L'editoriale

Il Ticino e le illusioni un tanto al chilo

La storia dei conti del 2024 e quella del prossimo anno tra protesta di piazza e il coraggio di decidere per invertire la rotta
Gianni Righinetti
09.09.2024 06:00

In queste settimane nella sala del Governo sta prendendo forma l’atteso Preventivo 2025, con l’Esecutivo che ha reso visita alla Commissione della gestione per indicare la rotta, pur senza svelare le carte. I cinque hanno così dimostrato di aver modificato l’approccio con i parlamentari, quel metodo che solo dodici mesi fa era stato considerato verticistico e che aveva prodotto un documento contenente diverse misure di un certo rilievo ed impatto, figlie dell’immobilismo da campagna elettorale del precedente biennio. Erano stati mesi di tensione, di manifestazioni di piazza e con un Gran Consiglio non in grado di assumersi le proprie responsabilità, in grado unicamente di cavalcare la facile indignazione collettiva al grido di «vergogna», e incapace di esercitare realmente un ruolo politico per giungere a un compromesso, a una mediazione. Così, testa sotto la sabbia e spugna alla mano, sono stati tagliati i tagli e raccolti effimeri applausi e qualche pacca sulle spalle. Il disavanzo, stimato a -95,7 milioni di franchi, era sprofondato a quota -130,8 (+35,1 milioni) sfiorando di poco (alla soglia dei 132,7 milioni) il freno ai disavanzi che avrebbe portato all’automatismo dell’aumento delle imposte. Per dirlo fuori dai denti, un atteggiamento irresponsabile, miope e di chi non guarda (o non vede) oltre il confine dell’immediata convenienza. Oggi, per effetto di quella mossa, non solo ci troviamo ai piedi della scala, ma se possibile anche un gradino sotto. La politica del rinvio non ha mai portato a nulla di buono ed è ora di rendersi conto che c’era davvero poco da gioire allora, ben sapendo che domani (oggi) sarebbe stato peggio. Il «piove, Governo ladro» che andava tanto di moda un anno fa, non regge più alla prova dei fatti. Le finanze (senza offesa per i cultori del debito facile, secondo i quali, prima o poi, qualcuno porrà rimedio) necessitano di una rotta più sicura, più certa, più realistica e più dimensionata con la nostra realtà. Faticano i cittadini, le famiglie e le aziende. In questa situazione non può più esistere che lo Stato, già chioccia, già sovradimensionato, già foraggiato a dovere, si permetta di spingere ogni anno verso l’alto la spesa con leggerezza. A chi, con euforia in queste settimane fa notare che il dato provvisorio del preconsuntivo 2024 è migliore delle previsioni, va contrapposta la realtà che vede la spesa crescere di una sessantina di milioni e il foraggiamento fiscale (che giunge dalle tasche di cittadini e dall’economia) migliorare di 10 milioni. Insomma, ma di cosa stiamo parlando in questo Ticino? Sempre della stessa cosa, della necessità di diminuire le uscite, per evitare di strangolare chi qui vive, produce e consuma per tenere in moto il «sistema Paese». Tanto più in questo periodo storico nel quale pure a Berna spira il vento dell’austerità, con la Confederazione che si è trovata sul tavolo un rapporto di esperti incaricati dal Consiglio federale con proposte per risparmi fino a 5 miliardi di franchi entro il 2030. Meno soldi che, giocoforza, si ripercuoteranno anche sui Cantoni. La prima campanella scolastica è suonata da poco, mentre l’ultima sveglia alla politica sembra averla suonata Berna. Convocare preventivamente manifestazioni di piazza per metà ottobre come hanno fatto le principali sigle sindacali per, tra l’altro, «la difesa della qualità del servizio pubblico» è in linea con il gioco delle parti, ma non si capisce bene cosa possa produrre per l’interesse collettivo che va oltre alle già esistenti garanzie di cui gode chi lavora per lo Stato. Le condizioni salariali e le condizioni quadro forse erano migliori in passato, ma la «certezza del posto di lavoro» (giusto o sbagliato che sia) lì non conosce eguali. Va serenamente ammesso, anche da parte di chi suona la gran cassa del sindacalismo cantonticinese. E ora sotto a chi tocca, nella speranza che non si continuino a vendere illusioni un tanto al chilo ai ticinesi. Ma per invertire la rotta ci vorrà tanto (troppo?) coraggio.