Cambiamento climatico

I nostri boschi sono a rischio, ma c’è chi guarda al domani

L’Istituto federale svizzero WSL ha lanciato un progetto a salvaguardia dei boschi europei — Nicole Ponta: «Le piante non riescono a tenere il passo del cambiamento climatico: dobbiamo agire se vogliamo evitarne l’estinzione»
Nicole Ponta monitora l’esperimento, un micro-giardino, in Svizzera.
Paolo Galli
27.07.2022 06:00

Fa caldo. Noi possiamo dirlo, possiamo scriverlo. Le nostre piante soffrono in silenzio, ma soffrono. Soffrono, più in generale, il momento, l’accelerazione dettata dal cambiamento climatico. E rischiano l’estinzione. Da questa riflessione è nato un progetto guidato dalla dottoressa Katalin Csilléry e da un team di ricercatori dell’Istituto federale svizzero per la ricerca sulla foresta, la neve e il paesaggio (WSL) e finanziato dalla Commissione europea. Il progetto sta distribuendo una speciale miscela di semi di faggio e abete bianco ai forestali di tutta Europa per testare la sopravvivenza e la crescita degli alberi nelle loro foreste. La domanda di partenza è proprio legata alla riflessione precedente: quali alberi - e con quali origini - dovrebbero piantare i forestali europei per preparare i loro boschi al cambiamento climatico? Ne abbiamo parlato con Nicole Ponta, coordinatrice del progetto europeo MyGardenOfTrees.

Migrazione assistita dei geni

A lei abbiamo chiesto quale sia il principale messaggio di questo progetto, al di là del fine ultimo, che è quello della salvaguardia dei nostri boschi. La risposta è molto chiara: «Il messaggio? Che i boschi, come li vediamo adesso attorno a noi, potrebbero non sopravvivere alle condizioni che ci aspettano e che quindi dobbiamo prendere un ruolo attivo per assicurarne la sopravvivenza a lungo termine. Gli alberi, per rispondere ai cambiamenti climatici prolungati, hanno poche strategie a disposizione. Una di queste è migrare verso aree con condizioni favorevoli, ma occorrono varie generazioni, secoli, se non millenni. Un’altra è adattarsi alle nuove condizioni senza cambiare l’areale di distribuzione, ma anche in questo caso si tratta di un lungo processo, mentre il cambiamento climatico viaggia a velocità molto più elevate. Rimane l’estinzione: ma è ciò che vogliamo evitare. E allora occorre una strategia di gestione forestale. Possiamo aiutare le foreste a fronteggiare le condizioni climatiche che verranno». Ed ecco la strategia: «Arricchire le foreste con piante di provenienze (altrimenti dette origini genetiche) diverse, che abbiano il potenziale per fronteggiare al meglio gli effetti del cambiamento climatico, come la siccità che stiamo vivendo in questo esatto momento». È quella che in gergo viene chiamata migrazione assistita. Spesso viene interpretata come un trasferimento di specie al di fuori del loro areale naturale. «Quello che stiamo studiando - spiega Nicole Ponta - è il trasferimento di provenienze diverse in ambienti che già ospitano piante di quelle specie, specie che troviamo già in Svizzera e in tutta Europa». In termini scientifici, è la assisted gene flow.

Saper leggere il futuro

Ci resta un dubbio. Sì, perché vediamo con i nostri occhi, sulla nostra pelle, gli effetti del cambiamento climatico, ma non possiamo prevedere quali saranno le condizioni domani, qui in Svizzera come nel resto dell’Europa. Nicole Ponta fa chiarezza: «Lavoriamo su due fronti. In primo luogo, andiamo a raccogliere semi di faggio e abete bianco da tutto l’areale di distribuzione, cercando di catturare la diversità genetica della specie e il suo potenziale di adattamento. Successivamente, distribuiamo i semi in centinaia di ambienti diversi in tutto il continente. Vogliamo monitorare come queste provenienze performino in una varietà di ambienti naturali». Questo è uno degli aspetti innovativi del progetto: tradizionalmente i test sulle provenienze vengono effettuati in uno o pochi siti sperimentali e i risultati sono rilevanti per un limitato numero di ambienti. MyGardenOfTrees cerca di superare questo limite attraverso la creazione di una rete di centinaia di test di provenienza su tutto il territorio europeo. Lo scopo è generalizzare i risultati ottenuti a grandi scale spaziali. «In secondo luogo - riprende Ponta - combineremo le osservazioni eseguite sul campo dai partecipanti del progetto con dati genomici per creare uno strumento di previsione rivolto ai gestori forestali per scegliere quali sono i semi ottimali da piantare nei propri boschi. Questo è anche un modo per ripagare il preziosissimo aiuto che riceviamo dai partecipanti volontari. La certezza non può essere assoluta, ma è proprio per questo che è importante testare il più possibile oggi». L’esperimento ha una durata prevista di cinque anni.

Le sfide

Il rischio di estinzione di alcune specie è chiaro. Nicole Ponta lo dice senza giri di parole. «Il rischio c’è. I partecipanti già ci riportano dei danni che i loro boschi stanno accusando a causa del cambiamento climatico. Gli alberi mostrano chiari segni di stress, non producono più semi o li producono, sì, ma per poi liberarsene per sopravvivere, risparmiando cioè energia di fronte a tanta siccità. È questa, in fondo, la motivazione che spinge molti forestali europei a partecipare al progetto e quindi ad agire. Perché la rinnovazione naturale è a rischio. A volte vediamo alberi adulti in salute, ma a rischio è comunque il futuro, la riproduzione: generazioni successive che potrebbero non vedere la luce o non sopravvivere a causa delle nuove condizioni climatiche. Gli alberi, soprattutto nei primi anni di vita, sono esposti a molteplici sfide ed è proprio per questo che il nostro progetto stabilisce gli esperimenti a partire dai semi. Si tratta di aiutare i nostri boschi a non diventare semplici musei di alberi».

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