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«Satoshi Nakamoto sono io», un papà per il Bitcoin che nessuno vuole

A Londra è iniziato un processo davanti all'Alta Corte di giustizia per stabilire la «paternità» della criptovaluta per eccellenza
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Generoso Chiaradonna
08.02.2024 06:00

Quando si parla di valute digitali, qualunque cosa vogliano dire, la mente corre subito alle centinaia di criptovalute che affollano la rete. Anzi, al Bitcoin, la criptovaluta per eccellenza e al fantomatico Satoshi Nakamoto, il presunto autore del protocollo informatico che sta alla base di questo sistema di pagamento che a volte somiglia a una banale moneta per pagare il caffè al bar (ma quando mai...) e altre volte a un complicato e poco intuitivo prodotto finanziario. Fatto sta che lo pseudonimo Satoshi Nakamoto dietro al quale si nasconde uno o più programmatori, costituisce una sorta di binomio indissolubile con i bitcoin almeno dall’autunno del 2008, data ufficiale di nascita di questo sistema di pagamento al di fuori del classico sistema bancario che proprio in quel periodo subiva un tracollo epocale.

Il sacrificio del Messia

Narra la leggenda che Satoshi Nakamoto, spaventato dall’azione dissoluta delle banche centrali che avevano contribuito a distruggere il valore delle monete cosiddette fiat e depauperato il risparmio delle famiglie, abbia semplicemente donato il Bitcoin al mondo. Dopo aver fatto questo gesto molto messianico di annuncio di una nuova era fatta di stabilità finanziaria e , è scomparso e a oggi nessuno sa veramente chi sia il benefattore dell’umanità che solitamente - quando lo si riesce ad associare a un volto e a un nome vero - o viene insignito del Premio Nobel oppure ricoperto d’oro (non digitale, ovviamente) grazie allo sfruttamento di diritti e royalties che potrebbe legalmente vantare. Per dire, c’è gente al mondo diventata molto ricca per molto meno.

Eppure da qualche anno - dal 2016 - un informatico australiano, tale Craig Wright, afferma caparbiamente e invano di essere lui il papà del Bitcoin. Nessuno ovviamente gli crede ritenendolo un millantatore e truffatore. C’è chi gli ha mosso addirittura causa come il consorzio no-profit di aziende crypto e tecnologiche Crypto open patent alliance (COPA), in reazione a una serie di azioni legali avviate dalo stesso Wright contro sviluppatori di bitcoin e altre parti, in cui l’informatico rivendica di avere dei diritti di proprietà intellettuale. La storia è stata raccontata dal quotidiano romando Le Temps.

Sei settimane di processo

Lunedì di questa settimana è iniziato un processo civile davanti all’Alta Corte di giustizia di Londra (durerà sei settimane) per stabilire se Wright sia o no quello che dice di essere. COPA vorrebbe la certificazione legale che non lo fosse. Un verdetto avverso potrebbe cambiare per sempre le sorti del mondo crypto. Di fatto l’anonimo- fino a oggi - informatico australiano potrebbe essere dichiarato il «padrone della rete bitcoin» determinando le condizioni di uso e di sviluppo della valuta digitale. Secondo COPA, appunto, l’agire dell’informatico australiano ha già intimorito gli sviluppatori del mondo crypto frenandone il progresso. Chissà cosa potrebbe succedere se si dovesse dare un papà unico al Bitcoin che è nato come sistema di pagamento decentrato, per sua natura anarchico e senza regole imposte dall’esterno del sistema.

Nel white paper del 2008, pubblicato a ridosso del crollo finanziario globale, Satoshi Nakamoto ha delineato il progetto di un nuovo sistema di pagamento elettronico peer-to-peer, cioè tra pari, che avrebbe eliminato la necessità di intermediari come le banche. Nel gennaio 2009 ha inviato la prima transazione in bitcoin, per poi scomparire senza lasciare traccia a poco più di due anni di distanza, dando inizio alla caccia per trovare il creatore dei bitcoin.

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