L'intervista

«I cittadini andrebbero educati alla gestione delle emergenze»

Maurizio Maugeri è un fisico, professore all'Università Statale di Milano, e sarà protagonista questa sera di una conferenza a Lugano sul cambiamento climatico
© Keystone/CYRIL ZINGARO
Giona Carcano
05.06.2025 06:00

Il crollo del ghiacciaio del Birch, in Vallese, ha seppellito sotto decine di metri di detriti il villaggio di Blatten. Una catastrofe che ha riacceso il tema degli effetti del cambiamento climatico nelle zone alpine. Torniamo a parlarne, oggi, con Maurizio Maugeri, professore all’Università Statale di Milano e da oltre 30 anni attivo nel campo della fisica dell’atmosfera e della climatologia. Stasera sarà ospite a Lugano di una conferenza pubblica.

La catastrofe di Blatten ha messo in allarme tutti i Paesi alpini. Il riscaldamento climatico, infatti, potrebbe portare ad altri eventi simili in futuro. Come mai gli effetti del cambiamento si avvertono di più nelle zone di montagna?
«Diciamo che tutte le terre emerse manifestano segnali di crisi in maniera più marcata ed evidente rispetto agli oceani o ai mari, zone in cui l’inerzia termica è più lenta. Al di là degli aspetti generali, però, in questo momento è l’Europa centrale a essere più fortemente colpita dagli effetti del cambiamento climatico. Ciò però rientra nella normale variabilità dei fenomeni meteorologici e climatici. In Svizzera, tuttavia, non solo il segnale è forte, ma anche l’impatto. La Confederazione ha una forte vulnerabilità al riscaldamento globale perché ha territorio con un’orografia molto complessa. E in montagna il cambiamento climatico si avverte maggiormente rispetto alle basse quote. L’impatto delle alte temperature sulla criosfera, infatti, è devastante, e anche la copertura nivale è profondamente cambiata».

Alcuni esperti sostengono che la catastrofe di Blatten sia da ricondurre ai cambiamenti climatici, altri invece che un evento simile ha un periodo di ritorno di 1.000 anni, dunque non imputabile alle elevate temperature.
«Bisogna fare attenzione ad attribuire tutti questi eventi al cambiamento climatico. Il territorio svizzero, ma non solo, ha una vulnerabilità intrinseca alle frane così come alle inondazioni. Detto ciò, è innegabile che alcuni aspetti del cambiamento climatico rendono questi fenomeni più insidiosi. Per esempio, le frane cosiddette ‘‘da versante’’ sono legate alla mancanza del collante, il ghiaccio. Ciò ha prodotto e produrrà ancora scoscendimenti molto importanti. Un altro elemento da tenere in considerazione, e che spesso porta a frane a quote più basse, è la pioggia: gli eventi precipitativi di forte intensità sono anch’essi legati al cambiamento climatico in atto. Le alte temperature si traducono in una maggior propensione a piogge di intensità particolarmente elevata».

Prima ha citato gli oceani e i mari. Zone in cui il cambiamento climatico si avverte con minore intensità. Eppure, sono dei serbatoi di energia. Il riscaldamento aumenta il potenziale distruttivo portato dall’acqua?
«È così. Lo spiego con un esempio. Per fare evaporare l’acqua da una pentola, serve una quantità di energia colossale. L’acqua, quando passa dallo stato liquido allo stato gassoso, assorbe dunque grandi quantità di energia. Lo stesso accade nell’atmosfera. Nel momento in cui il vapore si trasforma di nuovo in acqua, l’energia viene rilasciata di colpo. È questa l’energia che alimenta tutti i fenomeni atmosferici violenti, come temporali o uragani. Ecco perché in un mondo più caldo, in cui dagli oceani evapora più acqua, i fenomeni diventano più violenti e intensi».

Per quanto riguarda la Svizzera, un impatto notevole potrebbe esserci ad esempio sul settore turistico. Il Paese ha un’identità nazionale legata alla neve e al ghiaccio, a un paesaggio invernale incontaminato. Elementi che fanno presa sull’immaginario collettivo, ma che in futuro potrebbero non esserci più

Al di là delle catastrofi, quali sono invece gli effetti collaterali legati al cambiamento climatico?
«Per quanto riguarda la Svizzera, un impatto notevole potrebbe esserci ad esempio sul settore turistico. Il Paese ha un’identità nazionale legata alla neve e al ghiaccio, a un paesaggio invernale incontaminato. Elementi che fanno presa sull’immaginario collettivo, ma che in futuro potrebbero non esserci più. Se andiamo avanti di questo passo, infatti, entro il 2100 sul versante meridionale delle Alpi non rimarranno più ghiacciai. Mentre su quello settentrionale la loro estensione sarà fortemente ridotta».

In Ticino, così come in Svizzera, si fa sempre più strada il tema della prevenzione come mezzo per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. È la soluzione corretta?
«Sì. Anzi, dirò di più: è una via obbligata. A patto però di non dimenticarsi di ridurre nel contempo la pressione sull’ambiente. L’unica soluzione a lungo termine che ci consentirebbe di vivere meglio è quella di tagliare le emissioni di composti a effetto serra. Ma, data la lunghissima inerzia del sistema climatico, anche se domani riducessimo a zero le emissioni globali gli effetti si avvertirebbero soltanto fra molti anni. Di conseguenza ci tocca subire gli effetti distruttivi del riscaldamento climatico già oggi. Dobbiamo dunque imparare a convivere con gli eventi estremi. Tuttavia, un conto è farlo con eventi tutto sommato ancora ‘‘gestibili’’, un altro è farlo con un clima impazzito. È quindi necessario da un lato controllare la crescita delle temperature e cercare di invertire la rotta, dall’altro bisogna prendere dei provvedimenti di premunizione. E non si tratta soltanto di opere di protezione: servono anche norme comportamentali. Andrebbero allestiti dei protocolli da seguire in caso di alluvione, ad esempio. Insegnare alla popolazione la gestione delle emergenze, salva vite umane».

Professor Maugeri, lei, da accademico, è preoccupato?
«Sì. Però sono anche ottimista. Perché vedo un problema che ha una soluzione. Siamo in grado di mettere in atto politiche a lungo termine per azzerare le emissioni fra alcuni decenni. Sono convinto che l’uomo troverà le forze per risolvere il problema. Certo, se uno guarda la punta dei propri piedi, all’oggi, non c’è molto da essere ottimisti. Ma se si alza la testa e si guarda a ciò che è avvenuto agli ultimi trenta-quarant’anni, si vede che c’è un trend preciso. Le emissioni del mondo occidentale sono calate, la consapevolezza delle persone sul tema ambientale è cresciuta. Ci sono quindi segnali positivi se guardiamo a un orizzonte temporale di lungo periodo».

L’appuntamento. «Cambiamenti climatici: basi fisiche ed evidenze osservative». È il titolo della conferenza pubblica in programma questa sera (dalle ore 20.00) al Museo cantonale di storia naturale di Lugano. Relatore sarà proprio il professor Maurizio Maugeri. Iscrizioni: [email protected].