L'intervista

«Questa volta non sarà diverso: l'inflazione è destinata a calare»

L'inflazione, anche in Svizzera, sebbene in misura inferiore rispetto agli altri Paesi industrializzati, ha corso molto – Cosa possiamo aspettarci in questo ambito? Ne abbiamo parlato con Burkhard Varnholt, Chief Investment Officer di Credit Suisse
Roberto Giannetti
17.08.2022 06:00

In questo momento a livello mondiale l’attenzione di banche centrali, aziende e famiglie è rivolta all’inflazione, che anche in Svizzera, sebbene in misura inferiore rispetto agli altri Paesi industrializzati, ha corso molto. Cosa possiamo aspettarci in questo ambito? Ne abbiamo parlato con Burkhard Varnholt, Chief Investment Officer di Credit Suisse. 

L’inflazione è passata in due anni da circa -1% al +3,4% di luglio. Lei crede che questo trend al rialzo sia destinato a proseguire?

 «No. La storia suggerisce che l’inflazione è molto “variabile”. Gli aumenti rapidi sono generalmente seguiti da cali simili. L’attuale shock inflazionistico è il risultato di tre shock indipendenti. In primo luogo, ci sono i lockdown da COVID, che hanno distorto le catene di approvvigionamento globali. In secondo luogo, si sono verificate enormi oscillazioni nella domanda di beni durevoli quando i consumatori hanno incassato i soldi degli stimoli pubblici e risparmiato sulle vacanze annullate. Terzo, la guerra in Ucraina, che ha spinto i prezzi del gas verso nuovi record. Tuttavia l’inflazione tende ad essere “autodistruttiva”. In primo luogo, l’inflazione misura solo 12 mesi di aumento dei prezzi. È davvero possibile che i prezzi del petrolio e del gas, che rappresentano oggi il 70% dell’inflazione, raddoppieranno ancora nei prossimi dodici mesi? In secondo luogo, l’aumento dei prezzi alla fine riduce i consumi. Questa volta non sarà diverso». 

Le aziende a causa di questa corsa dei prezzi devono sostenere costi di produzione maggiori, che non sempre riescono a trasferire ai clienti. Probabilmente alcune saranno costrette a ridurre il personale. Lei crede che questa inflazione potrà avere un effetto anche sull’occupazione e sulla crescita economica? In che misura?

«Ebbene sì, certo. Ma non dimenticare che la disoccupazione è attualmente ai minimi storici. Così bassa, infatti, che molte aziende accoglierebbero favorevolmente un mercato del lavoro che consenta loro di assumere più lavoratori. In definitiva, questi shock dei costi di solito danno origine a una maggiore produttività, motivo per cui c’è un vantaggio per l’economia, anche in tempi difficili come questi».

Quanto ritiene probabile che in Svizzera si possa verificare una spirale inflazionistica, ossia che l’aumento dei prezzi porti ad un aumento dei salari, che a sua volta spinga il rincaro? E in che misura esiste questo rischio in Europa?

«Il meccanismo chiave di trasmissione della spirale inflazionistica sarebbe solitamente il mercato del lavoro. Tuttavia il mercato del lavoro svizzero è uno dei più flessibili d’Europa. La maggior parte delle aziende svizzere è stata finora in grado di trasferire i costi più elevati sui consumatori o di proteggere i propri guadagni attraverso una maggiore produttività. Detto questo, altri mercati del lavoro europei, come quelli di Germania, Francia o Italia, sono decisamente meno flessibili e potrebbero rendere l’inflazione un po’ più “resistente”».

L’accelerazione della corsa dell’inflazione ha ragioni solo in parte economiche, ossia dovute ad un eccesso di domanda legata alla ripresa post-pandemica. Piuttosto è dovuta a fattori «esogeni» come la guerra in Ucraina, le difficoltà di approvvigionamento e i lockdown cinesi. In questo contesto quanto sono efficaci gli aumenti dei tassi di riferimento da parte delle banche centrali e anche da parte della Banca nazionale svizzera?

«Beh, in effetti gli aumenti dei tassi non sono affatto ideali. Per abbassare i prezzi del gas si dovrebbe davvero persuadere la Russia a porre fine alla sua guerra contro l’Ucraina. Nel frattempo tutto ciò che le banche centrali possono fare è ridurre la domanda globale aumentando il costo del capitale. Questo è il dilemma. Le banche centrali non hanno causato questa inflazione e non hanno la cassetta degli attrezzi per porvi fine rapidamente. L’opera fondamentale di Leon Tolstoi “Guerra e pace” ha molto da dire sulle vere cause profonde dell’inflazione. La pace è disinflazionistica mentre la guerra provoca sempre inflazione».

Quali sono gli effetti che questa situazione può avere sui mercati finanziari? E quali rischi corrono i listini azionari, che hanno già perso parecchio terreno?

«Bene, abbiamo già visto l’impatto sui mercati, vero? La prima metà del 2022 ha segnato il peggior primo semestre per i mercati azionari in circa cento anni. Continuerà? Non credo. I mercati hanno probabilmente ormai scontato molte delle cattive notizie. Forse l’inflazione raggiungerà il picco nella seconda metà del 2022, alleviando parte della pressione sulle banche centrali. Mentre l’economia globale si indebolirà nei prossimi sei-dodici mesi, i mercati inizieranno presto a guardare oltre. Quando poi la politica monetaria passerà di nuovo dalla modalità “falco” a “accomodante”, potremmo assistere a venti più favorevoli sia per le azioni, sia per le obbligazioni. Perché nonostante tutto questo non bisogna ancora smettere di sperare sui consumatori e sulle aziende. Sono molto resilienti».