Sotto la lente

Il braccio di ferro sui migranti bloccati a Catania

Situazione di stallo dopo che l'Italia ha invocato la responsabilità delle nazioni a cui appartengono le navi che trasportano i migranti sulle sue coste – Intanto, nel porto etneo non viene permesso lo sbarco agli uomini adulti e in salute
Irene Solari
07.11.2022 21:00

Quale nazione è responsabile di una nave che chiede di attraccare? Ma, soprattutto, di chi è la responsabilità se questa nave è carica di migranti? È il caso che sta opponendo l’Italia, e i suoi porti, a Germania e Norvegia, le nazioni a cui appartengono le imbarcazioni di soccorso marittimo. Su a chi spetti questa incombenza si dibatte da qualche giorno. In sostanza, i Paesi si stanno rimpallando la competenza giuridica a colpi di convenzioni di diritto internazionale, mentre navi e persone restano ancorate nelle acque del porto di Catania.

Secondo la teoria del governo italiano, le navi che soccorrono i migranti dovrebbero approdare direttamente nei porti delle nazioni di cui battono bandiera e non nei porti italiani, i più vicini. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire meglio la vicenda.

«Gli uomini adulti non sbarcano»

Bisogna tornare indietro di qualche giorno quando, nelle acque del Mediterraneo, due imbarcazioni gestite da ONG, la Humanity 1 della SOS Humanity e la Geo Barents di Medici Senza Frontiere, hanno soccorso e recuperato centinaia di migranti – tra cui anche donne e bambini – che fuggivano attraverso il Mediterraneo. Le due navi hanno poi fatto rotta verso le coste sicure più vicine, quelle italiane. Così, tra sabato e domenica, la Humanity 1 e la Geo Barents hanno attraccato al porto di Catania, domandando alle autorità il permesso per far sbarcare i migranti. Permesso che è stato parzialmente negato dal governo italiano. Per entrambe le due navi, le autorità italiane hanno infatti concesso lo sbarco soltanto a donne, bambini e persone fragili. Non agli uomini adulti e “in salute”, in sostanza. Una decisione che però rappresenta una lampante violazione del diritto internazionale. Contro la quale l’ONG SOS Humanity ha già annunciato che opporrà un ricorso al Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio.

Bloccati nel porto di Catania

La situazione si è presto ridotta allo stallo. A bordo della Humanity 1 restano ancora 35 uomini, dopo lo sbarco degli altri 144 migranti. Per questi 35 superstiti il governo italiano non ha rilasciato alcun permesso. Ieri il capitano della nave, Joachim Ebeling, ha dichiarato a Repubblica di aver ricevuto da parte delle autorità italiane la richiesta di lasciare lo scalo. Portandosi via, di fatto, gli uomini “non autorizzati”. Richiesta che ha rifiutato: «Se adesso andassi via violerei una serie infinita di leggi e convenzioni internazionali e qui al porto di Catania non sto facendo nulla di illegale». La nave è quindi ancora ferma nel porto etneo.

Il decreto ministeriale

Dietro a questa decisione di sbarco “selettivo” c’è un decreto ministeriale firmato venerdì dal governo italiano. Secondo il documento, spiega il Post, una volta che le navi delle ONG entrano nelle acque italiane, devono essere sottoposte a un’ispezione da parte delle forze dell’ordine italiane. Il controllo vuole stabilire quali persone abbiano i requisiti per sbarcare sulla terraferma e quali no. Una volta terminate l’ispezione e le operazioni di sbarco, i battelli delle ONG devono abbandonare le acque italiane.  

«A bordo attacchi di panico e infezioni gravi»

La situazione è critica anche a bordo della Geo Barents. Sulla nave si trovavano 572 migranti, di cui 215 sono già riusciti a raggiungere la terraferma. Ma il problema è analogo: anche qui restano bloccati gli uomini adulti, ritenuti “in buona salute”. Un termine che stride parecchio con le parole di Riccardo Gatti, responsabile delle operazioni di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere, che racconta come la scorsa notte ci sia stato uno sbarco in più a causa di un’evacuazione medica. «Abbiamo riscontrato non solo attacchi di panico ma anche infezioni cutanee abbastanza gravi, perciò la situazione a livello di vulnerabilità medico-psicologica è ancora ancora aperta, così come quindi noi consideriamo ancora aperta l'operazione di soccorso, che si deve concludere con lo sbarco delle persone il prima possibile, secondo gli obblighi internazionali» ha dichiarato Gatti, citato dalle agenzie di stampa.

