L'approfondimento

Il golpe del 1991 rivela tutta la Russia di oggi

L’arbitrio del singolo prevale sulla legge: è la storia del Paese – L’ultimo che si è opposto a questa massima, Aleksej Naval’nyj, è appena morto di tormenti in un penitenziario siberiano
Il presidente degli USA George H. Bush, con Michail Sergeevič Gorbačëv, all'ambasciata sovietica di Madrid, il 29 ottobre 1991. © KEYSTONE (AP Photo/Liu Heung Shing)
Luca Lovisolo
02.03.2024 12:30

«Intorno alle 17 Michail Sergeevič entrò d’improvviso in camera mia, agitato. È successo qualcosa di brutto, forse spaventoso, mi disse. Nella nostra villa sono entrate persone non autorizzate. Tutti i telefoni sono muti. Siamo isolati. Non cederò ad alcun ricatto, ma potrebbe costarci caro. Dobbiamo essere pronti a tutto, l’intera famiglia, aggiunse, dopo una pausa. Chiamammo le bambine. Spiegammo la situazione a Irina e Anatolij, loro ci dissero che la radio e la televisione non funzionavano più. Sostenemmo tutti Michail Sergeevič. Gli dissi: resteremo con te».

È il 18 agosto 1991. Siamo in una villa di proprietà dello Stato a Foros, sulla costa della Crimea. Michail Sergeevič Gorbačëv, presidente dell’Unione sovietica, vi è sceso in vacanza con la moglie, Raisa Maksimovna, la figlia Irina, suo marito Anatolij e le loro due bambine, Ksenija e Anastasija. Insieme a loro, alcuni collaboratori della presidenza. Si prepara un appuntamento storico, del quale abbiamo parlato nel precedente articolo: due giorni dopo, il 20 agosto, è fissata a Mosca la firma del trattato di rifondazione dell’Unione sovietica, secondo la riforma voluta da Gorbačëv.

Ma chi è entrato nella villa dei Gorbačëv?

Racconta i fatti la moglie di Gorbačëv, nel diario poi pubblicato sulla Komsomol’skaja Pravda. A entrare nella villa sono alcuni dirigenti golpisti arrivati da Mosca. Portano un messaggio che stravolge la trama tessuta da Gorbačëv per la riforma dell’Unione. Un sedicente Comitato di Stato per la situazione di emergenza ha preso il potere, guidato da Gennadij Janaev, vicepresidente dell’Unione sovietica. L’operazione non ha un vero capo, dice lo storico sovietico Roj Medvedev nel suo Gli ultimi anni dell’Unione sovietica. Ha una regia, però: il KGB, i servizi segreti, diretti da Vladimir Krjučkov.

Secondo la Costituzione, il vicepresidente assume i poteri del presidente, se quest’ultimo è impedito. Il Comitato diffonde così la notizia che Gorbačëv, in Crimea, sarebbe stato colto da un grave malore. Il Comitato deve salvare l’Unione sovietica da «caos e anarchia» nei «superiori interessi dei popoli della patria», dice il comunicato letto in televisione. In verità, il golpe deve impedire la fine del sistema che ha garantito una vita di potere a un’intera classe dirigente. Lo scopo è fermare Gorbačëv, che ormai – ricorderà Boris Eltsin – secondo i golpisti «con la sua Perestrojka ha rotto le scatole a tutti».

Nei fatti non esiste alcuna situazione di emergenza e Gorbačëv sta benissimo. Quando gli emissari arrivati da Mosca tentano fargli firmare un documento per cedere i poteri ai golpisti, lui rifiuta e caccia dalla villa gli indesiderati visitatori. Le guardie del corpo, come i familiari, gli resteranno fedeli per tutti quei giorni difficilissimi.

Intanto, quattromila chilometri più in là…

Nelle stesse ore, quattromila chilometri più a est si svolge tutt’altra storia. Boris Eltsin è da un mese presidente della Russia, ancora parte dell’Unione sovietica; è in visita ufficiale in Kazakstan, anch’esso ancora sovietico. Mentre Gorbačëv, in Crimea, viene sequestrato dai golpisti, Eltsin, ignaro di tutto, sopporta l’ospitalità orientale: le danze in costume, i cori folcloristici, il concerto di musica etnica… Frigge d’ansia, vuole tornare a Mosca. La partenza del suo aereo viene ritardata di un’ora, poi di un’altra. «Me lo sentivo, che qualcosa non andava», dirà. Si saprà poi che il piano era di abbatterlo durante il volo. A cambiare idea all’ultimo è Krjučkov: Eltsin gode di larghissima popolarità, molto più di Gorbačëv. Il capo dei servizi segreti pensa che sia meglio lasciarlo rientrare e metterlo di fronte al golpe come fatto compiuto. Atterrato a tarda ora nella capitale, Eltsin si ritira nella sua dača di Arkhangelskoe, ameno quartiere di residenze governative fuori Mosca.

«Papà, c’è un colpo di Stato!...»

Alle sette circa della mattina dopo, 19 agosto, la figlia Tat’jana lo tira giù dal letto: «Papà, papà… un colpo di Stato!» – «Ma stai scherzando?...». Eltsin si alza, ancora in canottiera accende la TV. I blindati attraversano i vialoni di Mosca e puntano alla Casa bianca, sede governativa della Russia. Gli Eltsin si guardano negli occhi: tutta la famiglia capisce cosa sta succedendo. La moglie, Naina: «Boris, a chi bisogna telefonare?» Eltsin ricorderà quelle ore così, nel suo diario Zapiski prezidenta: «Feci un giro di telefonate a tutti coloro che erano più vicini e potevano essere utili. Mia moglie mi aiutò a telefonare. Lei e mia figlia, quella mattina, furono le mie prime aiutanti. Le mie donne non piansero, non si sedettero a disperarsi. Agirono da subito insieme a me e agli altri che cominciavano ad arrivare a casa nostra. Grazie, per tutto questo.»

