WEF, i termini del nuovo confronto tra gli USA di Trump e l'Europa

Se è vero che l’edizione appena chiusa del World Economic Forum di Davos è stata caratterizzata in larga misura dall’intervento video del reinsediato Donald Trump - e non poteva che essere così, vista la coincidenza nei tempi – è altrettanto vero che gli affondi del presidente USA sono andati in particolare in direzione dell’Europa. Gli strali trumpiani vanno soprattutto contro l’Unione europea ma, non c’è da farsi illusioni da questo punto di vista, in vario grado anche contro altri soggetti del Vecchio continente, Regno Unito e Svizzera inclusi. Quello che per molti aspetti è l’avversario principale degli Stati Uniti, cioè la Cina, a Davos tutto sommato se l’è cavata con poco, in termini di attacchi da parte di Trump.
Nel mirino
Sarà perché a Davos quest’anno è intervenuto il vicepremier cinese, non il premier o il presidente, e mancava quindi l’interlocutore in sede. Sarà perché Trump ora cerca di giocare la carta dell’influenza cinese per frenare la Russia di Putin (c’è di mezzo anche la guerra in Ucraina). Sarà perché al presidente USA davvero non piacciono gli assetti europei, a prescindere da ogni equilibrio geopolitico ed economico. Fatto sta che molta parte dell’intervento del leader della Casa Bianca è andata alle critiche all’Europa. Per Trump l’Unione europea (ma non solo questa) tratta male gli USA in termini commerciali ed ha una burocrazia che frena le dinamiche economiche. Mentre su questo secondo punto come si sa il dibattitto è da tempo aperto anche in Europa, sul primo punto tutto resta da dimostrare e Trump peraltro nel suo intervento non ha fornito pezze di appoggio sul presunto maltrattamento subito specificamente dagli USA.
Il nazionalismo economico rivendicato da Trump è fatto anche di misure fiscali intrecciate con misure commerciali. Così non è stato difficile per il presidente USA affermare al WEF che chi non produce negli Stati Uniti avrà un trattamento fiscale meno buono. Ciò fa appunto il paio con i dazi, che sono da sempre il leitmotiv trumpiano e che sono stati in effetti applicati nel primo quadriennio alla Casa Bianca, soprattutto contro la Cina ma anche contro i vicini Canada e Messico e contro l’Europa. Ora c’è la minaccia di nuovi aumenti dei dazi USA e questa spada di Damocle pende anche sull’Europa, Svizzera inclusa. Evidentemente, per Trump non ha importanza che i dazi in realtà non abbiano fatto sostanzialmente diminuire il deficit commerciale USA nelle merci (nei servizi hanno da sempre un surplus) e che abbiano frenato lo sviluppo dei commerci mondiali (ci sono state anche le ritorsioni della Cina e di altri). Da Trump d’altronde non viene nessuna analisi sul fatto che il protezionismo favorisce l’aumento dei prezzi, e dunque quella inflazione che è stata con fatica sin qui ridimensionata.
La reazione
Il punto ora è come l’Europa si prepara a reagire. A giudicare da quanto emerso dai dibattiti al WEF, esistono due posizioni principali nel Vecchio continente. Una, in apparenza oggi minoritaria, è quella di chi sia in politica sia in economia dice che Trump ha ragione, che fa bene a mettere gli interessi degli USA sopra tutti gli altri e che noi dobbiamo fare altrettanto, a livello di Unione europea o di singoli Paesi, a seconda dei casi; insomma, diamoci tutti una sveglia, nel proteggerci, e vinca il migliore. L’altra posizione, in apparenza maggioritaria e sostenuta a Davos da molti interventi istituzionali (tra i quali quelli della numero uno della Commissione europea Ursula von der Leyen e della consigliera federale Karin Keller-Sutter) indica invece in sostanza che Trump non ha ragione, che l’aumento del protezionismo è sbagliato e che però bisogna comunque negoziare, all’insegna del pragmatismo. In altre parole: sediamoci attorno ad un tavolo, vediamo cosa vogliono davvero gli USA di oggi, nel migliore dei casi otterremo qualcosa anche noi oppure almeno limiteremo i danni.
Il quadro economico
In tutto questo, fortunatamente l’economia mondiale sin qui è andata meglio di quanto molti avessero pronosticato. Non c’è una recessione annua internazionale, i Paesi con il segno negativo per il PIL sono molto pochi. La crescita economica ha subito un rallentamento, ma siamo ancora nettamente in area crescita. Gli USA fanno indubbiamente da traino ma non sono soli, la Cina ha ridotto la sua velocità ma non si è bloccata.
