In trappola nella stiva della morte centinaia di donne e di bambini

Il naufragio del peschereccio che trasportava centinaia di profughi imbarcati in Libia e diretti verso l’Europa, assume di ora in ora proporzioni tragiche inimmaginabili. Se fosse vero, come molti testimoni affermano, che nelle stive della nave colata a picco nelle acque al largo di Pylos, in Grecia, erano accalcate centinaia di donne e bambini, allora non ci sarebbero parole per descrivere l’orrore in cui è affogato l’ennesimo viaggio della disperazione nel Mediterraneo.
Avvistati, non fermati
Il peschereccio era salpato venerdì 10 giugno dal porto di Tobruk. Ciascuno dei profughi, principalmente cittadini siriani, egiziani e pakistani, aveva pagato tra 6.000 e 6.500 dollari per il viaggio dalla costa libica all’Italia. A bordo erano salite centinaia di persone. Nessuno sa dire esattamente quante: 600, forse 700. Di certo c’è che donne e bambini erano stati stipati sottocoperta, probabilmente per proteggerli dal sole. Una scelta che ha segnato, per loro, una crudele condanna a morte.
Agli uomini delle forze di sicurezza che li hanno interrogati, i naufraghi hanno raccontato che poco dopo essere salpati, e a causa del sovrappeso, il motore dell’imbarcazione ha iniziato ad avere problemi. Molti, preoccupati per l’esito incerto del viaggio, hanno chiesto di invertire la rotta e di tornare in Libia. Ma sono rimasti inascoltati. I trafficanti hanno infatti deciso di continuare la navigazione verso l’Italia. E hanno brutalmente represso ogni minimo tentativo di ribellione, colpendo con le corde chi protestava.
Al quarto giorno in mare, martedì, attorno alle 11, la sala operativa della Guardia costiera italiana è stata informata via radio da una donna, pare un’attivista di una ONG, di manovre anomale del peschereccio, forse causate dall’avaria ai motori. Le autorità italiane hanno subito trasmesso l’informazione ai colleghi greci in quanto la nave si stava muovendo all’interno di un’area di competenza, ricerca e soccorso di Atene.
Un aereo di Frontex e un elicottero della Guardia costiera ellenica hanno localizzato quasi subito il peschereccio con le centinaia di persone a bordo e girato la posizione alle motovedette. Nelle ore successive, secondo fonti ufficiali, a più riprese le navi della Guardia costiera greca hanno offerto il proprio aiuto al presunto comandante del peschereccio. Ma quest’ultimo avrebbe rifiutato l’assistenza, chiedendo soltanto acqua e cibo, poi effettivamente ricevuti da un cargo battente bandiera maltese.
Nelle prime ore di mercoledì, il motore del peschereccio ha smesso di funzionare. Improvvisamente, e ancora non è chiaro quale sia stato il motivo scatenante, tra i naufraghi è esploso il panico. Lo spostamento di peso ha fatto ribaltare l’imbarcazione. I migranti fino a quel momento sul ponte si sono ritrovati in acqua. In 104, tutti uomini, sono riusciti a salvarsi. Altri 79 sono sicuramente morti, perché i loro corpi sono stati recuperati nelle ore successive. Nulla, invece, si sa di coloro i quali erano sottocoperta, trascinati in pochi istanti in fondo all’abisso del Mediterraneo, nella più orribile delle morti.
Le testimonianze
Il quotidiano di Atene I Kathimeriní ha ricostruito ora per ora quanto accaduto tra le 14 di martedì pomeriggio e le 2 di mercoledì notte a Sud-Ovest di Pylos, meno di 50 miglia marine dalle coste del Peloponneso. Il peschereccio, scrivono i cronisti ellenici, individuato intorno alle 14, ha effettivamente rifiutato l’assistenza della Guardia costiera greca, che pure non ha mai smesso di osservarne, sebbene a distanza, le manovre.
Quattro ore dopo, alle 18, un elicottero della Marina di Atene ha constatato come la nave stesse navigando con rotta e velocità costanti. E mezz’ora dopo, alle 18.30, contattato con un telefono satellitare, il presunto comandante dell’imbarcazione, il quale parlava inglese, ha risposto ancora una volta di non volere altro aiuto se non acqua e cibo e di voler proseguire per l’Italia. Ciononostante, alle 22.40, una motovedetta della Guardia costiera di Creta si è comunque avvicinata al peschereccio, senza tuttavia riscontrare alcun problema nella navigazione: ancora una volta rotta e velocità sembravano costanti.