Braccio di ferro

Ma torniamo alla questione delle due nazioni coinvolte dall'Italia in questa faccenda: Germania e Norvegia. Vi parlavamo di un braccio di ferro in corso. Sì, perché la questione è molto delicata e tocca il diritto internazionale. Il governo italiano sostiene che la responsabilità sia delle stesse navi che soccorrono i migranti in mare aperto. O, meglio, delle nazioni a cui appartengono queste navi. Nel caso specifico a Humanity 1 batte bandiera tedesca, mentre la Geo Barents, quella norvegese. Spetterebbe quindi a loro farsi avanti e prendersi la responsabilità di queste persone. Una richiesta che il governo italiano ha già inoltrato ai rispettivi governi. Respinto però dai due Paesi che dicono di non avere doveri in merito.

Una nave come un’isola?

La teoria su cui si fondano le autorità italiane vede le navi come dei pezzetti “in movimento” dello Stato di cui battono bandiera. L’idea è basata sull’articolo 92 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS). Partendo da qui, hanno dedotto che le navi siano da considerare come territorio della nazione a cui appartiene la bandiera e, quando i migranti salgono sulla nave, è come se “entrassero” nel territorio di un determinato Paese. Secondo il governo italiano, quindi scatterebbe la regola stabilita dall’articolo 13 del Regolamento di Dublino. Regola che determina come responsabile il primo Stato europeo del quale il migrante varca la frontiera. Non l’Italia, in questo caso, ma Germania e Norvegia.

Gli uomini rimasti a bordo della Geo Barents. © EPA/ORIETTA SCANDINO
Gli uomini rimasti a bordo della Geo Barents. © EPA/ORIETTA SCANDINO

La legge dice di no

Peccato che questa convinzione non abbia, nei fatti, alcuna validità. La bandiera di una nave è determinante da un punto di vista di immatricolazione fiscale. Ma non ha nulla a che vedere con le regole che il diritto internazionale prevede per l’assistenza in mare. Anzi. Il diritto internazionale si fonda, per il soccorso marittimo, sulla Convenzione di Amburgo del 1979 e su altre norme affini. Secondo queste basi legali, le persone soccorse in mare devono poter sbarcare il più rapidamente possibile nel primo «porto sicuro». Con questo termine si intende il primo scalo per prossimità geografica dove vengono rispettati i diritti umani. Tutto questo a prescindere dalla bandiera battuta dalle navi di soccorso, che non entra in linea di conto. Nel caso concreto, il porto più vicino e più sicuro è stato considerato quello di Catania.

Berlino risponde

Intanto, nella giornata di oggi, sono arrivate le reazioni da parte di Berlino. «Il governo tedesco si è sempre mostrato solidale proprio con l'Italia e con gli altri Stati del Mediterraneo nell'accoglienza dei migranti riconoscendo il peso del flusso nell'area e dando sostegno, cosa che continuerà a fare», ha detto il portavoce del ministero dell'Interno, Maximilian Kall. «I colloqui con Roma sono tutt’ora in corso» ha aggiunto. Anche la Commissione Europea ha ribadito che esiste il dovere morale e legale di salvare le persone in mare «in base alle leggi internazionali», specificando che «sulla base delle leggi internazionali bisogna minimizzare il tempo che le persone passano in mare».

Altri due navi in attesa

La situazione, se possibile, potrebbe ancora complicarsi. Al largo della costa catanese stanno infatti navigando e aspettando, da giorni, altre due navi delle ONG. Si tratta della tedesca Rise Above e della norvegese Ocean Viking, che ha soccorso 234 migranti.