La televisione interrompe i programmi e trasmette il balletto Il lago dei cigni. I sovietici capiscono lo stesso che qualcosa di grosso sta accadendo. Ogni volta che in URSS succedeva qualcosa di grave, la TV troncava le trasmissioni e passava Il lago dei cigni, era diventato una specie di messaggio subliminale. Gorbačëv, in Crimea, ha una radiolina portatile, l’aveva presa con sé per seguire un’emissione mattutina a cui era affezionato. Con quell’apparecchietto si tiene informato come può, nascondendolo agli scherani dei golpisti che circondano la villa. Il genero Anatolij costruisce un’antenna di fortuna, usando un cavo trovato in casa. Riesce così a captare qualche emittente straniera.

I piani dei rivoltosi scricchiolano

Il piano dei golpisti comincia a vacillare. Gli emissari inviati in Crimea tornano con le pive nel sacco: Gorbačëv ha rifiutato di firmare la cessione dei poteri. Eltsin vince i timori della moglie e si fa portare a Mosca insieme ai più stretti collaboratori. Si barrica nel grattacielo governativo e resiste.

Eltsin si accorge che la popolazione rifiuta il colpo di Stato e non tutto l’esercito obbedisce ai golpisti. Vuole farsi trasmettere da radio e TV, ma non può: allora esce dal palazzo, sale su uno dei carri armati che lo circondano e urla il celebre discorso in cui dichiara illegittimi gli atti dei golpisti e fa appello ai cittadini affinché non vi obbediscano. Passa la notte nel palazzo e respinge l’offerta di fuggire nella vicina ambasciata degli Stati uniti. Esita, ma poi, convinto dai collaboratori, assume il comando delle forze armate. Rischia, è un atto che potrebbe dividere l’esercito e scatenare una guerra civile. Non accade. L’esercito si ritira. Il golpe fallisce.

Muore l’Unione sovietica, nei cuori e in parlamento

Il 22 agosto Eltsin parla a una folla plaudente. Senza di lui a Mosca, con Gorbačëv sequestrato in Crimea, i golpisti avrebbero potuto vincere. Gennadij Burbulis, uno dei suoi principali collaboratori, racconta: «Quando le migliaia di manifestanti gridarono viva la Russia, viva Eltsin, viva la libertà, si capì che l’Unione sovietica non esisteva più». Agli occhi del popolo, quello è il momento in cui nasce la Russia postsovietica.

Il giorno dopo Michail Gorbačëv interviene dinanzi al Soviet supremo – il parlamento – della Russia, formalmente ancora parte dell’Unione sovietica. Arranca con le parole, Eltsin lo interrompe, gli ricorda un documento che gli aveva consegnato in precedenza. Gorbačëv esita: «Non l’ho ancora letto…» Eltsin si alza, si avvicina, prende il documento dal leggio e intima, puntando il dito accusatore: «Bene, lo legga adesso!» L’assemblea ridacchia, applaude, rumoreggia. Gorbačëv balbetta. Non è più nessuno. Così la Russia seppellisce moralmente l’Unione sovietica anche dinanzi al parlamento. La fine giuridica dell’Unione seguirà quattro mesi dopo, il 26 dicembre 1991. Il golpe doveva impedire la riforma dell’URSS. Fallisce, ma ne causa la fine, mentre la Russia di Eltsin esce trionfante.

Il fallito golpe e la Russia di oggi

Il golpe di agosto 1991 ha dato la stura a infinite analisi, teorie e interpretazioni. Riportato ai suoi fatti essenziali, ci insegna tutto, sulla Russia. Lo coordinano i servizi segreti: agiscono sempre loro, nei momenti-chiave. La sua causa sono brame e gelosie di potere di singoli individui. La legge dovrebbe tutelare la collettività dalla prepotenza degli individui; in Russia, invece, da sempre gli individui si sostituiscono la legge, nel bene e nel male. Se Gorbačëv e Eltsin sventano il golpe non è grazie alla certezza del diritto, ma grazie alla loro convinzione, all’affetto dei loro familiari, all’abnegazione dei loro collaboratori e delle guardie del corpo.

All’inverso, tanti che avrebbero l’autorità di fermare il golpe tentennano: aspettano di capire chi prevarrà, per poi salire sul carro del vincitore. Nel 1991 Anatolij Luk'janov è presidente del Soviet supremo dell’URSS. Ha il potere di convocare d’urgenza l’organo legislativo e così stroncare il golpe. Non lo fa, appellandosi a una norma che gli permette di posticipare la convocazione di sette giorni. Quando parlava di Luk'janov, dopo il golpe, Gorbačëv schiumava di rabbia. Erano amici e vecchi compagni d’università, Gorbačëv stesso lo aveva elevato alla terza carica dello Stato. Eppure, nel momento decisivo Luk'janov non agisce. L’arbitrio del singolo prevale sulla legge: è la storia della Russia. L’ultimo che si è opposto a questa massima, Aleksej Naval’nyj, è appena morto di tormenti in un penitenziario siberiano.

Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui.

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