Rischi «democratizzati»

Dopo il record storico di giusto un mese fa – quando è arrivato a quotare poco sopra 123 mila dollari – e la successiva fase di ribasso (o assestamento), lunedì le quotazioni del Bitcoin sono balzate nuovamente, raggiungendo un massimo di 122.308 dollari. Dietro questo balzo c’è verosimilmente la notizia, di venerdì scorso, relativa all’ordine esecutivo firmato dal presidente Trump che consentirà ai piani pensionistici individuali - i famosi 401(k) - di detenere una maggiore quota di «investimenti alternativi», tra cui gli asset digitali.
«La mia amministrazione alleggerirà gli oneri normativi e il rischio di contenziosi che impediscono ai fondi pensione dei lavoratori americani di ottenere i rendimenti competitivi e la diversificazione degli asset necessari per garantire una pensione dignitosa e confortevole», si legge nel decreto, intitolato Democratizing Access To Alternative Assets For 401(K) Investors.
Nel concreto, l’ordine esecutivo incarica il Dipartimento del Lavoro e la Securities and Exchange Commission (SEC) di facilitare l’accesso dei lavoratori agli investimenti alternativi nei loro piani pensionistici, senza necessariamente aggiungere ulteriori protezioni legali, ma chiarendo o eventualmente rivedendo le norme che potrebbero aiutare a proteggere il settore dal rischio di contenziosi.
Finora, infatti, buona parte dei gestori dei fondi 401(k) sono stati riluttanti a investire in tali strumenti, temendo appunto contenziosi legali da parte dei lavoratori sia per le commissioni elevate, sia per la maggiore leva finanziaria - e quindi maggiore rischio - insita in molti di questi strumenti.
Ora con questo decreto si aprono le porte di un mercato – che vale circa 10 mila miliardi di dollari e che riguarda circa 90 milioni di lavoratrici e lavoratori statunitensi – alla finanza digitale e a quella privata, che da tempo corteggia il legislatore in tal senso.
«Make America Wealthy Again»
La decisione si inserisce nel contesto della volontà dell’amministrazione Trump di «rendere di nuovo ricca l’America» (Make America Wealthy Again), che comporta processi di deregolamentazione come, nella fattispecie, la revoca le restrizioni sugli investimenti in criptovalute. In particolare, in quelle ancorate al dollaro – le stablecoin – con ben tre leggi pro-cripto approvate il mese scorso dal Congresso USA, tra cui quella forse più significativa, il GENIUS Act che, come abbiamo riferito di recente, potrebbe segnare una svolta epocale nel settore.
Ma quello dei criptoasset – una classe di attivi notoriamente volatile e, nonostante il nuovo quadro giuridico, ancora poco stabile – non è il solo rischio a cui i lavoratori potrebbero assumere nei propri piani 401(k) (negli USA i principali responsabili delle decisioni d’investimento sono appunto i lavoratori).
Il decreto «democratizzante» di Trump riguarda infatti anche un’altra categoria di investimenti ritenuta ancora più rischiosa, quella del private equity.
Finanza privata e valutazioni «ballerine»
Si tratta di strumenti finanziari appunto privati, cioè non quotati o negoziati in modo regolamentato in Borsa, come titoli azionari di società ma anche quote di partecipazione in operazioni di acquisizioni societarie o di investimenti in infrastrutture, così come i prestiti privati (si ricorderà il caso, in Europa, dell’immobiliarista austriaco René Benko, il cui impero finanziario è collassato causando perdite per miliardi di euro a banche in tutta Europa, tra cui 600 milioni di franchi alla zurighese Julius Bär).
La critica sull’apertura dei fondi pensionistici a queste categorie di investimento è che esporrebbero i lavoratori non solo a rischi derivanti dalla loro poca trasparenza – da tempo il mondo private equity è sotto scrutinio per le valutazioni «ballerine» dei titoli di queste società – ma anche a commissioni di gestione più elevate.
Inoltre, gli strumenti d’investimento privati comportano requisiti di informativa meno stringenti e sono generalmente meno facili da «liquidare» rapidamente rispetto alle azioni e alle obbligazioni quotate in Borsa.
Protezione dei consumatori
A questo proposito, nello scorso mese di giugno la senatrice democratica Elizabeth Warren, nota paladina dei diritti dei consumatori nei confronti dell’industria finanziaria, si è rivolta al CEO di Empower Retirement, società finanziaria specializzata nella gestione di piani pensionistici di oltre 19 milioni di cittadini americani e per patrimoni di circa 1.800 miliardi di dollari, chiedendo come fosse possibile salvaguardare i risparmi previdenziali investiti in fondi di private equity «data la scarsa protezione degli investitori nel settore, la sua mancanza di trasparenza, le costose commissioni di gestione e le affermazioni infondate di rendimenti elevati».
Pensioni svizzere «tutelate»
In Svizzera la previdenza professionale, intesa come secondo pilastro è sì privata (o individuale) ma ben regolamentata dall’omonima legge (LPP) in vigore da 40 anni e, soprattutto, gestita da professionisti per la asset allocation.
Come per i 401(k) americani (e in genere per tutti i sistemi previdenziali), i fondi pensione svizzeri investono perlopiù in titoli «liquidi» e «sicuri», almeno dal profilo transazionale – titoli obbligazionari statali e azionari quotati in Borsa, quindi, ma anche contanti, immobili e titoli ipotecari (svizzeri).
Tuttavia, esiste un certo margine di manovra per gli investimenti alternativi: il 15%, per la precisione. Ma non con investimenti diretti, ovvero in singoli titoli o strumenti, bensì nella forma di «investimenti collettivi diversificati» – cioè fondi d’investimento comuni, secondo la nota logica della diversificazione del rischio.
Quindi, per fare un esempio, un fondo pensionistico svizzero non può comprare Bitcoin, nemmeno un Bitcoin ETF (Exchange Traded Fund), ma può comprare quote di un fondo che investe in più criptoasset. La legge prevede anche di destinare il 10% dei patrimoni in infrastrutture e, infine, il 5% in investimenti alternativi quali i fondi speculativi (hedge fund), private equity, materie prime e venture capital – ma sempre ed esclusivamente come investimenti collettivi diversificati.
Insomma, in Svizzera le lavoratrici ei lavoratori appaiono ancora piuttosto tutelati da una simile spinta alla «privatizzazione» dei propri averi previdenziali, che ammontano complessivamente attorno ai 1.300 miliardi di franchi.