L'intervista

Ma come sono uscite Casio e Renault dalla vicenda Piqué-Shakira?

Cattiva pubblicità significa pessimi affari? Niente affatto, o meglio non è detto: ne abbiamo parlato con il professor Vincenzo Russo dello IULM
© Twitch
Marcello Pelizzari
18.01.2023 09:30

Shakira, ancora lei. Piqué, ancora lui. Stavolta, però, al centro non c’è la canzone-vendetta che tanto ha fatto (e sta facendo) discutere. No, c’è l’effetto che l’ondata generatasi sui social ha avuto e potrebbe avere sui marchi coinvolti, in primis quelli – teoricamente – usciti peggio: gli orologi Casio e Twingo, l’utilitaria della Renault. Teoricamente perché, in realtà, la cattiva pubblicità non sempre si traduce in pessimi affari. Anzi, c’è modo perfino di guadagnarci qualcosa. Per capirne di più abbiamo fatto una chiacchierata con Vincenzo Russo, professore presso la Libera università di lingue e comunicazione IULM di Milano, dove fra gli altri si occupa del corso di Psicologia dei consumi e neuromarketing.

Professore, la polemica Piqué-Shakira oramai è sulla bocca di tutti. Partiamo da una considerazione banale: Casio e Renault possono ritenersi soddisfatte, come aziende, dello scambio di battute e vedute fra la cantante e l’ex calciatore?
«La cosa più intelligente da fare, in questi casi, è cavalcare l’onda. Guai, insomma, se un’azienda facesse finta di nulla. Credo che tanto Casio quanto Renault abbiano fatto questo. Sì, hanno giocato con la visibilità social che ha avuto la vicenda. Cavalcandola, appunto. È ovvio, d’altro canto, che non si potrà mai confrontare una Ferrari con una Twingo. Tradotto: la Twingo in quanto automobile non ha problemi, come non ne ha un orologio Casio che, a sua volta, non può essere paragonato a un Rolex. L’abilità, allora, sta proprio nel giocare la carta dell’essere diversi. Va pure detta un’altra cosa».

Prego…
«Quello che fino a poco tempo fa era un must, una regola fondamentale, ovvero la fedeltà alla marca, oggi non esiste più. I consumatori tengono comportamenti molto più ondivaghi, per cui in determinate occasioni potrebbero indossare un Casio e in altre un Rolex».

Sui social, in questi giorni, siamo stati letteralmente bombardati. Casio, Rolex, Ferrari, Twingo. Come si traduce tutto ciò a livello di consumi e consumatori? Formuliamo meglio: è possibile che, ora, le vendite di Casio ad esempio miglioreranno?
«È possibile, sì. Di fronte a situazioni del genere, apparentemente ridicole, ci chiediamo quale sarà il comportamento razionale dei consumatori. Ma i consumatori non sono razionali. Per tanto tempo ci è stato detto che siamo macchine pensanti che si emozionano. Le neuroscienze, invece, ci dicono che la prima parte del cervello ad attivarsi di fronte a qualsiasi stimolazione è quella dell’emozione. Perciò, in realtà siamo macchine emotive che pensano. Quindi, se mi sento ripetere di continuo parole come Casio, Rolex e via discorrendo si scatena un meccanismo di curiosità».

Più un prodotto viene esposto e reso familiare, e la pubblicità tutto sommato fa questo, più diventa gradevole e piacevole. Alla fine, di fronte a tanti stimoli, ad esempio davanti a uno scaffale, il prodotto che conosco mi piacerà di più

Curiosità e familiarità, giusto?
«Sì, è un altro elemento da tenere presente. Ed è uno degli effetti più noti quando parliamo di psicologia dei consumi. Il termine tecnico è mera esposizione. Più un prodotto viene esposto e reso familiare, e la pubblicità tutto sommato fa questo, più diventa gradevole e piacevole. Alla fine, di fronte a tanti stimoli, ad esempio davanti a uno scaffale, il prodotto che conosco mi piacerà di più. Perché? Per il cervello più antico, quello primario, tutto ciò che è familiare non è pericoloso e, di per sé, è attrattivo».

Quanto aiuta, in questo senso, l’effetto social?
«Sui social la vicenda ha avuto ampia copertura, grazie anche all’ironia e a condivisioni di meme. Per un’azienda, tutto ciò si trasforma in un’occasione per far parlare di sé e per essere memorizzati. A parità di condizioni di acquisto, dunque, perché una vicenda come questa non dovrebbe stimolare le vendite dei marchi coinvolti? Attenzione, però: il processo non è automatico e sarebbe errato o quantomeno azzardato affermare che sì, sicuramente ci sarà un aumento delle vendite. Di sicuro, ripeto, i vari brand citati rimarranno nella memoria dei consumatori. Per questo è importante che le aziende non restino in silenzio».

