Fu un pugno non intenzionale: al tappeto anche l'accusa

Intenzionalità o negligenza? O meglio, l’imputato era consapevole che tirando un pugno all’amico, quella sera del 21 agosto 2020, gli avrebbe provocato delle lesioni tali da metterne in pericolo la vita, oltre a conseguenze fisiche e cognitive permanenti? Per la Corte, che ha praticamente sconfessato quasi integralmente la tesi accusatoria (ci torneremo tra poco), è stata «un’imprevidenza colpevole»: il colpo sferrato era frutto di una reazione «istintiva e repentina» avvenuta nel corso di un alterco per futili motivi tra i due amici che volevano passare insieme un fine settimana sulle rive del Ceresio. Non è stato cioè un gesto intenzionale e le gravi conseguenze riportate dall’amico non erano state ipotizzate dall’imputato.
Qualifica giuridica contestata
Prima di raggiungere questo verdetto, comunque di colpevolezza, la Corte si è trovata in difficoltà perché il procuratore pubblico Alvaro Camponovo – il quale ha ereditato l’incarto dall’ex collega Marisa Alfier – ha principalmente accusato il 34.enne cittadino italiano di lesioni gravi commesse per dolo eventuale (colpendo intenzionalmente l’amico, l’imputato si è assunto il rischio di potergli provocare un danno). Ma se per l’accusa non c’erano dubbi e il colpo è stato appunto intenzionale, la difesa – rappresentata dall’avvocato Eero De Polo – ha contestato la qualifica giuridica del reato, sostenendo che il 34.enne non avesse l’intenzione di fare del male all’amico. Così, con una procedura un po' inusuale, venerdì scorso la presidente delle Correzionali Monica Sartori-Lombardi, al posto di emettere la sentenza, al termine del dibattimento ha corretto l’atto d’accusa integrando una subordinata – lesioni colpose gravi – che lasciava aperta la possibilità di un agire per negligenza (ossia un pugno istintivo, non voluto). La lettura del verdetto è stata così rinviata a questo pomeriggio. Alla fine, la Corte ha concluso di non poter seguire la tesi accusatoria che imputava intenzionalità per dolo eventuale al 34.enne, che è stato quindi condannato per lesioni colpose gravi a 10 mesi sospesi (il procuratore pubblico aveva chiesto una pena di 24 mesi sospesi e l’espulsione dalla Svizzera per 5 anni).
Lite per futili motivi
I fatti, come detto, risalgono a cinque anni fa. I due amici avevano passato una giornata a bere in vari locali di Lugano. Poi, in serata, un battibecco per futili motivi (la vittima voleva recarsi al Casinò, mentre l’imputato avrebbe preferito rimanere fuori, conscio del fatto che, essendo ubriachi, nessuno li avrebbe lasciati entrare) ha portato al pugno, sferrato per «esasperazione». Un colpo alla parte sinistra del collo dell’amico, che ha perso conoscenza, è caduto e ha sbattuto violentemente la testa sull’asfalto. È stato in coma per una trentina di giorni, ha subìto una decina di interventi chirurgici al cranio e ha sviluppato un’epilessia post traumatica, un deficit neurologico permanente, difficoltà di deambulazione, disturbi cognitivi, rallentamenti nell’articolazione verbale, insonnia persistente e una grave riduzione delle capacità lavorative. Insomma, quella che doveva essere una gita di due amici a Lugano all’insegna della spensieratezza si è risolta nel peggiore dei modi. «Una triste storia che ha causato sofferenze a tutte le parti coinvolte: in primo luogo a chi ha subìto conseguenze irrimediabili e anche a chi dovrà assumersi la responsabilità di un agire sconsiderato», ha detto la giudice. Ma è stato proprio l’avvocato De Polo a sollevare dubbi sulla correttezza della qualifica giuridica del reato principale, rilevando durante il dibattimento che «il pugno non è la causa della lesione grave, bensì la caduta a terra e l’impatto del capo al suolo». Motivo per cui aveva chiesto il proscioglimento del suo assistito.