Il palazzone di via Industria cambierà

Ha visto la città cambiare, dall’alto dei suoi sedici piani. Ora, ormai sessantaduenne, a cambiare sarà lui. Il palazzo di via Industria 17 a Pregassona verrà ristrutturato. Non è un edificio qualunque. Spicca. Da sempre. Per la sua forma a stella, per essere stato una delle prime «torri» che Lugano ha lanciato nel suo cielo, per essersi fatto una brutta fama a causa d’inquilini non proprio irreprensibili e un aspetto un po’ fatiscente. Da qualche tempo, però, sulle sue facciate soffia un vento diverso.
La Livit, la ditta che amministra il palazzo «multipiano», come è conosciuto dai più, ci ha confermato che la notizia era nell'aria. «La proprietà sta pianificando una ristrutturazione», scrive da Zurigo un rappresentante della società. «Tra i contenuti del progetto possiamo citare un invitante spazio esterno verde e un variegato mix di appartamenti che si rivolgerà a un pubblico diversificato». Il progetto dovrebbe essere presentato nelle prossime settimane.
L’edificio, intanto, si sta svuotando. È rimasta circa la metà dei condomini, come testimoniano le poche luci accese la sera. Sono in gran parte famiglie e anziani che vivono là da decenni, pagando pigioni popolari. Trovare un altro posto, con gli affitti in aumento, non sarà facile. L’idea dei proprietari, secondo nostre informazioni, è agevolare l’uscita a chi è pronto per trasferirsi e poi, man mano, disdire tutti i contratti, dando comunque tempo agli inquilini per assicurarsi una sistemazione.
La droga e i diciotto cani
Sarà un rinnovamento edilizio e d’immagine, anche se da qualche anno il «multipiano» non balza più agli onori delle cronache. Come nell’ottobre 2016, quando l’edificio, insieme ad altri due vicini, era stato teatro di una retata antidroga che aveva portato al controllo di centosessanta persone sull’arco di quattro giorni. O come nel settembre 2018, quando era emerso il caso dell’appartamento, tenuto in pessime condizioni, in cui una famiglia con tre bambini viveva insieme a diciotto cani. Quei tempi, come ci confermano sul posto alcune persone che preferiscono rimanere anonime, sono passati.
«Direi di sì, viviamo meglio» racconta una donna che abita nello stabile da anni. «Ci sono persone un po’ stravaganti, ma nel complesso sono tutti integrati e la polizia non arriva così tanto come in passato, quando ne succedevano di tutti i colori e a volte avevo paura». Le persone rimaste si conoscono più o meno tutte, e quando capita si danno una mano. «I rapporti di vicinato sono simili a quelli di altri palazzi, prevale l’individualismo, però ci sono delle eccezioni. Una mia vicina, ad esempio, ogni tanto arriva e mi porta quello che ha cucinato».
È zona loro
I problemi, oggi, arrivano semmai da fuori. In particolare da gruppi di ragazzini, spesso minorenni, che si rendono protagonisti di atti d’inciviltà. Una volta, forzando una porta del palazzo, sono riusciti a salire sul tetto, che non è protetto da ringhiere. «È vero, quei giovani sono difficili da trattare» ci conferma l’inquilina che abbiamo contattato. «Se dici loro qualcosa, rischi di essere presa a male parole. A me è capitato: avevo semplicemente chiesto, gentilmente, di raccogliere un sacchetto di patatine che avevano buttato a terra, e loro mi hanno insultata, dicendomi di farmi i cavoli miei». L’amministrazione ha installato delle telecamere e segnalato la situazione alla polizia, ma il disagio resta.
Tutti attorno a un tavolo
Allargando il discorso a tutta la zona di via Industria, da noi contattata, la municipale responsabile della sicurezza Karin Valenzano Rossi conferma il susseguirsi di episodi di violenza e disagio giovanile. «La polizia è molto sollecitata e passa spesso. Una prima misura è stata ridurre l’orario di apertura serale dei campetti, che dopo la loro inaugurazione due anni fa erano stati subito oggetto di vandalismi». Chiaramente il da farsi è più ampio. «Abbiamo aperto una discussione con l’Autorità regionale di protezione e il Cantone, e vorremmo coinvolgere anche il Magistrato dei minorenni. Non tutti i giovani sono così, ma è preoccupante vedere dei ragazzi con questa aggressività. È sintomo di un disagio, dobbiamo capire come prendercene carico ed evitare che trascenda nel commettere reati». Il tavolo istituzionale è stato creato dalla Città prima dell’estate e prossimamente dovrebbe riunirsi per la prima volta.
Spiragli positivi
Un tentativo per far cambiare direzione a quei ragazzini lo ha fatto qualche mese fa l’Associazione Amélie, che s’impegna per favorire la socializzazione, la solidarietà e l’integrazione in una zona di Lugano abbastanza complicata, oltre che aiutare singole persone a intraprendere un percorso di crescita. «Abbiamo fatto di tutto per coinvolgerli nelle nostre attività – dice il presidente Marco Imperadore – ma hanno preferito seguire un’altra strada». In pratica non si sono comportati bene e il rapporto si è incrinato. «Noi dobbiamo tutelare il nostro centro, chi lo frequenta e tutti i volontari» spiega il presidente senza entrare nei dettagli. «Di buono c’è che ultimamente alcuni di quei giovani hanno rivisto la loro situazione e sono tornati da noi». Uno spiraglio positivo. Lo stesso, per Imperadore, si può dire del progetto di ristrutturazione del multipiano, che darebbe un contributo allo sviluppo del quartiere. «Sarebbe un messaggio importante dopo quello che ha dato la Città creando la nuova area di svago e valorizzando il percorso lungo il fiume: un bel cambiamento rispetto a un decennio fa».

È uno, ma dovevano essere tre
Eccolo là il multipiano, immortalato da Vincenzo Vicari nel 1962. Un gigante. E un ambasciatore della Lugano che verrà. Progettato da Sergio Pagnamenta, il palazzo di via Industria era stato costruito «con grande risparmio di materiali», come scrisse Paolo Fumagalli sulla rivista Archi. Uno stabile popolare, ma con una sua ricerca estetica. Quello che forse non tutti sanno è che il progetto originario prevedeva non uno, ma tre edifici simili, «dove la ripetizione delle singole unità avrebbe potuto costruire un’immagine meglio compiuta e più qualificata, sia per l’articolazione visiva che avrebbero comportato le diverse volumetrie stellari nel loro ripetersi cadenzato, sia per la definizione di un quartiere vero e proprio, immerso nel verde a fianco del fiume». Fra gli anni ‘50 e ‘60 la città vide svettare altri stabili alti (il termine «grattacieli» a Lugano viene tuttora evitato dagli addetti ai lavori) come la Casa torre di Rino Tami a Cassarate e la Casa alta di Americo Caratti a Viganello, senza dimenticare, un ventennio più tardi, il nuovo Ospedale civico progettato da Maria Anderegg e Felix Rebmann. Oggi l’attenzione è focalizzata su Cornaredo, dove sono previsti edifici alti fino a sessanta metri: si potrà chiamarli grattacieli?