L'intervista

Giona A. Nazzaro: «Alla base delle mie scelte c’è sempre la qualità»

A tu per tu con il direttore artistico del Locarno Film Festival: dopo il COVID e il boom delle piattaforme, quest'anno a tenere banco sarà un altro caso, lo sciopero di Hollywood
© Locarno Film Festival / Ti-Press
Antonio Mariotti
02.08.2023 06:00

È al suo terzo anno da Direttore artistico e pare aver ormai assimilato nel proprio DNA lo spirito del Pardo: curioso e sempre alla ricerca di nuovi territori di caccia. Dopo il COVID (2021) e il boom delle piattaforme (2022), quest’anno Giona A. Nazzaro è alle prese con un altro «caso»: lo sciopero di Hollywood. È da lì che è partita la nostra conversazione.

La notizia dello sciopero in corso degli attori e degli sceneggiatori aderenti ai sindacati statunitensi SAG-AFTRA continua a far parlare di sé. Quali sono secondo lei le dinamiche più importanti alla base di questa azione?
«I punti fondamentali sono sempre gli stessi e si possono riassumere in due parole: sostituzione e supporto. La sostituzione è il vero problema, quello del cambiamento di supporto è invece un passaggio inevitabile. Oggi però il nodo importante non riguarda la presenza delle piattaforme, ma la ripartizione degli utili delle opere audiovisive che vengono diffuse in maniera alternativa rispetto alla sala cinematografica. Una volta, parlo degli anni ’70, in televisione avevamo un episodio di Kojak o di Le strade di San Francisco a settimana, il che significava che ogni volta si verificavano gli ascolti, si facevano i conti e gli utili venivano ripartiti secondo gli accordi presi in precedenza. Oggi invece una piattaforma lancia tutta insieme una serie televisiva, annuncia un successo clamoroso, ma nessuno sa chi l’ha vista, come è stata vista, quanto è stata vista e se il mio curiosare solo per i primi 10 minuti o per i titoli di testa vale come una visualizzazione oppure no. Chi oggi lavora in questo contesto spesso è legato anche da un contratto di esclusività, per cui non sa se questa serie tv continuerà o meno, però nel frattempo non può fare altro, perché se si rivela un grande successo, secondo parametri che nessuno ha modo di verificare, dovrà scriverne subito un’altra stagione. Prima che venga presa una simile decisione, però, non potrà lavorare per altri e quindi questo crea da un lato una precarizzazione della forza lavoro esistente e dall’altro una concentrazione dei profitti. La situazione eccede quindi l’entrata in scena dell’intelligenza artificiale - che per me è una contraddizione nei termini poiché o è intelligenza o è artificiale - e tocca invece soprattutto la ridiscussione delle regole d’ingaggio di chi lavora nel mondo degli audiovisivi negli USA. Pensiamo alle comparse, che guadagnano 70 dollari per un giorno di lavoro su un set. Ora, io con un programma che riproduce tutti gli sfondi che già esistono, inserisco quel che voglio nelle immagini e le comparse hanno finito per sempre di lavorare. Si tratta quindi di equilibrare l’avanzata inevitabile della tecnologia a supporto della produzione audiovisiva e il ripensamento delle regole sindacali».

Ma non è la rivolta dei bambini viziati?
«No, queste cose ci prendono di sorpresa perché in fondo siamo sempre un po’ antiamericani, ma per un Brad Pitt ci sono molte altre persone di talento che rischiano grosso. E allora, o rispettiamo l’industria dello spettacolo che ci permette di vedere film oppure no. Non ci si può lamentare che il cinema va male e poi lamentarsi ancora se a portare la gente al cinema sono film come Barbie o come quelli interpretati da Tom Cruise. Anche perché, con tutto il rispetto per il cinema d’autore che tutti abbiamo amato e che continuiamo ad amare, quel cinema continuerà ad esistere solo con alle spalle un’industria forte che lo può sostenere. Se domani si deve tagliare qualcosa, si comincerà da quello che porta meno e allora sarà inutile stracciarsi le vesti».

Questo sciopero ha comunque delle conseguenze anche sulla partecipazione di alcune personalità invitate a Locarno 76…
«È vero, nessuno di loro però sarebbe venuto a Locarno a promuovere film degli Studios ma a ritirare premi onorari. Non è stato quindi impedito loro di venire ma si tratta di valutazioni personali prese in accordo con manager, consulenti d’immagine per capire cosa comporterebbe il fatto di essere qui a venir celebrati, intervistati e premiati mentre altre persone stanno in sciopero. Da sempre a Locarno i nomi che invitiamo sono legati all’affetto che portiamo loro e al valore che essi rappresentano, non ad altro».

