Gaza, cresce la pressione su Ignazio Cassis

Non si placa il polverone sollevato dalle dichiarazioni di Ignazio Cassis rilasciate martedì alla RTS e alla RSI. Il «ministro» degli Esteri, rispondendo a delle domande sulla strage di civili durante la distribuzione degli aiuti a Gaza per mano dell’esercito israeliano, aveva spiegato che «tutte le violazioni devono essere condannate, e ci sono violazioni da entrambe le parti (...). Condanno qualsiasi violazione del diritto internazionale, sia da parte di Hamas che di Israele». In merito agli spari contro i palestinesi, il ticinese aveva in seguito aggiunto che si tratta di una «guerra dell’informazione»: «Ci sono stati spari; chi ha sparato dove, non lo sapremo mai. Non possiamo credere a nessuna delle due parti». Una mancata condanna (o una mezza condanna) che non ha fatto altro che aumentare la già forte pressione sul consigliere federale e, di riflesso, sul Governo.
Un coro sempre più numeroso
Da tempo, buona parte della politica e dell’opinione pubblica stanno aspramente criticando la «passività» e «l’immobilismo» del «ministro» degli Esteri nei confronti di Israele. Prendere le distanze da Netanyahu sarebbe il primo passo per iniziare un processo di condanna per quanto sta accadendo a Gaza. Settimana scorsa, ad esempio, 55 ex diplomatici svizzeri si erano rivolti al Governo chiedendo di rompere la cappa «di silenzio» sulle azioni di Israele. La NZZ, dal canto suo, riferisce che i dipendenti dello stesso DFAE (oltre 200 vi hanno aderito, secondo il Tages-Anzeiger) hanno scritto una lettera indirizzata a Cassis, in cui si chiede al ticinese di «adottare misure appropriate per convincere Israele a rispettare i propri obblighi». Alla RSI, l’ex ambasciatore Jean-Hubert Lebet ha addirittura detto che il ticinese «parla come un portavoce del governo Netanyahu». Ci sono però anche voci diverse: l’avvocato Paolo Bernasconi, interpellato da Le Temps, ha spiegato che il problema non è tanto Cassis, quanto piuttosto il Consiglio federale. È l’Esecutivo, secondo Bernasconi, a dover prendere posizione, non un singolo consigliere federale.
A unirsi al coro delle critiche, c’è però anche il mondo umanitario. Medici senza frontiere (MSF), che attualmente conta 1.200 collaboratori a Gaza, ha invitato Cassis a un confronto diretto sulla situazione nella Striscia. «Vogliamo raccontargli quello che vediamo sul posto» e le difficoltà dell’assistenza umanitaria, ha affermato la presidente di MSF Svizzera, Micaela Serafini. Non solo: oltre 1.200 medici hanno firmato in questi giorni un manifesto che chiede al Consiglio federale di «intraprendere azioni concrete» per garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario nella Striscia di Gaza. L’organizzazione rileva infatti che «la violenza contro i civili e le strutture mediche ha raggiunto livelli senza precedenti».
Ma pure sul fronte politico, come detto, la pressione non manca. Nei giorni scorsi, approfittando anche della sessione delle Camere, numerosi partiti hanno depositato degli atti parlamentari. Il gruppo dei Verdi ha ad esempio chiesto in un’interpellanza perché la Svizzera, al contrario di quanto fatto con la Russia, «non mostra la stessa fermezza di fronte all’occupazione dei territori palestinesi e ai massacri di civili commessi negli ultimi due anni, in grave violazione del diritto internazionale umanitario?». Dello stesso tenore anche altre due interpellanze, di cui una firmata anche dal consigliere nazionale Giorgio Fonio (Centro). Non solo: una coppia di mozioni socialiste, presentate al Nazionale e agli Stati, chiedono al Consiglio federale «di utilizzare tutta la sua influenza in politica estera per combattere la commissione dei crimini più gravi nella guerra di Gaza e di sostenere l’accesso senza restrizioni degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi e dei prigionieri politici».
«Azioni, non parole»
Il presidente della commissione della politica estera del Nazionale, Laurent Wehrli (PLR/VD), invita però a stemperare gli animi sulla questione. «Quando si analizza e si vede ciò che sta accadendo a Gaza, non si può fare a meno di essere turbati ed estremamente rattristati da ciò che la popolazione di Gaza sta subendo oggi», premette il parlamentare al CdT. «Israele deve rispettare il diritto umanitario. È anche una missione della Svizzera, che glielo ha ricordato. Di recente ho anche avuto l’opportunità di parlarne con i colleghi parlamentari della Knesset israeliana: è essenziale che Israele faccia tutto il possibile per garantire che cibo, aiuti umanitari e medicinali vengano consegnati a Gaza incondizionatamente. Israele sta ora agendo, permettendo la consegna di migliaia di pasti. Ma questo non è certamente sufficiente. Bisogna insistere». Sulla posizione della Svizzera, Wehrli ricorda però che la Confederazione «ha un ruolo particolare. Non sono sicuro che firmare un appello per la pace a Gaza sia necessariamente più forte di azioni più discrete. So che la Svizzera sta agendo attraverso i buoni uffici. Ovviamente possiamo dire che forse non sta agendo abbastanza perché Israele continua la sua politica, ma quando vediamo i Paesi europei che hanno appena fatto un appello, ecco, non mi pare di aver visto il signor Natanyahu cambiare la sua politica a Gaza. Non sono sicuro che un singolo approccio sia utile in un contesto del genere. Ma dobbiamo assolutamente continuare perché, ancora una volta, purtroppo la popolazione di Gaza sta vivendo questa situazione in modo drammatico». In definitiva, prosegue il liberale radicale, a contare sono i fatti, non le parole. «Credo che la Svizzera abbia già dimostrato regolarmente che le azioni concrete sono più efficaci rispetto alle semplici dichiarazioni che, scusate se lo dico, ma a volte servono più a tranquillizzare la coscienza».