Ma davvero UBS sta pensando al trasferimento negli Stati Uniti?

«UBS valuta il trasferimento negli Stati Uniti per evitare le nuove fastidiose normative». Così titola un articolo del New York Post, il quale solleva dubbi sulla possibile decisione di delocalizzare da parte della maggiore banca elvetica.
Che cosa è successo
Lo scorso 30 luglio, il presidente della direzione di UBS Sergio Ermotti ha criticato duramente i previsti inasprimenti dei requisiti patrimoniali per la grande banca: sono «sproporzionati ed estremi», ha affermato. A inizio giugno, lo ricordiamo, sono state presentate le proposte del Consiglio federale per una regolamentazione più severa delle banche di importanza sistemica. UBS si dice d’accordo con la maggior parte delle misure elaborate in seguito al tracollo di Credit Suisse, ma non condivide l’esigenza di rendere le filiali estere completamente supportate da capitale proprio. Secondo Ermotti la casa madre trae vantaggio dalle sue controllate oltre frontiera: UBS ha avuto successo «grazie e non malgrado la sua impronta globale». Ha inoltre parlato di una «forte cultura della gestione del rischio» da parte della sua società, sottolineando inoltre i servizi forniti da UBS alla Svizzera e il sostegno ai contribuenti. Il CEO ha avvertito che se i piani del Governo dovessero essere attuati come previsto, ciò comporterebbe costi significativi per l’impresa. UBS continuerà quindi a «partecipare attivamente al dibattito sui futuri requisiti normativi in Svizzera». Contribuirà «con tutti i fatti e i dati» a sua disposizione.
Se le proposte del Consiglio federale saranno attuate come comunicato tre mesi e mezzo fa, UBS avrebbe bisogno di ulteriore capitale proprio per circa 24 miliardi di dollari (19 miliardi di franchi). L’importo si aggiungerebbe ai circa 18 miliardi di dollari che UBS deve già detenere in più in seguito all’acquisizione di Credit Suisse. UBS vuole rimanere in Svizzera, ma non vuole adattare il suo modello d’affari, né optare per un ridimensionamento dell’attività: è questo, in estrema sintesi, il pensiero espresso da Ermotti, alla luce del dibattito sempre acceso sulla capitalizzazione della banca e sui rischi che il maxi-istituto potrebbe rappresentare per la Confederazione e i contribuenti elvetici. L’obiettivo è sempre stato quello di operare con successo dalla Svizzera, ha affermato rispondendo a una domanda su un eventuale trasferimento della sede all’estero, in caso di significativo inasprimento dei requisiti patrimoniali (si è speculato su Singapore, Hong Kong, Londra o New York come possibili nuove sedi). UBS si concentra invece sulla possibilità di rimanere in Svizzera. «Non voglio avanzare oggi congetture su ciò che dovrebbe o potrebbe essere fatto: l’attenzione si concentra ora sull’integrazione di Credit Suisse e sull’investimento nel futuro della banca». Allo stesso tempo, anche un eventuale ridimensionamento non è considerato un’opzione: «lo escludo», aveva tagliato corto il manager. L’impresa non ha nemmeno intenzione di cambiare la strategia in relazione alle attività negli Stati Uniti. «Non vedo come UBS possa avere successo a livello internazionale senza essere attiva negli Stati Uniti».
L'indiscrezione del «New York Post»
Dicevamo del New York Post. Il quale scrive che UBS starebbe «intensificando le minacce di lasciare la Svizzera e di trasferirsi negli Stati Uniti» in risposta all'inasprimento dei requisiti patrimoniali voluto da Berna. «I dirigenti della banca svizzera hanno recentemente incontrato i funzionari dell'amministrazione Trump per prepararsi a un possibile cambiamento strategico radicale che potrebbe includere l'acquisto di una banca statunitense o una fusione, secondo fonti vicine alla questione». La necessità di aumentare il capitale proprio «di circa 26 miliardi» di dollari «renderebbe impossibile competere a livello globale».
Secondo il New York Post, che cita «fonti vicine alla questione», i dirigenti di UBS starebbero «elaborando un piano per trasferire la sede centrale da Zurigo agli Stati Uniti, dove sperano di ottenere un contesto normativo più permissivo». Un portavoce, sollecitato, non ha rilasciato dichiarazioni, ma «non ha negato di avere incontrato funzionari di Trump in merito al potenziale nuovo quartier generale statunitense». Una portavoce del segretario al Tesoro Scott Bessent ha rifiutato di commentare, senza negare i colloqui in corso. Un funzionario dell'amministrazione del presidente USA a conoscenza della questione ha confermato l'intenzione di convincere aziende straniere – come UBS – a operare negli Stati Uniti. «Questo è ciò che vogliamo».
Sul piatto, viene detto, ci sarebbero tre possibili scenari: l'acquisizione di UBS da parte di una banca americana, una fusione e il trasferimento della sede centrale da Zurigo agli Stati Uniti. Istituti di medie dimensioni come PNC Financial e Bank of New York sono citati come potenziali obiettivi di acquisizione. Contattato dal New York Post, l'ufficio stampa di UBS non ha commentato la possibilità di un simile cambiamento strategico. Parlando con Bloomberg, la banca si è limitata a ricordare le recenti dichiarazioni di Sergio Ermotti, secondo cui è ancora «troppo presto» per ipotizzare scenari di risposta a un aumento dei requisiti patrimoniali.