Fino all’1.40 di mercoledì, quando una persona a bordo del peschereccio ha contattato la sala operativa ellenica e ha lanciato l’allarme: il motore era fermo. Pochi minuti dopo la tragedia. Alle 2.04 il comandante della motovedetta della Guardia costiera informa la centrale operativa che il peschereccio aveva preso a muoversi bruscamente, prima a dritta, poi a sinistra, fino a capovolgersi a ad affondare in meno di dieci minuti.
Pylos come Cutro
Intervistato dalla Tv pubblica ERT, l’ammiraglio in congedo ed esperto internazionale di salvataggi in mare, Nikos Spanos, ha rivolto accuse pesanti contro i comandi portuali del suo Paese. Spanos ha infatti sottolineato che le autorità militari navali sarebbero comunque dovute immediatamente intervenire, ignorando il rifiuto di assistenza del peschereccio. «Quella nave era un cimitero galleggiante, vecchia e ormai dismessa. E nulla conta il fatto che a bordo non volessero soccorso. Non si chiede al personale di una nave in pericolo se ha bisogno di aiuto». Una dinamica del tutto identica a quella già vista, purtroppo, pochi mesi fa nel naufragio davanti alle coste di Cutro, in Calabria.
Domande senza risposta
Tutti i 104 sopravvissuti sono uomini, di età compresa tra i 16 e i 40 anni. La maggior parte di loro ha trascorso la notte di mercoledì in un magazzino del porto di Kalamata. «Provengono dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Siria e dall’Egitto - ha detto al Guardian Ghiorgos Farvas, vicesindaco di Kalamata - sono giovani, per lo più, in uno stato di enorme shock psicologico e spossatezza. Alcuni sono svenuti mentre scendevano dalle passerelle delle navi che li hanno portati fin qui».
Thanasis Thomopoulos, volontario dell’Hellenic Rescue Team, racconta ai cronisti di I Kathimeriní: «Molte delle persone soccorse erano disidratate e avevano ustioni su tutto il corpo a causa della prolungata esposizione al sole. Erano rimasti sulla barca per 5, 6 giorni senza cibo. E per evitare la sete, ci hanno raccontato, lasciavano cadere un frutto secco nell’acqua di mare per cambiarne un po’ il sapore e berne qualche sorso».
Il ministro ad interim della Migrazione e dell’Asilo, Daniel Esdras, ha confermato a ERT che i sopravvissuti saranno portati in un campo per migranti vicino ad Atene, aggiungendo che la Grecia esaminerà le loro richieste di asilo: coloro che non avranno diritto alla protezione saranno in ogni caso rimandati a casa.
I corpi dei migranti morti sono invece stati trasferiti in un obitorio fuori dalla capitale. Di tutte le vittime saranno fatte le fotografie dei volti e a tutte saranno prelevati campioni fisiologici da cui ricavare il DNA: in questo modo sarà avviato il processo di identificazione. Le ambasciate dei Paesi d’origine forniranno la necessaria assistenza.
Intanto, le operazioni di ricerca proseguono anche oggi. Le possibilità di recuperare la nave affondata sono tuttavia remote, perché lo specchio d’acqua in cui il peschereccio è affondato è uno dei più profondi del Mediterraneo. «Stiamo sentendo i sopravvissuti - ha detto al quotidiano ateniese Ta Nea un portavoce della polizia, Nicolaos Spanoudakis - Seguiamo le procedure in vigore nell’UE per casi simili. In questo momento tutto è incerto, purtroppo ipotizziamo che all’appello possano mancare centinaia di persone, forse 500. Donne e bambini, a quanto pare, erano nella stiva».
Le domande senza risposta, le domande di sempre, rimangono: si poteva evitare, tutto ciò? Le centinaia di persone intrappolate nella stiva potevano essere salvate? E perché l’Europa continua ad assistere inerme alla trasformazione del suo mare in una lugubre e cupa camera della morte?