C’è un nuovo film di Ken Loach, che è un grande amico di Locarno? Lo prendiamo! C’è la Palma d’oro di Cannes che è un film molto buono di una cineasta che abbiamo seguito fin dal primo film? Lo prendiamo! Tutto qui

Parliamo allora di quel che si vedrà in Piazza Grande: due film importanti visti a Cannes in prima fila con il nuovo Ken Loach e la Palma d’oro firmata da Justine Triet. Una bella coppia…
«Alla base di queste scelte c’è sempre la qualità delle opere. C’è un nuovo film di Ken Loach, che è un grande amico di Locarno? Lo prendiamo! C’è la Palma d’oro di Cannes che è un film molto buono di una cineasta che abbiamo seguito fin dal primo film? Lo prendiamo! Tutto qui».

Sempre parlando della Piazza, si può dire che ci sia una prevalenza di protagoniste femminili nei film in programma?
«È una lettura interessante del programma, ma si tratta di un caso. Anch’io, guardando in campo lungo il cartellone della Piazza mi sono reso conto  di una serie di aspetti che non avevamo notato mentre mettevamo insieme i vari film. Per ciò che riguarda la questione femminile, da un lato è un problema reale avere un bilanciamento di questa offerta, d’altro lato non penserei mai di fare  questo tipo di considerazione a danno di quella che, in piena coscienza, definirei la mia idea di qualità».

Veniamo ai film del concorso internazionale, ci si trova davanti a una grande varietà di generi e di temi che non può che far piacere…
«È esattamente questo il senso dell’operazione. Noi ci troviamo tra Cannes e Venezia ed è molto difficile affermarsi con una propria identità, senza finire nell’illeggibilità della proposta. Quello di mio che ho messo in questa selezione è l’ambizione che ogni film possa essere diverso da tutti gli altri senza rischiare la banalità dell’eclettismo. A me interessa che ogni film abbia una sua identità forte. Che poi questa vada a confliggere creativamente con quella del film successivo non può che rendermi felice. Ciò che mi succede spesso ai festival è che dopo un po’ tutti i film mi sembrano uguali, nel senso che hanno tutti lo stesso passo, tutti la loro suddivisione in tre atti ben scandita. E per me tutto questo è poco interessante. Io voglio che il pubblico venga a Locarno e magari si arrabbi anche, ma l’arrabbiatura, lo scontro è fruttuoso se si fa su titoli che sono interessanti».

 

© Massimo Pedrazzini
© Massimo Pedrazzini

«Il Fuori concorso? Uno spazio di libertà»

Giona A. Nazzaro, la sezione Fuori concorso, che di solito passa un po’ inosservata, forse si meriterebbe una denominazione più attrattiva, soprattutto quest’anno che comprende molti nomi interessanti. Come nascono queste scelte?
«Mi fa piacere se questa sezione viene notata, perché è uno spazio dove si trovano, tra gli altri, film di Denis Côté, Franco Maresco, Barbet Schroeder, un film postumo di Paul Vecchiali, ma anche opere totalmente fuori scala come un action movie filippino o un film di vampiri ambientato a Napoli. Mi diverto a fare il programma di questa sezione poiché, facendo il programmatore da più di 20 anni, ho iniziato mettendo insieme cose diverse e mi sono sempre regolato così. Mi dispiace molto non poter ospitare Denis Côté per il suo ultimo film Mademoiselle Kenopsia che ci mostra la sua estrema libertà, anche se l’ha girato in un momento di grande fragilità fisica. Però, in queste circostanze gli artisti veramente creativi inventano nuove modalità  di pensare il proprio lavoro. Non avendo l’energia per scrivere una sceneggiatura, ha improvvisato il film con le attrici  dando loro tracce di dialogo  molto astratte. Quanto alla denominazione della sezione, ci avevo anche pensato di cambiarla, però Fuori concorso, nella sua indecifrabilità, mi lascia grande libertà».

Parliamo di cinema svizzero: com’è il suo stato di salute?
«Molto interessante, perché c’è una banda di gente - e dico banda volutamente, perché il termine generazione sembrerebbe immediatamente segnalare un intento comune - che fa cose assolutamente singolari  e ho l’impressione che per la prima volta questi cineasti svizzeri non siano preoccupati dalla loro identità nazionale. Persino Daniel Schmid, di cui vedremo in Piazza Grande la bellissima copia restaurata di La paloma, parlava sempre della Svizzera e ci ragionava sopra. Invece, quelli di oggi sono svizzeri di fatto che pensano in maniera ampia, senza limitazioni identitarie. Per cui creano opere straordinariamente libere, aperte. E penso ai fratelli Zürcher, ad Andreas Fontana, Cyril Schäublin, Carmen Jaquier, Katharina Wyss e tanti altri. E anche allo stesso Basil Da Cunha di cui vedremo in concorso Manga D’Terra, un film che somiglia a una jam session. O anche La voie Royale di Frédéric Mermoud che vedremo in Piazza: un’opera molto solida, con una grande padronanza della messa in scena e del racconto. Tutto ciò ci fa immaginare il rinnovamento del cinema in Svizzera, non soltanto attraverso la frattura costante e continua della forma ma anche lavorando all’interno delle forme date, il che non è un limite ma un merito».

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