«I temi dei miei film ruotano attorno alla complessità delle relazioni umane»

Quando la contatto, è evidente che per Agnese Làposi si tratta di un momento delicato. Il suo ultimo film è alle battute finali e il tempo è limitato. Al mattino è impegnata con gli specialisti del suono, nel primo pomeriggio ha la visione con i produttori. Così, la incontro a Lugano in pausa pranzo, a due passi dalla sede dalla REC, l’associazione ticinese che ha prodotto il suo film. Lo scorso anno, Agnese è stata selezionata assieme al regista teatrale Igor Horvat, con il progetto I fisici per il bando promosso per la prima volta nella Svizzera italiana da De la scène à l’écran, iniziativa - giunta alla sua quinta edizione nella Svizzera romanda - con l’obiettivo di sostenere progetti che trasformano spettacoli dal vivo in opere audiovisive originali. Lo scorso autunno, Horvat ha messo in scena sul palco del LAC la celebre commedia grottesca di Friedrich Dürrenmatt e ora Agnese sta curando gli ultimi particolari della trasposizione cinematografica. Il duo di registi ha lavorato sodo per concretizzare il progetto premiato e, come racconta Agnese «poiché il budget non era enorme, abbiamo dovuto adattarci. In cambio, abbiamo potuto lavorare in piena libertà, e ciò non ha prezzo».
Questa è la prima volta che Agnese si cimenta in un lungometraggio, anche se non si tratta di un’opera prima, «bensì di un lungo documentario, tengo a sottolinearlo». Nata a Monteceneri nel 1995, è cresciuta in Ticino. Nel 2019 si è diplomata al Bachelor in regia cinematografica all’ECAL, l’università di arte e design, a Losanna. Dopo, si è trasferita in Francia per conseguire un Master di cinema documentario a Lussas. «Sono rientrata in Ticino perché volevo girare in lingua italiana e sapevo che avrei potuto trovare produttori per i miei lavori, facendo parte di questa minoranza linguistica». Alcuni dei suoi corti - Alma nel branco, Zu Dritt e Due volte Su sono stati presentati in vari festival: a Palm Springs, a Oberhausen e a Roma (Alice nella città). Quando non è impegnata sul set o in sala di montaggio, la giovane regista ha varie collaborazioni nel mondo del cinema. A Castellinaria, si occupa di programmazione; nel corso del festival di Locarno segue «L’Atelier du Futur», un’iniziativa culturale - promossa da La Mobiliare - ideata per stimolare la creatività nei giovanissimi partecipanti, «Inoltre, in questo momento mi occupo anche del montaggio di un podcast. Insomma, ho molto da fare».
Agnese è una regista impegnata, e nel suo lavoro si ispira a filoni molto diversi: dal cinema grottesco e di denuncia di Elio Petri al cinema delicato e intimista di Kelly Reichardt. «Molto dipende dal progetto a cui lavoro; generalmente, mi piace raccontare con delicatezza la violenza del sistema. Il mio cinema non si può definire militante, ma forse impegnato e sottilmente politico, nel tentativo di includere la complessità delle emozioni e delle relazioni umane, spesso intrise di violenza e contraddizione». Agnese apprezza l’esperienza collettiva che si vive sul set, «perché motivare un gruppo mi stimola molto». Non solo: avendo a che fare con produzioni a basso budget, «ho la fortuna di seguire e affiancare i colleghi che fanno lavori diversi: dagli specialisti del suono e della camera agli attori, dai montatori ai produttori, e tutto ciò mi affascina molto». Quando, in chiusura, le chiediamo dove vorrebbe proseguire la sua carriera da regista, lei risponde senza esitare. «Non ho il sogno americano, io mi sento molto europea».