Sicurezza

Improvvisamente un po’ tutti torniamo a parlare dei bunker

Con la fine della Guerra fredda questa particolarità elvetica, che prevedeva perfino l’obbligo di costruire rifugi nelle abitazioni private, sembrava destinata a sparire - L’invasione dell’Ucraina l’ha fatta tornare d’attualità
John Robbiani
11.03.2022 06:00

È un tema delicato da affrontare in questo momento, anche perché c’è il rischio di creare allarmismo. Del resto l’Ufficio federale della protezione della popolazione è stato chiaro: «Attualmente la popolazione non deve adottare particolari misure di protezione». Ma è anche difficile non parlarne sapendo che, in base al sano principio «sperare in meglio, prepararsi al peggio», Confederazione, Cantoni e Comuni, chiaramente in collaborazione con la Protezione civile, si stanno muovendo dietro le quinte, e che sul tema sono stati presentati atti parlamentari, ad esempio quello del granconsigliere del PPD Giovanni Berardi. E che sui siti di alcune sezioni della Protezione civile sono perfino comparse istruzioni su come comportarsi in caso di allarme atomico.

Ci starebbero tutti (e di più)

Inutile fare allarmismi, dicevamo, ma è probabilmente anche inutile girarci attorno, visto che un po’ a tutti in questi giorni è passata per la testa almeno una volta questa domanda: in caso di necessità che rifugio dovrei usare? Ci sarà posto per tutti? E in che stato di conservazione si trovano le strutture? Utile, per rispondere, è il materiale informativo che il Cantone ha inviato a inizio settimana a tutti i Comuni ticinesi. Tra i documenti ci sono  le «Linee guida per la pianificazione di evacuazioni su vasta scala nei cantoni» stilate dalla Confederazione nel 2017. Attenzione però, si tratta di documenti – e lo diciamo sempre per evitare allarmismi – girati ai Comuni in quanto contengono informazioni utili in vista dell’arrivo dei migranti – sono attesi 2.400 profughi nelle prossime settimane – e non per prepararsi a un’evacuazione su vasta scala. Dalla documentazione si deduce che in Svizzera, tra rifugi privati e pubblici, ci sono 365.000 strutture in grado di ospitare circa 9 milioni di persone.

Avvisati a tempo debito

Nove milioni di posti sicuri. Più dell’intera popolazione. Ma – ci spiega un esperto – la distribuzione non è uniforme. Ci sono comuni o zone sottodotate e altre che ne hanno più del necessario. Per questo, nel momento del bisogno, speriamo mai, saranno semmai le autorità e le protezioni civili – che dispongono di una mappatura del territorio – ad indirizzare la popolazione tramite radio, l’app Alertswiss e grazie ai militi sul territorio. A titolo di esempio si può dire che nell’immediata cintura urbana di Lugano si stimano 7.000 posti letto in rifugi pubblici, a cui chiaramente vanno sommati quelli privati.

La manutenzione

In che stato si trovano i bunker? È vero che molti sono usati, anche dai Comuni o dalle associazioni, come magazzini e depositi? «Sì, è vero» ci spiega l’esperto. «Ma avevano il diritto di farlo, a patto di riuscire a garantire il ripristino dei locali entro cinque giorni».

Collaudati e controllati

Fondamentalmente in Svizzera ci sono tre tipologie di rifugi. Quelli privati (la cui costruzione era obbligatoria fino a non molti anni fa), quelli pubblici e obbligatori (che appunto i Comuni potevano utilizzare anche per altri scopi) e poi quelli che si potrebbero definire «permanenti», pronti a essere usati sempre in caso di calamità naturali o altre esigenze. «Tutti – sottolinea l’esperto – vengono comunque controllati dalla Protezione civile». C’è infatti un collaudo iniziale e poi esistono controlli regolari. Anche quelli privati vengono sottoposti almeno ogni dieci anni (in Ticino anche meno) a un’ispezione, e la Protezione civile può intervenire in caso di abusi (qualora per esempio il rifugio sia stato modificato o reso meno sicuro). Per quelli permanenti i controlli sono più frequenti. La Protezione civile ha tra l’altro pronto un «piano di arredo» dei rifugi e, in cinque giorni, è in grado di sistemare al meglio i bunker.

Scorte e riserve

Un tempo nei rifugi erano presenti anche le «scorte alimentari di guerra». È ancora così? «All’inizio degli anni Duemila – spiega l’esperto – la Confederazione ha deciso di rinunciare a questo sistema. Venivano conservati prodotti liofilizzati, granulati e anche del cacao. Prodotti in buona parte inviati a Paesi che ne avevano più bisogno». Questo non significa però che la Confederazione non abbia scorte alimentari. «Anzi. Per legge è necessario mantenere, anche attraverso la grande distribuzione e come accade per esempio con il petrolio, delle scorte». Scorte regolate dall’Ufficio federale per l’approvvigionamento e che riguardano oltre ai generi alimentari – per cui sono previsti stock in grado di soddisfare la richiesta per due o addirittura quattro mesi – anche medicine,  sementi, gas naturale, alimenti per gli animali e scorte industriali. Da notare comunque che, come ricordato dal capo dell’esercito Thomas Süssli, avere scorte in casa non è mai una cattiva idea. Anche perché in caso di emergenza la popolazione deve poter provvedere al proprio sostentamento per  giorni e senza aiuti esterni.

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