L'editoriale

I dazi di trump e lo scontro istituzionale

La recente sentenza della Corte americana che ha bloccato le tariffe doganali è in realtà una prova di forza tra il presidente e gli altri due poteri statali
Generoso Chiaradonna
03.06.2025 06:00

La recente decisione della Corte del Commercio Internazionale (CIT) di New York, che ha dichiarato illegittimi i dazi imposti dal presidente Donald Trump con il pacchetto «Liberation Day», va ben oltre una disputa sulla politica commerciale. Si configura, piuttosto, come un confronto aperto tra i tre poteri dello Stato - esecutivo, legislativo e giudiziario - sul confine costituzionale della sovranità economica e su chi detenga legittimamente il potere di esercitarla. Si tratta di un colpo pesante per una delle architravi della dottrina «America First», fondata sull’impiego aggressivo di tariffe doganali generalizzate per riequilibrare la bilancia commerciale e proteggere l’industria nazionale. Ma la Corte ha tracciato un limite netto: il presidente non può ricorrere a poteri emergenziali per aggirare il Congresso e imporre dazi in modo unilaterale e permanente. Il giorno successivo alla sentenza, una corte federale ha concesso una sospensione temporanea, permettendo ai dazi di rimanere in vigore in attesa dell’appello presentato dall’amministrazione Trump. Le prossime scadenze sono fissate per il 5 e il 9 giugno, date entro cui le parti dovranno depositare le rispettive memorie legali. Il contenzioso resta aperto, con implicazioni potenzialmente profonde sul piano giuridico, economico e politico. Ma al di là delle conseguenze economiche, è il principio della separazione dei poteri - se la sentenza sarà confermata - a emergere come posta in gioco fondamentale. La Corte ha ritenuto che l’utilizzo dell’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) per giustificare una politica tariffaria globale sia illegale. L’IEEPA, varata per fronteggiare minacce eccezionali alla sicurezza nazionale, non è stata concepita per sostituire il dibattito democratico e parlamentare sulle politiche commerciali strutturali. Invocare una «emergenza economica» per legittimare misure permanenti rischia di normalizzare l’eccezione, minando il principio del controllo reciproco tra i poteri dello Stato.

La reazione dell’amministrazione Trump conferma la posta in gioco: non solo la sopravvivenza di una strategia protezionistica, ma la riaffermazione della presidenza come centro decisionale unico nella definizione della politica commerciale. Una visione del potere esecutivo che si estende anche alla politica interna, come dimostra il braccio di ferro in atto con il mondo accademico, Harvard in testa. In tutto questo, il Congresso si è mostrato - ancora una volta - largamente passivo. La mancata riforma dell’IEEPA, nonostante gli abusi accumulati - da Bush a Obama, da Trump a Biden - evidenzia l’incapacità del legislativo di esercitare un controllo sostanziale sulle prerogative straordinarie dell’esecutivo.

La questione, oggi, non è più solo se quei dazi fossero efficaci o giustificabili. È, più radicalmente, chi ha il potere di decidere in nome degli Stati Uniti. E se tale potere può essere esercitato senza limiti, in nome di un’emergenza sempre invocabile.

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