Clima

Il business dei certificati di compensazione: un'illusione per l'ambiente?

Dall'aviazione all'e-commerce, questi strumenti teoricamente permettono ad aziende e consumatori di compensare la CO2 emessa a favore di progetti per il clima – Ma è davvero così? Uno studio pubblicato su Science afferma di no
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Red. Online
29.08.2023 16:30

Certificati di compensazione, come la mettiamo? Bella domanda. Ne avevamo già parlato. Aziende e privati, nonostante gli allarmi e i dati a disposizione, continuano, testardamente, a emettere CO2 e altri gas serra. O, quantomeno, le riduzioni promesse non stanno rispettando la tabella di marcia fissata (anche) a livello internazionale. Tradotto: il pianeta continua a scaldarsi e le conseguenze, di qui a pochi anni, rischiano seriamente di essere brutali. Di qui, appunto, l'idea di introdurre i citati certificati di compensazione. Anche per «piccole» cose, come un viaggio in aereo per una vacanza o un nuovo divano acquistato su una piattaforma di e-commerce. Attività, queste, inquinanti. L'esercizio di compensazione, secondo i più, sarebbe puro e semplice greenwashing. Ma andiamo con ordine.

Di norma, questi certificati vengono utilizzati per finanziare progetti che riducono, altrove, le emissioni. Nella speranza di arrivare allo zero netto, cioè che le emissioni e le misure di miglioramento garantite dai certificati si bilancino a vicenda. Un singolo certificato acquistato corrisponde, leggiamo, a una tonnellata di CO2 o di altri gas serra, fra cui ozono o metano. Fin qui tutto bene. La realtà, tuttavia, sarebbe diversa. Molto diversa. Lo scorso 24 agosto, sulla rivista Science, è stato pubblicato un nuovo studio incentrato sugli effetti dei progetti di protezione del clima finanziati dai certificati di compensazione. Effetti che, va da sé, sarebbero notevolmente sovrastimati.

Lo studio, in particolare, si è concentrato su 26 progetti di protezione del clima in sei Paesi e tre continenti. Progetti che, nelle intenzioni, dovrebbero rallentare la deforestazione e, grazie al rimboschimento, dare un contributo positivo all'equilibrio climatico. Eppure, lo studio ha scoperto che la stragrande maggioranza dei progetti in questione non rallenta la deforestazione. Proprio perché i vari progetti si sono rivelati meno efficaci del previsto o, peggio, di quanto affermato e promesso.

Nel dettaglio, soltanto otto dei 26 progetti di protezione del clima – in Cambogia, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Peru, Tanzania e Zambia – hanno ridotto, in maniera inequivocabile, il processo di deforestazione. Rimanendo, tuttavia, al di sotto degli obiettivi dichiarati. Secondo Science, i risultati dello studio confermano le ipotesi, avanzate anche da diversi gruppi di attivisti, secondo cui il business dei certificati non sarebbe, realmente, amico del clima. Tradotto: puntare sui certificati non significa, in alcun modo, fare un favore all'ambiente.

Così il coautore dello studio, Thales West della Vrije Universiteit di Amsterdam: «Chi fa affidamento al 100% sulle compensazioni probabilmente non farà nulla di positivo per mitigare il cambiamento climatico». Silas Hobi, amministratore delegato dell'associazione Umverkehr e scienziato ambientale, interrogato dal Blick concorda: «Il problema del sistema dei certificati è l'incentivo sbagliato, molti pensano che grazie alla compensazione non dovrebbe esserci alcun cambiamento nel loro comportamento di consumo». Ovvero, ma sì continuiamo a volare senza sosta. Tanto è sufficiente acquistare un certificato. Non a caso, Umverkehr ha criticato sin da subito i sistemi di compensazione attuati, ad esempio, dall'aviazione. Fra le altre, Hobi ritiene che la low cost easyJet sia fra i peggiori vettori, in questo senso, poiché farebbe perno su certificati a buon mercato.

A livello di aviazione, Hobi spiega che a livello federale, in Svizzera, è interessante notare come non si discuta, ancora, una riduzione del traffico aereo tout court. Una riduzione rispettosa del clima. Swiss, la compagnia di bandiera, dal canto suo sta valutando l'introduzione della compensazione obbligatoria per alcune tratte. Fra cui quella da Zurigo a Ginevra, ritenuta peraltro anacronistica considerando l'alternativa, il treno. «Stiamo pensando di rendere obbligatoria la compensazione climatica su alcune tratte, come quella da Zurigo a Ginevra» ha promesso tempo fa Dieter Vranckx, il CEO della compagnia. «Spero che ciò avvenga quest'anno». Una compensazione che, tuttavia, stando a studi come quello pubblicato su Science non farebbe comunque il bene del pianeta.