Votazioni del 15 maggio

Il potenziamento di Frontex, tra migranti e accordi Schengen

Entro il 2027 il contributo svizzero all'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera dovrebbe passare dagli attuali 24 a 61 milioni di franchi – A confronto i due consiglieri nazionali Marco Romano (favorevole) e Ada Marra (contraria)

Il 15 maggio gli svizzeri sono chiamati alle urne. Dovranno esprimersi, tra gli altri, in merito al recepimento del regolamento UE relativo alla guardia di frontiera e costiera europea. Entro il 2027 il contributo svizzero all'Agenzia europea dovrebbe passare dagli attuali 24 a 61 milioni di franchi. A confronto i due consiglieri nazionali Marco Romano (favorevole) e Ada Marra (contraria).

Perché sì

Marco Romano: «È nel nostro interesse essere parte attiva nel controllo dei confini»

Cosa cambierebbe a favore della Svizzera con un sì al potenziamento dell’agenzia?
«Un sì rappresenta la continuazione di una storia costruttiva, pragmatica e valida iniziata nel 2011. Un no getta tutto all’aria, senza soluzioni pratiche e pronte e senza influsso sul sistema criticato dai referendisti. Giudico pericoloso e irresponsabile fare battaglie di principio su questa tematica basilare per il nostro vivere quotidiano. È nell’interesse della Svizzera essere parte attiva nel controllo delle frontiere esterne dell’Europa e nella gestione dei movimenti migratori, garantendoci così anche la libertà di viaggiare nel continente. Grazie al potenziamento di Frontex aumenteranno in quantità e qualità i controlli. Vi saranno maggiori risorse a disposizione delle frontiere esterne, rafforzando la tutela dei diritti fondamentali e la lotta alla tratta di esseri umani (passatori)».

Frontex è comunque sospettata di violare i diritti umani. Secondo ricerche giornalistiche l’agenzia avrebbe coperto respingimenti illegali nel Mediterraneo. Il suo direttore, accusato di aver occultato prove, ha rassegnato le dimissioni. Va comunque sostenuta?
«Non è facendo saltare il sistema che si migliora la situazione delle persone in cerca di protezione e si combatte la criminalità internazionale. Taluni abusi sono stati confermati e perseguiti. Tutti casi singoli, mai di sistema. Questa riforma rafforza anche l’Ufficio indipendente per i diritti fondamentali. Frontex ha 40 osservatori (dal 2021 anche due esperte svizzere coadiuvano il responsabile dei diritti fondamentali) che monitorano il lavoro e verificano eventuali violazioni. La questione dei diritti fondamentali ha avuto un ruolo centrale nell’elaborazione del nuovo regolamento (siamo membri del CdA) e per questo serve un sì elvetico».

I referendisti sostengono che Frontex sta facendo una guerra alla migrazione e che molte persone continuano ad annegare nel Mediterraneo.
«Parole inopportune. La migrazione non è combattuta, ma gestita in maniera coordinata da specialisti (gli svizzeri sono apprezzati in primis per le competenze relative ai passaporti). È inimmaginabile che lo Stato non faccia nulla e si limiti a guardare. Proprio questo è il cuore di Frontex. Lasciando fare ognuno da sé, non si salverebbe nessuna vita. Abbiamo un interesse concreto a una protezione coordinata dei confini europei: guardate dove siamo geograficamente. Vogliamo rinunciare, fare finta di nulla e fare tutto soli?».

C’è anche chi, come i giovani UDC, obietta che il sistema Schengen/Dublino non funzioni (creerebbe immigrazione illegale e turismo criminale) e che i soldi per Frontex sarebbero spesi male. Come replica?
«Un mantra UDC predicato da anni, senza proporre reali alternative. Ogni giorno le Polizie e le Guardie di confine compiono oltre 300 mila ricerche nel Sistema d’informazione Schengen (SIS), con 20 mila riscontri positivi (55 al giorno!) relativi a situazioni di illegalità e persone pericolose. Schengen ha aumentato la sicurezza del nostro Paese. Lo confermano i dati: i crimini sventati grazie a informazioni ricevute dall’estero, criminali e terroristi intercettati grazie al SIS. Da sola la Svizzera sarebbe priva di informazioni e scollegata dalle dinamiche internazionali».

Perché sostenete che un no il 15 maggio non cambierà nulla a favore dei migranti?
«Un no porta all’uscita da Schengen. I flussi migratori non muteranno per questo. Saremmo isolati e irresponsabilmente staccati dallo sforzo comune in atto per rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, combattere la tratta di esseri umani e la criminalità transfrontaliera, sorvegliare efficacemente le frontiere esterne, migliorare la gestione delle sfide migratorie, rimpatriare i cittadini il cui soggiorno è illegale e aiutare i Paesi soggetti a un’elevata pressione migratoria».

I contrari contestano che un no popolare conduca alla fine della cooperazione elvetica con Schengen. Secondo lei invece l’uscita è certa?
 «Con un no, la cooperazione tra la Svizzera e gli Stati Schengen terminerebbe automaticamente, a meno che tutti gli Stati dell’UE e la Commissione non trovino entro 90 giorni una soluzione unanime per continuare la cooperazione. I referendisti hanno in chiaro le attuali relazioni tra Svizzera e UE? Ogni occasione è buona per tagliarci fuori, perché mai dovrebbero nuovamente cercare una “soluzione elvetica” di fronte ad un nostro voto popolare? Si gioca con il fuoco, con la protezione del nostro Paese. Con Schengen salterebbe in aggiunta automaticamente anche Dublino, imponendoci di eseguire una procedura d’asilo nazionale per tutte le persone che arrivano in Svizzera, anche quelle già registrate nei Paesi limitrofi. È evidente che un numero elevato di richiedenti l’asilo la cui domanda è stata respinta in un altro Stato europeo farebbe di nuovo domanda in Svizzera; i costi sarebbero ingenti, ingolfando il sistema.  

