Il potere di Kylian Mbappé (e dei suoi tweet)

Un primo tweet. Per certi versi incendiario, a margine dell’uccisione di Nahel, 17.enne di origine maghrebina. «J’ai mal à ma France. Une situation inacceptable». A pubblicarlo, mercoledì scorso, è Kylian Mbappé, capitano dei Bleus. Trascorrono 48 ore. Di rabbia, violenza e, sì, incendi. Per tentare di contenerli, l’Eliseo mobilita 45 mila uomini delle forze armate. Banlieue in rivolta, scontri, altro sangue. Poi il secondo tweet, molto più lungo e articolato, nonché condiviso da diversi compagni di nazionale. Le circostanze del decesso, avvenuto per mano di un poliziotto durante un controllo a Nanterre, rimangono «inaccettabili». In qualità di leader e simbolo della selezione più rappresentativa del Paese, Mbappé lancia però un appello. Anche un appello. «Alla riconciliazione, alla presa di coscienza e alla responsabilità, affinché la violenza lasci spazio ad altre modalità d’espressione pacifiche e costruttive». Un messaggio forte. Per alcuni, addirittura, senza precedenti.
Indignazione e riflessione
Eppure, le prese di posizione dell’attaccante del PSG non sono una novità. Dalla difesa dei personali diritti d’immagine al conseguente rifiuto di promuovere gli sponsor della Federcalcio francese. Passando - sempre grazie a un cinguettio - per l’allontanamento dell’ex presidente della FFF Noël Le Graët, che si era permesso di sminuire Zinedine Zidane in vista di un potenziale avvicendamento sulla panchina dei transalpini. Attraverso queste azioni, Mbappé ha deciso di ricoprire un ruolo che trascende il pallone. Quello di modello. Proprio lui, nato nel 1998 a Bondy, dipartimento della Senna-Saint-Denis. Periferia, appunto.
«Kylian ha a cuore le banlieue. Ne ha parlato spesso. E nel caso di Nahel probabilmente rivede uno dei tanti adolescenti incrociati in gioventù». La premessa è di Paul Dietschy, professore di storia contemporanea all’Université de Franche-Comté ed esperto di intrecci fra sport, politica, società e cultura. «Il primo tweet di Mbappé - osserva - risponde proprio alla volontà di rappresentare un ambiente, d’identificarlo in qualche modo, e di esserne una proiezione positiva. Ed è un messaggio d’indignazione». A plasmare la comunicazione successiva «è invece la riflessione. Figlia, tra l’altro, di interessi e contratti per i quali la ricerca del consenso appare come la soluzione più saggia».
I presidenti tifosi
D’accordo. Ciò non toglie l’enorme influenza - finanche il «potere» - del giocatore su una parte della popolazione francese. «Basti pensare alla relazione privilegiata che il presidente della Repubblica Emmanuel Macron punta a coltivare con Mbappé» sottolinea Dietschy. Già. Ed è così, spendendosi oltremodo per la causa del PSG e contro un trasferimento al Real Madrid, che un calciatore finisce per assomigliare a un capo di Stato. «L’atteggiamento di Macron, invero, segue un’evoluzione in atto da tempo» precisa lo storico: «Ricordo i Mondiali del ‘98, con il primo ministro Lionel Jospin e il presidente Jacques Chirac che facevano a gara per arrivare per primi negli spogliatoi. O ad Angela Merkel, che in occasione dell’edizione casalinga del 2006 ebbe in Bastian Schweinsteiger il suo protetto. Per tacere di Nicolas Sarkozy, che - alla luce dei suoi rapporti con il Qatar - ha incarnato una cultura e una comunicazione presidenziale nuove. Più vicina al pallone e, di riflesso, al popolo». Il tweet distensivo di Mbappé e compagni, in fondo, si spiega così. «Il calcio è uno dei pochi luoghi nei quali è possibile riunire la nazione. Con tutte le sue origini. Qui, a differenza di altri livelli della società, il melting pot francese ha avuto successo. L’interesse di Macron è logico. Ed è anche la ragione per la quale Kylian Mbappé ritiene di potersi esprimere su un caso delicato come quello di Nanterre». Dopo la Coppa del Mondo vinta nel 2018 in Russia, il Time gli dedicò non a caso la copertina, definendolo «il nuovo personaggio, senza restrizione etnica». Dietschy, al proposito, avanza un altro esempio. «Il giocatore non è nuovo a interventi su fattispecie spinose. Nel 2020 aveva reso omaggio a Samuel Paty, il professore assassinato da un 18.enne ceceno, radicalizzato islamico, per aver mostrato le caricature di Maometto ai suoi allievi».
«Non sopravvalutiamolo»
A fronte della sfera d’influenza di Mbappé, e dello stretto legame con la realtà delle banlieue, c’è ora chi reclama il passo successivo. Tradotto: al calciatore si chiede un coinvolgimento ancor maggiore ai fini della cessazione delle ostilità. «I margini di manovra di Mbappé, sul piano della diplomazia, non vanno in ogni sopravvalutati» avverte Paul Dietschy: «Associare i disordini agli abitanti delle banlieue, generalizzando, non sarebbe inoltre corretto. Parliamo di un disagio spesso legato al traffico di droga, a una minoranza che probabilmente nemmeno presta attenzione ai messaggi del giocatore sui social network». Per il nostro interlocutore il capitano della Francia «ha fatto abbastanza in questo senso. Semmai, l’esempio ai giovani dovrà continuare a darlo nella vita privata. Con le sue scelte. Dimostrando che educazione, sacrifici e lavoro, possono sfociare in una carriera lavorativa più che dignitosa. Non per forza quella dorata del calciatore».
Da Kopa a Zidane
Anche per questo motivo, forse, i piccoli scivoloni di Mbappé hanno fatto e fanno più rumore. In attesa di capire quanto resisterà l’attaccamento alla maglia del PSG - come visto, una sorta di progetto nazionale, tutelato ai vertici della politica -, val la pena ricordare le polemiche emerse in settembre, quando gli spostamenti in aereo del club parigino avevano fatto parecchio discutere. No, la risata alla quale aveva ceduto Mbappé dopo essere stato interpellato sul tema da un giornalista non era stata considerata all’altezza. Della sua «esemplarità» e, quindi, della potenziale influenza in ambito climatico. «Grazie allo strumento dei social media, comunque, Mbappé ha potuto e saputo spingersi laddove figure del passato non erano arrivate» evidenzia Dietschy, menzionando gli altri grandi simboli di un’integrazione riuscita. O riuscita almeno in parte. Una direttrice tutto fuorché lineare che secondo lo storico parte da Raymond Kopa (origini polacche), passa da Michel Platini (radici piemontesi) e sembra compiersi in Zinedine Zidane (sangue algerino). «Tra il trionfo ai Mondiali del 1998 e l’avvento di Kylian Mbappé, il modello multiculturale francese è però stato rimesso in discussione dal fiasco di Knysna, ai Mondiali sudafricani del 2010, con l’insubordinazione dello spogliatoio verso il ct Domenech. Karim Benzema ha contribuito ad alimentare dibattito e frizioni, mentre Mbappé si è imposto come suo contro modello positivo». E, citiamo Libération, per «mettere alla prova il sistema». Anche con soli due tweet.



