del WFP, Ertharin Cousin, ha definito la sequenza di pandemia, crisi energetica e conflitto armato nel contesto del cambiamento climatico «una tempesta perfetta».

Il caso dell'Egitto

Gli effetti della guerra si dispiegheranno nei prossimi mesi e dipendono molto dalla durata delle ostilità sul campo. Al momento dell’invasione russa, i due terzi delle esportazioni ucraine di quest’anno erano già partite. Poi la navigazione nel Mar Nero si è fermata e con loro anche il resto dei carichi alimentari. Il WFP stima che 14,5 milioni di tonnellate di grano e 16 milioni di tonnellate di mais destinate al mercato internazionale sono rimaste ferme nei depositi. Dai combattimenti dipenderà la capacità dell’agricoltura ucraina di semina in primavera e raccolto in estate. L’effetto è un domino, perché altri Paesi stanno chiudendo le esportazioni per proteggere la propria sicurezza alimentare. In Africa il più dipendente dall’Ucraina e dalla Russia è l’Egitto, che ha fermato la vendita dei suoi grani autoctoni verso l’Africa subsahariana, memore di come l’instabilità politica delle Primavere arabe arrivò al picco di un’altra crisi alimentare, alla fine degli anni zero. In quel caso la tempesta perfetta aveva avuto cause simili: prezzi energetici (sopratutto del petrolio), concorrenza dei biocarburanti, scompensi climatici, ma non c’era una guerra nel granaio del mondo ad aggravare il tutto. Allo stesso modo l’Indonesia ha rallentato l’esportazione di olio di palma, un tempo capro espiatorio ambientale e oggi richiesto come sostituto dell’olio di girasole. Il peggio di questa crisi alimentare colpirà l’Africa e l’Asia meridionale, anche perché il riscaldamento globale ha progressivamente fatto migrare la coltivazione di cereali verso nord. Il grano ha origine in Medio Oriente, ma scarsità cronica di acqua alle latitudini più vicine all’equatore ha reso Paesi come Canada, Stati Uniti, o Russia e Ucraina, molto più adatti a coltivarlo. L’Egitto proverà ad aumentare la produzione autoctona, ma la coltivazione avrà bisogno di costante irrigazione, con un fabbisogno al di sopra delle capacità idriche del Paese in questa fase storica e climatica.

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