L’Europa nel complesso ha registrato un marcato rallentamento, ma attenzione, ci sono singoli Paesi (Svizzera compresa) che hanno mostrato e mostrano buona resilienza. Il pessimo quadro della geopolitica, in cui pesano anche e soprattutto i conflitti bellici, ha frenato ma non fermato l’economia. Ora per tutti c’è la sfida dei rapporti con gli USA di nuovo guidati da Trump.
Pradelli: «Questa sponda dell’Atlantico non va certamente sottovalutata»
«Attenzione a non sottovalutare gli europei». Giorgio Pradelli, CEO di EFG, banca elvetica che ha acquisito e integrato la ticinese BSI, tira le somme su interventi e dibattiti di quest’ultima edizione del World Economic Forum e tra i punti che sottolinea c’è il probabile eccesso di pessimismo da parte di molti nei confronti di questa sponda dell’Atlantico, cioè dell’Europa. Uno stato d’animo che durante il Forum in parte si è confermato e in parte però ha trovato anche qualche correttivo. Dagli esponenti del settore bancario e finanziario internazionale presenti a Davos sono infatti venuti anche alcuni richiami a favore del peso economico dell’Europa e contro un pessimismo troppo accentuato per quel che riguarda il Vecchio continente.
Le grandi aree
«Naturalmente nel Forum di quest’anno – dice Pradelli – molto dell’interesse si è concentrato sugli Stati Uniti e in particolare su Washington, con il coincidente evento dell’insediamento del presidente e poi con l’intervento video dello stesso Trump al WEF. Si poteva già prevedere che andasse così, anche perché molte delle questioni di cui pure si è discusso – pensiamo non solo alla geopolitica, ma anche alle nuove tecnologie, alle criptovalute, ad inflazione-tassi di interesse – saranno influenzate effettivamente in modo non secondario proprio dalla linea che attuerà Trump. Ciò detto, bisogna stare attenti a non ritenere che le altri grandi aree economiche, e per quel che riguarda noi l’Europa, stiano diventando molto poco importanti».
Per il CEO di EFG occorre non dimenticare da un lato l’ampiezza dell’economia europea, al di là di una crescita economica che in Europa nel complesso c’è ma che ha bisogno di ritornare ad essere più consistente, e dall’altro neppure la necessità che c’è in campo finanziario di diversificare gli investimenti, insomma di non puntare troppo solo in una direzione (in questo caso gli Stati Uniti) e di puntare invece su portafogli che comprendano non solo il piatto forte del momento ma anche altre carte. Non tutto è scuro in Europa, c’è un buon numero di imprese europee che nonostante le difficoltà hanno tenuto e che hanno azioni od obbligazioni che possono essere interessanti per gli acquisti.
«Ci sono – spiega Pradelli – due considerazioni da fare sulle prospettive. Gli Stati Uniti rimarranno forti, al di là dei problemi geopolitici ed in parte economici della fase, ma è possibile che il quadro macroeconomico dell’Europa abbia miglioramenti, probabilmente con un maggior equilibrio rispetto a quanto abbiamo visto sin qui. Inoltre, per quel che riguarda i mercati finanziari, bisogna sempre tener presente che per gli investitori esiste anche la rotazione, si spostano cioè periodicamente, almeno per una parte degli investimenti, da un settore all’altro e da un’area geografica all’altra. Se si pensa al fatto che gli USA hanno già fatto una grande corsa sul versante azionario e in generale finanziario, e che l’Europa su questo versante è sì in positivo ma non così tanto, si può vedere come ora sia meglio prestare attenzione anche alle buone opportunità che si presentano in campo europeo».
Le tecnologie
Tornando ad uno dei temi caldi della fase, l’Intelligenza Artificiale, secondo Pradelli nel Forum di Davos di quest’anno c’è stato un passo avanti. «L’anno scorso – afferma – il tema era già molto presente ma c’era una specie di euforia, che poteva servire in effetti a portare all’ordine del giorno una questione così importante, ma che non era altrettanto utile dal punto di vista della realtà concreta. Quest’anno invece si è parlato molto di più anche del come adottare, del come applicare questa nuova tecnologia». Quanto alle criptovalute, si tratta di un tema, pur molto diverso, che anche non poteva essere assente. «Ci sono posizioni differenti – dice Pradelli – ma credo che anche su questo occorra essere pragmatici. Nei rapporti con la clientela, dire che non esistono non si può. Ciò non significa che non occorra andare verso una necessaria regolamentazione».