L'intervista

«L’industria dell'auto risponde con prezzi più alti e meno produzione»

L’economista Francesco Zirpoli spiega le strategie adottate dai grandi marchi negli ultimi 20 anni – I dazi degli Stati Uniti non incidono sul mercato interno
© KEYSTONE/DPA/A3537/_Marijan Murat
Dario Campione
04.08.2025 06:00

Francesco Zirpoli, ordinario di Economia aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, studia e analizza da anni le principali questioni legate all’industria automobilistica e fa parte del comitato editoriale dell’International Journal of Automotive Technology and Management. «La crisi dell’auto in Europa - dice al Corriere del Ticino - non si è ancora vista nei bilanci dei produttori, bilanci tuttora in attivo, ma pesa già molto per la filiera, per chi, cioè, fa componenti e sistemi. A valle dell’epidemia di Covid-19, che possiamo considerare un autentico spartiacque, c’è stata l’accelerazione di un processo in atto da tempo, caratterizzato dall’innalzamento dei prezzi medi di listino e dalla riduzione dei volumi». In sostanza, spiega Zirpoli, le imprese fabbricano meno auto e più costose, «in modo da non intaccare la propria marginalità, i propri profitti. Di fronte a volumi più bassi, però, tutta l’industria dell’indotto si è trovata schiacciata ed è entrata in crisi».

Nel lungo periodo, «parliamo degli ultimi 20 anni - dice ancora l’economista di Ca’ Foscari - i prezzi medi delle auto sono aumentati del 66%, rispetto a un’inflazione cresciuta “soltanto” del 38%. Nei mercati del Sud e dell’Est Europa, quelli nei quali i consumatori hanno minore capacità di spesa, è venuto a mancare il prodotto più economico, la fascia di mercato a prezzo basso, diventata rapidamente mercato di attacco dei produttori asiatici, coreani e cinesi».

I dazi americani

Se i grandi marchi europei non temono, al momento, la riduzione dei volumi, forse guardano con maggiore preoccupazione alle politiche aggressive della nuova amministrazione di Washington. «L’Europa è un esportatore netto, i dazi possono danneggiare chi, dal Vecchio Continente, vuole espandere le vendite negli Stati Uniti, in particolare le industrie tedesche - dice Francesco Zirpoli - Dal punto di vista della domanda interna, invece, i dazi cambiano nulla. I consumatori europei possono piuttosto subire il contraccolpo dei dazi imposti alla Cina, Paese dal quale importiamo i veicoli meno costosi. Paradossalmente, una tassa che colpisce soprattutto le fasce meno ricche della popolazione».

Cambiamenti sociali

Altre due questioni meritano attenzione quando si discute della crisi dell’auto in Europa. La prima è il cambio di abitudini sociali, il fatto cioè che i giovani sempre meno sono attratti dalla patente e dalla macchina. «È un fattore che influisce molto nelle grandi aree urbane - sostiene Zirpoli - ma non dove mancano servizi sostitutivi efficienti, dove non c’è un trasporto pubblico locale sviluppato ed esteso. In queste zone, la domanda di auto resta forte, ma il basso potere d’acquisto dei consumatori impedisce di sostituire la vecchia auto con una nuova, innalzando in questo modo l’età media del parco circolante». Il secondo fattore è il mancato appeal delle auto elettriche, segmento che non sembra piacere agli automobilisti. «Una falsa questione - dice però Zirpoli - una vulgata che, per chi si occupa del tema da anni, è perlomeno frustrante. Henry Ford diceva: “se chiedessi agli americani cosa vogliono, mi direbbero cavalli più forti”. Non sono i clienti a poter stabilire l’offerta. L’elettrico è coerente con il modello di innovazione, ma è ancora per pochi perché le performance della tecnologia e i costi sono elevati, pur tendendo a migliorare rapidamente. In media, in Europa, siamo al 16%, ma nei prossimi anni ci sarà un’accelerazione. Le auto ibride furono lanciate da Toyota all’inizio degli anni ’90, dopo 25 anni oggi quasi tutte le auto sono ibride. Lo stesso accadrà con l’elettrico».