Che cosa vorrebbe dire stare in silenzio?
«Due cose. Primo: che le aziende non hanno la capacità di rispondere velocemente a eventuali sollecitazioni. Secondo: che le aziende non hanno la necessaria lucidità e la giusta ironia per poter giocare con una visibilità indubbiamente non voluta ma ineludibile. Una visibilità che, come detto, potrebbe pure aprire a degli affari».

Se ho scelto un prodotto e, poi, quel prodotto per un motivo o per l’altro ha una piccola deficienza, la citata dissonanza fa in modo che quell’elemento di negatività venga rimosso o considerato non importante

Girando la questione, se sono un cliente affezionato di un marchio – alla fine – chi dice cosa è secondario. Shakira, nel concreto, può denigrare quanto vuole Casio ma se è il mio orologio preferito niente e nessuno potrà togliermelo.
«C’è un meccanismo molto interessante, chiamato dissonanza cognitiva: se ho scelto un prodotto e, poi, quel prodotto per un motivo o per l’altro ha una piccola deficienza, la citata dissonanza fa in modo che quell’elemento di negatività venga rimosso o considerato non importante».

Può farci un esempio pratico?
«Tutti i fumatori sanno perfettamente che il fumo fa male. Eppure, continuano a fumare nonostante le comunicazioni e i riferimenti al fatto che il fumo provochi il cancro. Qui entra in gioco la dissonanza cognitiva. C’è chi afferma che esistono altre cose molto più pericolose o chi, ancora, ricorda casi come il nonno che ha fumato per novant’anni e non è certo morto di tumore. Detto in altri termini, troviamo sempre degli escamotage. Venendo a Piqué e Shaqira, esistono aziende con marchi talmente potenti che un piccolo neo non provoca conseguenze. Il discorso cambia se un brand, per contro, non ha ancora alle sue spalle innamorati e clienti fidelizzati».

In parte ha già risposto a questa domanda, ma gliela proponiamo lo stesso. Shakira, in pochissimo tempo, ha raggiunto milioni e milioni di visualizzazioni con il video della sua canzone. Significa che, per le aziende coinvolte, il tempo di reazione era ridottissimo. Come la mettiamo?
«Le tematiche legate alla comunicazione di crisi hanno subito certamente un’accelerazione in termini di attenzione e sensibilità. Ci sono grosse aziende, da Nestlé in giù, che investono tanto per tenere sotto controllo le informazioni. Anche perché, come detto, rimanere in silenzio è il peggio che possa capitare. E ce lo insegna, a suo modo, proprio Nestlé: negli anni Settanta, l’azienda venne associata alla vendita di latte in polvere scaduto ai Paesi africani. Erano fantasie, ma crebbero fino a diventare un problema reale per Nestlé. Perché? L’azienda non seppe dare una risposta rapida, con tutto che allora non c’era Internet di mezzo. Preferì adottare una strategia del tipo vabbè, tanto passerà. Non passò, tant’è che ancora oggi quando chiedo ai miei studenti di indicare un problema storico di Nestlé ricevo delle risposte fuori dal mondo: il latte scaduto, il fatto che venisse usato assieme ad acqua inquinata e altro ancora. Stupidaggini colossali, quando all’epoca semmai il vero problema dell’azienda era che il prezzo del latte in polvere fosse troppo alto».

Rimaniamo sul caso singolo: come si comporta, oggi, Nestlé?
«Nestlé oggi ha una capacità di fuoco impressionante. In azienda c’è un’intera sala deputata al controllo dei social, con decine e decine di giovani coinvolti. E l’intercettazione delle notizie false funziona. Tempo fa, Nestlé fu ingiustamente accusata di aver bruciato una foresta in Indonesia per ricavarne piantagioni di palma da olio e, nel processo, di aver ucciso un orango. Intanto, Nestlé non usava e non usa olio di palma: quindi c’era già un primo elemento di falsità. Poi, in poche ore il team seppe dimostrare che quell’incendio e quell’orango erano legati a una mossa di alcuni allevatori. Oggigiorno, riassumendo, bisogna essere capaci di muoversi in un certo modo sui social. E bisogna avere una maturità di marketing superiore, sia come velocità di esecuzione sia come intelligenza nelle risposte. Casio e Twingo, mi sembra di poter dire, hanno abbracciato bene queste necessità».

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