Perché no

Ada Marra: «Berna non è stata capace di influenzare il rispetto dei diritti fondamentali»

Perché vi opponete alla partecipazione della Svizzera al potenziamento di Frontex?
«Se il Partito socialista è a favore di Schengen, è anche a favore del diritto d’asilo. Vogliamo aggiungere misure di accompagnamento umanitario alla ripresa dell’estensione di Frontex. Abbiamo già tentato diverse volte in Parlamento di introdurre quote maggiori per i rifugiati già “selezionati” dall’UNHCR nel nostro Paese. In nove anni la Svizzera ha accolto solo 7.780 persone, compresi tutti i programmi speciali. Inoltre, ci sono ora prove che l’agenzia Frontex ha coperto gravi abusi dei diritti fondamentali dei migranti, come i respingimenti».

Pensate davvero che con un no si possa eliminare la criminalizzazione della migrazione e rendere quest’ultima più sicura?
«Quello che vogliamo fare è prima di tutto influenzare il rispetto del diritto d’asilo in Svizzera ed essere d’esempio rispetto ad altri Paesi. Nel 2016 i servizi di Frontex sono stati ampliati. L’agenzia deve garantire i diritti fondamentali dei migranti e far sì che questi non siano lasciati in pericolo a terra o in mare e possano presentare una domanda d’asilo in Europa. Tuttavia, rendendosi complice di respingimenti o permettendo di rimandare le persone nei campi libici, Frontex viene meno a tutti i suoi doveri. Non si può solo vedere il suo rendimento nella lotta contro i traffici di tutti i tipi e non quello dei diritti fondamentali e internazionali».

Con la sua riforma, Frontex deve prestare maggiore attenzione al rispetto dei diritti umani. Perché non darle fiducia?
 «Non siamo gli unici a non fidarci ciecamente di loro. Lo scorso ottobre il Parlamento europeo ha trattenuto i 90 milioni di euro stanziati per Frontex in attesa di un chiarimento sul malfunzionamento dell’agenzia. I deputati della commissione di controllo di bilancio dello stesso Parlamento avevano rifiutato di convalidare i conti dell’agenzia a causa di trasgressioni dei diritti fondamentali. Ed è incredibile quello che sta succedendo a livello del Consiglio federale e del Parlamento. Si tratta di un’agenzia sovvenzionata con gravi accuse sul modo in cui svolge i suoi servizi e con gravi carenze manageriali. Per qualsiasi altra azienda, qualsiasi sovvenzionatore, nel migliore dei casi, non darebbe più soldi o nel peggiore aspetterebbe spiegazioni e un miglioramento per aumentare la sua partecipazione. Ma dato che non stiamo parlando di economia ma di esseri umani, chi se ne frega, anche se c’è un abuso? Questa è una posizione insostenibile».

Respingendo lo sviluppo di Frontex, la Svizzera rischia l’esclusione dall’associazione Schengen/Dublino. Questo non implica gravi ripercussioni per la sicurezza, nel settore dell’asilo e nelle relazioni con Bruxelles?
«Un no non significherebbe assolutamente un’esclusione da Schengen. Questa è propaganda da parte degli avversari al referendum. Innanzi tutto perché non si vota sull’adesione a Schengen ma su un contributo finanziario ad una delle sue agenzie. In secondo luogo, terminare dei legami contrattuali con degli accordi europei non si fa in un giorno.Ci sono procedure da seguire che permettono di mettersi d’accordo. E infine il PS è pronto in Parlamento a riprendere la discussione con le nostre misure di accompagnamento umanitarie incluse nell’accordo. Ricordo che la Svizzera è già stata sette volte in ritardo nell’applicazione di estensioni di accordi europei. Una volta anche di tre anni e mezzo per una decisione del Consiglio degli Stati, del quale era allora membro Karin Keller-Sutter… Se il no passasse, non ci sarebbe neanche bisogno di notificare la decisione a Bruxelles, questa è la verità».

Dal PS è già giunta la proposta di un piano B per evitare l’abbandono di Schengen/Dublino. Il PS sta agendo per motivi ideologici e ha già presentato una soluzione «cerotto» in caso di un no alle urne?
«I diritti fondamentali non sono “cerotti”. Secondo me, un altro vero problema che si pone e che dovrebbe essere chiarito è questo: i nostri due rappresentanti svizzeri nel comitato di Frontex, da chi “prendono gli ordini”? Non lo sappiamo. E quando la signora Keller-Sutter dice nelle interviste “continuiamo a rappresentare la posizione svizzera”, di che posizione parla? Non è mai venuta davanti alle commissioni competenti per chiedere un parere. C’è mancanza di trasparenza e forse di democrazia nella rappresentanza svizzera in quella agenzia. Parlano i fatti: la Svizzera è stata incapace di influenzare in modo positivo il rispetto dei diritti fondamentali e, per quanto ne sappiamo, è stata incapace di influenzare il management negativo dell’agenzia; due temi che hanno portato negli scorsi giorni il direttore Fabrice Leggeri a dare le dimissioni. Con questo no all’estensione del contributo finanziario speriamo di fare emergere queste tematiche e di trovare delle soluzioni trasparenti e democratiche». 

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