Il personaggio

In viaggio nel «lato oscuro» da Lugano a Seul

Federico Hurth non teme il degrado e lo racconta con le sue foto, scattate nei bassifondi del mondo
Federico Hurth a Lugano © CdT/Gabriele Putzu
Davide Illarietti
09.06.2024 11:59

Denti d’oro, tatuaggi in inglese, capelli a cresta. A incontrarlo, a Lugano soprattutto, l’estetica «estrema» di Federico Hurth può trarre in inganno. Ma non è un cattivo ragazzo: lo si capisce dopo due minuti.

Chi è allora? Probabilmente, non c’è soggetto migliore per ritrarre la gioventù (anche) ticinese che da qualche tempo spiazza - giustamente - le altre generazioni, dai nonni in giù, a maggior ragione d’estate con i tatuaggi alla luce del sole. Non è una gioventù «bruciata» in senso stretto, come nel film di James Dean del 1955 - semmai attratta spettratrice delle bruciature altrui. Non a caso, il 25.enne luganese è diventato un fotografo abbastanza conosciuto nella scena musicale e della moda a cavallo del confine italo-svizzero (più a Milano che a Lugano, dove comunque il 17 giugno inaugura una mostra personale alla Galleria Serene, viale Cattaneo 17) ma la verità è che Hurth è molto di più. Astraendo un po’, è l’incubo dei baby-boomers che - nati negli anni ‘50-’60- spesso hanno figli e nipoti simili o temono di averli. Di questi ultimi incarna invece il sogno, o ci si avvicina molto. Per questo vale la pena di osservarlo più da vicino.

Wasted Youth

Hurth vive tra Lugano e Milano, e si è guadagnato un seguito sui social pubblicando fotografie di pistole e addirittura di kalashnikov scattate nelle banlieue di Parigi, le favelas di Rio o le famigerate «Vele» di Scampia. È un viaggiatore dei bassifondi, che usa il suo aspetto in modo consapevole, per entrare in contatto con il disagio altrui. «Sembro un tossicodipendente» scherza «questo mi permette di entrare in contatto con certe situazioni». L’abito non fa il monaco ma facilita l’operazione di mimesi: toccare con mano il lato oscuro, fotografarlo, in tutta la sua durezza. Che sia a Los Angeles, Francoforte, Napoli o persino in Ticino.

Uno scatto dal libro "I Hate L.A."
Uno scatto dal libro "I Hate L.A."

Il turismo dei bassifondi non è un fenomeno estivo di massa, ma ha i suoi follower - e i suoi influencer. «Non so se mi definirei un fotografo, piuttosto un artista di strada che racconta la realtà attraverso la sua lente» riflette prendendo un caffè ai piedi dell’Autosilo Balestra, il luogo più simile a una realtà urbana-underground che si trovi a Lugano. «Sicuramente sono sempre stato una testa calda». La cattiva condotta, al di là delle pagelle scolastiche, è stata la chiave per accedere a un «certo mondo» lontano da casa: a margine degli studi universitari nel capoluogo lombardo, Hurth entra nel giro della fotografia di moda e musicale, «rap» e hip-hop, conosce «gente» che immortala nel suo primo lavoro, «Wasted Youth» (2023), ritratto di una gioventù «sprecata» tra Lugano e Milano. «Alcuni sono bruciati per davvero, altri più per finta o per posa, pur vivendo un disagio reale» racconta. Tra le due categorie lui si colloca nel mezzo: «Non ho mai superato certi limiti, e non li supererò» assicura. «I miei progetti successivi, più spinti, sono stati in un certo senso meno autobiografici del primo».

Nello Skid Row di Los Angeles
Nello Skid Row di Los Angeles

Los Angeles e Seul

Mentre sale in ascensore gli otto piani dell’autosilo Balestra - luogo non brutale ma «brutalista», che «rappresenta un’estetica» ma non un pericolo, se non quello di pagare un occhio per il posteggio - Hurth ricorda Scampia e Skid Row, la piazza di spaccio di Los Angeles, i quartieri malfamati di cui ha fatto esperienza umana e artistica. «I luoghi del disagio e le persone che lo vivono hanno un fascino, e raccontarlo richiede rispetto e sensibilità» dice. A Los Angeles Hurth ha passato un mese tra i «crack-heads» di fentanyl, la «droga degli zombie» dilagante che è già sbaracata in Europa e si teme possa diffondersi anche in Ticino. La crudezza degli scatti raccolti in un libro inedito, intitolato «I Hate L.A.» («Io odio Los Angeles»), restituisce l’atteggiamento di odio e amore, attrazione - «volevo sempre andare lì, non mi interessava altro della città» - e distanza: la «scena aperta» californiana, dice senza mezzi termini, «è la dimostrazione del fallimento di politiche troppo liberali nei confronti delle droghe».

Uno scatto da "Untitled.Seul"
Uno scatto da "Untitled.Seul"

Dal viaggio a Skid Row, il fotografo ha ricavato una coltellata nella schiena da un tossicodipendente (« voleva rubarmi la macchina analogica») e la voglia di esplorare ancora. In un recente viaggio a Seul ha testimoniato la vita degli emarginati in un altro bassifondo, il quartiere «Moon-village», ed è rimasto «senza parole» di fronte al degrado (la mostra alla galleria Serene si chiama «Untitled. Seul») in una città che come Lugano è solo apparentemente perfetta.

L’ottavo piano del Balestra è circondato di reti metalliche per impedire i suicidi e i lanci di oggetti. Il Parco Ciani, con lo spaccio di crack alla luce del sole, è laggiù da qualche parte. «Il Ticino per fortuna è una realtà piccola, ma ci sono già dei segnali preoccupanti» dice Hurth ammirando la città dall’alto. «Io come fotografo non condanno e non ho ricette, mi limito a documentare il disagio». In futuro continuerà a documentarlo, spera, il più lontano possibile da casa.

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