Lugano

Fermo muscoloso: «L’agente non poteva fare altrimenti»

È approdato in Appello l’intervento al Maghetti del 28 dicembre di cinque anni fa – Uno dei due poliziotti condannati per abuso di autorità ha impugnato la sentenza di primo grado – Per la difesa, ha agito conformemente ai suoi doveri di servizio
© CdT/Chiara Zocchetti
Nico Nonella
30.04.2025 18:00

Ha aiutato un collega ad ammanettare una persona con la quale aveva avuto una colluttazione. Era dunque convinto di partecipare a un fermo assolutamente legale. Ha ribadito con forza la sua versione l’agente della polizia di Lugano, comparso mercoledì mattina davanti alla Corte di appello e revisione penale (CARP) presieduta dal giudice Angelo Olgiati (a latere Matteo Galante e Ilario Bernasconi) per provare a ribaltare la condanna per abuso di autorità inflittagli in primo grado in Pretura penale. Al centro del dibattimento c’è il fermo di polizia del 28 dicembre di cinque anni fa al Quartiere Maghetti, quando due agenti della Polizia della Città di Lugano – un appuntato e l’agente a processo mercoledì, all’epoca dei fatti in formazione – fermarono e misero a terra un giovane iracheno.

La sentenza di primo grado

Per il giudice della Pretura penale Simone Quattropani, il loro agire non fu corretto. Nel confermare l’atto di accusa del procuratore generale Andrea Pagani, il 13 giugno 2023 Quattropani aveva concluso che quella sera non vi era una situazione di tensione, di minaccia o che potesse mettere in difficoltà i poliziotti», intervenuti al Maghetti per alcuni schiamazzi e in pieno periodo COVID. L’appuntato, superiore in grado, «ha perso le staffe, ha agito senza motivo e in modo sproporzionato, come è stato sproporzionato l’ammanettamento», mentre l’agire del collega «è sì diverso perché non ha visto gli inizi della colluttazione», ma «aveva percepito esattamente cosa stesse accadendo». Di qui la condanna del graduato (difeso dall’avvocato Roy Bay) e del secondo poliziotto (patrocinato dalle avvocate Maria Galliani e Micaela Negro), a pene pecuniarie sospese da 60 a 20 aliquote per abuso di autorità e vie di fatto, quest’ultimo addebito riferito a due colpi sferrati dall’appuntato all’uomo a terra, un calcio e una ginocchiata. Colpi di contenimento ammessi in caso una persona ammanettata non collabori, ma che diventano illegali nel contesto di un fermo ritenuto illegittimo. Per un terzo agente, che pure ne ha sferrati alcuni, è stato emanato un decreto d’abbandono, in quanto convinto in buona fede di stare partecipando a un ammanettamento legale. Questa è anche la tesi sostenuta sia in primo grado che in Appello dall’allora agente in formazione, il quale ha affermato di non aver visto la sberla iniziale e di avere comunque agito conformemente ai propri doveri di servizio. La sentenza a carico del collega è nel frattempo cresciuta in giudicato.

Il dilemma di fondo

Quella sera, i due agenti erano intervenuti per un assembramento con schiamazzi al Maghetti. Dopo essere stato controllato, il giovane iracheno si era portato alla bocca una sigaretta, dopo che gli era stato detto di non accenderla. Tutto è poi successo in pochi attimi: l’appuntato gliela aveva levata e gli animi si erano scaldati. Da lì era nata la colluttazione che ha portato al fermo. «Ho visto che si mettevano le mani addosso e il collega iniziare la manovra di sicurezza», ha affermato l’imputato, interrogato dal giudice. Che cosa altro avrebbe potuto, e soprattutto dovuto, fare?, si è chiesta la difesa. «Il mio cliente è convinto di aver agito correttamente. Anche la Pretura ha stabilito che l’imputato è intervenuto, da agente in formazione e quindi privo di esperienza, aiutando al fermo. Non ha mai avuto la percezione che il suo collega avesse ingiustamente aggredito un civile», ha argomentato Galliani nell’arringa. Insomma, in questo caso mancherebbe soprattutto l’elemento soggettivo del reato (l’intenzione di procedere a un ammanettamento abusivo). «Ammettendo anche che il fermo fosse stato illegale, che cosa avrebbe dovuto fare? Stare fermo? Oppure addirittura bloccare il collega? Nel mondo reale, ciò è assolutamente irrealistico: si sarebbe sottratto ai suoi obblighi di agente in servizio». «Se i fatti fossero avvenuti qualche giorno fa, con l’esperienza che ho accumulato in questi anni, mi comporterei nello stesso modo», ha poi ribadito l’agente in chiusura del dibattimento. Oltre al proscioglimento, la difesa ha chiesto un indennizzo limitato alle spese legali sostenute.

Sigaretta? «Potevo evitare»

Dal canto suo, la vittima (il giovane iracheno si è costituito accusatore privato) ha ammesso che «quella sera abbiamo sbagliato a non rispettare le norme anti-COVID» e sui rumori molesti. «Ma quando ho chiesto perché non potevo fumare mi è stato risposto “perché te lo dico io”. Allora ho acceso la sigaretta e mi sono visto arrivare la mano in faccia e istintivamente ho cercato di proteggermi. Cosa che ha fatto anche durante l’ammanettamento: non era mia intenzione non cooperare». Certo, «potevo evitare di accendere la sigaretta ma non mi aspettavo una reazione del genere. Quella sera non eravamo aggressivi». Circostanza, ha ricordato Galliani, che non trova riscontro nel rapporto di Polizia stilato da tutti gli agenti coinvolti, i quali avevano parlato di situazione tesa. Tanto da richiedere l’intervento di ulteriori pattuglie. La sentenza verrà intimata alle parti per iscritto.

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