Parità salariale, la strada è lunga e in salita ma tracciata
Passano gli anni, ma la differenza di reddito tra uomini e donne tende a diminuire troppo lentamente. La Svizzera, come anche altre economie avanzate, non sfugge al fenomeno della disparità salariale. Nel 2023 la differenza di reddito tra uomini e donne ammontava al 18%, ovvero in media a circa 1500 franchi al mese. E ciò nell’insieme dell’economia. Questo vuol dire che una parte consistente dei partecipanti al mercato del lavoro percepisce redditi più bassi, ha una minore autonomia finanziaria rispetto ai propri colleghi e perde preziosi contributi previdenziali che verrebbero comodo negli anni a venire quando le entrate scenderanno per quasi tutti. Gli ultimi dati a questo proposito sono stati diffusi questa settimana dall’Ufficio federale di statistica e confermano la tendenza al mantenimento di questo divario, o gender gap che non è sempre uguale ma tende ad aumentare nel corso della vita: al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro è minimo, ma continua a crescere fino a raggiungere il picco prima del pensionamento. Eppure, la Costituzione federale sancisce il principio che a parità di lavoro e di competenza, corrisponda parità di salario. La Confederazione, giustamente, si è impegnata a rimuovere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento di questo obiettivo.
Le differenze salariali sono leggermente più marcate nel settore privato, rispetto a quello pubblico: il 19,5% contro il 15,1%. Quest’ultimo dovrebbe però aver più strumenti per impedire o ridurre il gender gap. Circa la metà di questo divario (48%) è comunque spiegabile – che non vuol dire giustificabile – da dati oggettivi come il tipo di occupazione, il settore di attività, la formazione posseduta e la posizione professionale occupata. La restante differenza costituisce la cosiddetta quota non spiegabile e che nasconde la discriminazione salariale di genere. Eliminare le disparità spiegabili o meno, non solo salariali, è quindi un modo per creare una società più inclusiva, meno conflittuale e allo stesso tempo un’economia più dinamica. Fermiamoci al solo salario.
Percepire lo stesso compenso, per un impiego di pari valore, è un presupposto fondamentale per consentire alle donne di entrare o ritornare nel mercato del lavoro dopo un periodo di assenza per la maternità, ad esempio. Rinunciare al potenziale femminile vuol dire rinunciare a competenze professionali, culturali e peculiari specifiche di una componente importante della società. Le aziende, alla ricerca di professionalità, avrebbero a disposizione un bacino più piccolo da cui attingere, mentre l’ente pubblico dovrebbe rinunciare a entrate fiscali. Inoltre, un sistema previdenziale alimentato da contributi calcolati su una base salariale più bassa determina anche pensioni inferiori per le donne e costi sociali più alti durante la vecchiaia. Nel 2020 è stato calcolato in Svizzera anche il gender pension gap, ovvero la differenza tra le rendite pensionistiche degli uomini e quelle delle donne. Il risultato? Un divario del 30,8%. La strada verso la parità è lunga e in salita, ma almeno è tracciata.