Il vero «volto» del Fentanyl
Il Fentanyl, un potente oppioide sintetico usato in medicina per alleviare il dolore, è divenuto in pochi anni una droga capace di causare, ogni anno, migliaia di vittime negli Stati Uniti. Ne avevamo parlato in un approfondimento di Martina Salvini. Ne parliamo, ancora, con il fotografo ticinese Federico Hurth, che nel 2022 a Los Angeles aveva immortalato in netto anticipo quella che sarebbe poi divenuta la droga degli zombie. «I HATE LA», il lavoro statunitense di cui l’artista luganese ci ha dato un'anteprima, è la sintesi di un primordiale avvento del Fentanyl sulle strade californiane. Visti due anni dopo, gli scatti appaiono come una limpida e preoccupante visione di quello che sarebbe stato.
Il progetto «I HATE LA» ha i presupposti della visione di un ragazzo
europeo che vive e viaggia a Los Angeles come nel più classico sogno americano:
sbocchi professionali, bella vita, soldi, musica, feste. E invece…
«E invece niente di tutto
questo, è stata la figura del tossicodipendente, meglio conosciuta come «crackheads», del senzatetto o veterano di
guerra ad avere la meglio. L’attrattività estetica che la strada ha da proporre
mi ha da sempre incuriosito. Per questo, ho deciso di imbattermi nella zona più
pericolosa e trasandata di Los Angeles: Skid Row. ''I HATE LA'' è una raccolta di
foto veramente crude e toccanti raffiguranti la dipendenza e la distruzione
fisica che abitano nei corpi di quelle persone. Molti di loro mi hanno
detto che abusano di Fentanyl, tagliato con l’eroina, per chiari motivi economici:
costo irrisorio e aumento netto della percezione di straniamento».
Eri a conoscenza dell’esistenza della sostanza?
«Prima della partenza per gli
Stati Uniti avevo sentito parlare del Fentanyl, eppure non vi avevo prestato particolare
attenzione. Ho capito la potenza di tale sostanza dopo una
settimana di perlustrazione e scatti a Skid Row. Oltre alle foto e alle parole
scambiate con i protagonisti, un fatto raccontatomi da un amico di Los Angeles mi
aveva davvero aperto gli occhi: il tuttofare del palazzo dove risiede il mio
amico viene chiamato a riparare un lavandino nell’appartamento di una coppia, rivelatasi
in seguito tossicodipendente, poiché scomponeva pastiglie di Fentanyl in
cucina. Proprio per questo motivo, quando il ragazzo della manutenzione ha
aperto la porta della stanza, è stato invaso dal Fentanyl puro che lo ha
intossicato fino a portarlo alla morte. Solo allora ho capito la portata e la
pericolosità di quanto visto nelle giornate precedenti. Mi sono incuriosito e
documentato e da quel momento ho iniziato a concepire l’idea di ''I HATE LA'', il
primo progetto internazionale che sin dal titolo vuole concentrarsi sulla
dicotomia presente in California: ci si aspetta sfarzo e lusso eppure la
situazione è davvero allo sbaraglio, soprattutto dopo il Covid».
Gli esperti cantonali in merito alla piaga Fentanyl si sono detti vigili
ma non credono alle nostre latitudini vi possa essere un abuso così massiccio
come negli Stati Uniti, sei d’accordo?
«Probabilmente in Ticino e
nelle altre zone ''tranquille'' svizzere non assisteremo a un'ondata a macchia
d’olio come a Los Angeles o San Francisco, altra città estremamente toccata
dalla sostanza. Tuttavia, sono convinto che in zone come Torino, specialmente nel triangolo del crack noto come ''Barriera di Milano'' o più in generale il nord
Italia, piuttosto che Francoforte ma anche Basilea o Zurigo, il Fentanyl
troverà presto casa. Questo perché un venditore senza scrupoli non si fa molte
domande in merito alla condizione dei suoi clienti. Il Fentanyl costa poco e
tagliarlo con le droghe classiche, per così dire, porta un forte incremento
alle entrate. Francoforte è una città disastrata dalla droga, di giorno e di
notte. I crackheads hanno poco da
dire e poco da dare. Di conseguenza una dose tagliata male o tagliata bene non
è nelle loro preoccupazioni».
Come detto «I HATE LA» è stato il tuo primo lavoro su scala mondiale: è stato d’ispirazione per i lavori successivi in
Brasile, nelle banlieue di Parigi e in Corea del sud?
«Esattamente, il viaggio in California
è servito per sbloccarmi: sono andato oltre l'estetica di queste persone, ho
visto la loro vita, mi hanno raccontato la loro storia. E per questo si viene
inevitabilmente toccati. Le forti emozioni provate fanno sì che ancora oggi mi
senta molto legato a quegli scatti e alle persone con cui mi sono
interfacciato. Per questo motivo sto aspettando l’occasione giusta per
pubblicare gli scatti. Aver custodito con cura questo ''bimbo'' di Los Angeles mi
ha spronato maggiormente, ha incrementato la mia dose di adrenalina e pazzia. È
stato un viaggio denso di significato che mi ha spronato a perseverare su
quella onda: raffigurare la strada, in modo oggettivo, senza giudicare i
tossicodipendenti o i gangster che decidono le sorti di quelle vie. Dopo gli USA mi sono recato a
Scampia, Napoli. Ne è nato ''Wounds and Scars'', il mio primo lavoro interamente
autoprodotto e già pubblicato: una serie di fotografie che meglio inquadrano le
Baby Gang campane. In seguito ho approfondito in maniera più artistica e meno
cruda, rispetto a ''I HATE LA'', le strade di Seul: un progetto sugli homeless
coreani che lavorano e vivono nella periferia. Uno scorcio di Moonvillage, un
quartiere paradossale che si mescola nella ricca e moderna città coreana. Proprio
questa raccolta fotografica, intitolata ''Untitled Seul'', sarà esposta dal 17
giugno al 31 luglio alla Serene Gallery di Lugano».
Da poco uscito troviamo anche «On parle pas», una raffigurazione delle
banlieue parigine, un racconto estremamente dettagliato della vita di strada,
dal punto di vista delle gang. L’estetica, i luoghi e l’atmosfera: è un rimando
al film «L’odio»?
«Assolutamente, in chiave
moderna. Parigi ha sempre il fascino, la nomea della città iconica, più di
Londra, Milano o Berlino. Per questo motivo le banlieue, ben distanti da
quell’immaginario, mi hanno sempre affascinato. Anche se a dirla tutta oggi il
termine banlieue e quel tipo di vita è diventato parecchio chic... Nelle periferie francesi
l'estetica è simile alla nostra, al nord Italia, ma la cosiddetta street criminality è più massiccia, più
tangibile. In un certo senso è il Sudamerica in Europa: c'è ancora il
kalashnikov, sono ancora come negli anni 90, proprio come nel celebre film con
Vincent Cassel. Ho vissuto l’esperienza parigina come una naturale conseguenza
di Scampia e inoltre volevo dare un anticipazione al viaggio in Brasile, a Rio,
che uscirà a breve. Esagerato per situazioni vissute, personalità incontrate e
fotografate».