Il patriarca Kirill, «spalla» di Putin sempre più solo nella Chiesa ortodossa
La Lituania, alcuni giorni fa, ha deciso di vietare l’ingresso nel Paese al capo della Chiesa ortodossa russa Kirill, che ha benedetto la «speciale operazione militare» del Cremlino in Ucraina. Il patriarca di Mosca, che è un alleato di ferro di Vladimir Putin, dal giorno dell’invasione, per questa sua posizione, risulta però sempre più isolato nella stessa Chiesa ortodossa russa.
L’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina, a parte le sue tremende conseguenze sociali, economiche e politiche, ha fatto da detonatore ad una «bomba» ecclesiale, teologica e storica che giaceva da tempo inesplosa: l’intricatissimo nodo delle tre Rome. Infatti, mentre la Prima Roma, quella papale, e la Seconda, quella di Costantinopoli, si sono trovate concordi nel denunciare l’«operazione militare speciale» contro l’Ucraina, decisa dal capo del Cremlino, Vladimir Putin, la Terza Roma, quella di Mosca, guidata da Kirill, si è distinta dalle altre Due perché ha benedetto la decisione del presidente russo.
Patriarcato di Mosca lacerato
Quando, il 24 febbraio, è iniziato l’evento che tutto il mondo chiama «guerra», Kirill ha in sostanza ritenuto dolorosa, ma legittima, la decisione di Putin; e il 6 marzo ha spiegato che il dramma in atto era, in radice, lo scontro tra il Bene e il Male: il primo, difeso dall’iniziativa russa per difendere la purezza della fede cristiana, minacciata dalle autorità di Kiev che ammettevano i Gay Pride, e cioè comportamenti antitetici ai comandamenti di Dio che – spiegava – purtroppo l’Occidente, con la sua vile remissività, ormai ammetteva tranquillamente. Ma il metropolita Jean di Dubna – che, da Parigi, guida le comunità ortodosse russe in Europa occidentale – ha definito «mostruosa» la scelta di Putin, e criticato l’appoggio a lui del patriarca. Anche il metropolita Innokentij di Vilnius, capo della Chiesa ortodossa lituana legata al patriarcato di Mosca, ha contestato l’appoggio di Kirill all’«operazione militare speciale» contro l’Ucraina.
E Onufry, metropolita di Kiev, e primate della Chiesa ortodossa ucraina (COU) legata a Mosca, ha scritto: «Difendendo la sovranità e l’integrità dell’Ucraina, noi ci rivolgiamo al presidente della Russia e gli domandiamo di cessare immediatamente la guerra fratricida. I popoli ucraino e russo sono usciti dalle fonti battesimali del Dniepr (il principe Vladimir di Kiev nel 988 accettò la fede cristiana, che da là poi si diffuse in Russia), e la guerra tra questi popoli è la ripetizione del peccato di Caino che per gelosia uccise il fratello».
Conseguenza: da allora la maggior parte dei vescovi della COU – una novantina – e centinaia di parroci non ricordano più Kirill, come loro capo, nelle celebrazioni liturgiche, e dunque, secondo la teologia ortodossa, non riconoscono più la sua autorità. Ma se fosse abbandonato dalla COU, il patriarcato di Mosca perderebbe più di venti milioni di fedeli. La COU si trova però ad un bivio difficile: nel 2018, malgrado il ferreo «no» del patriarcato di Mosca, a Kiev, voluta dal patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, è nata la Chiesa autocefala (indipendente), nella quale sono entrate due Chiese ortodosse ucraine preesistenti, ma non la COU. Anzi, per protesta Kirill ha rotto la comunione eucaristica con lui, ritenendolo scismatico. Adesso la COU vuole unirsi a questa Chiesa autocefala, o rimanere da sola? Ma in rapporto con chi? Intanto, Cremlino e Kirill hanno perso l’appoggio di una parte decisiva dell’Ucraina.
«Kirill, chierichetto di Putin»
Proprio per il suo appoggio alla politica aggressiva del capo del Cremlino, Kirill è stato definito «persona non grata» in molti Paesi: recentemente in Canada, e proprio questa settimana anche in Lituania, dove il Ministero degli esteri lo ha «bandito dall’ingresso nel Paese per aver sostenuto l’operazione militare russa contro l’Ucraina».
Su questo sfondo globale si pone lo scontro tra la Terza Roma e la Prima. Papa Francesco ha condannato infinite volte la guerra della Russia contro l’Ucraina, difesa invece da Kirill. Il 16 marzo ha avuto con lui una lunga videochiamata: cordiale, secondo il comunicato ufficiale di quel giorno. Ma qualche settimana dopo, in un’ intervista il pontefice aveva precisato che, infastidito per le giustificazioni della guerra apportate dal patriarca, gli aveva detto: «Fratello, noi non siamo chierici di Stato, siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin». Parole sferzanti, accolte con molto fastidio a Mosca. E un incontro papa-patriarca, previsto a Gerusalemme per il 14 giugno, è stato annullato.
Intanto, a Nur-Sultan (Astana), a metà settembre vi sarà un vertice dedicato al dialogo inter-religioso; ad esso il presidente del Kazakhstan, Qasym-Jomart Toqaev, ha invitato il papa, che ha accettato. Sarà là che Francesco incontrerà di nuovo Kirill (la prima volta era stato a Cuba nel 2016)? Ma, per dire che, vista la loro distanza di vedute sulla guerra? Sempre in quella occasione, vi sarà un incontro del Papa anche con Putin? O sarà al Cremlino? E anche Kiev, in settembre, sarà meta di un viaggio papale?
Vi è poi – per Kirill – un aspetto «privato», potenzialmente esplosivo. Vi sarà una contestazione di vescovi russi, a proposito della guerra (come avevano fatto, a primavera, quattrocento «popi» e diaconi)? Inoltre, fonti occidentali e russe, hanno scritto che il patriarca – ma lui ha smentito - possiede beni per quattro miliardi di dollari. Se tale ingente somma fosse stata, in realtà, a lui affidata dallo Stato, in riparazione della persecuzione dell’URSS contro l’Ortodossia russa, e per sostenere le numerose attività di una Chiesa che conta centocinquanta milioni di fedeli, ove sarebbe lo scandalo? Ma se si trattasse, invece, di un «tesoretto» personale, sarebbe ingiustificabile, e Kirill dovrebbe dimettersi. E allora si aprirebbe per la Chiesa russa un periodo drammatico.