L'editoriale

Investire nelle valli è credere nel futuro

Ciò che occorre considerare è che la regione montana non è un'area statica, bensì (per dirla con Vitta) un territorio vivo che crede nel suo stesso futuro
Paolo Galli
08.08.2024 06:00

Dal disastro della Vallemaggia è passato più di un mese. Se n’è andata quella pioggia devastante. Ma non il ricordo di ciò che è stato. I segni rimarranno a lungo, alcuni per sempre, come una grossa cicatrice nella natura, nell’animo della gente della valle. Non è stata la prima alluvione che ha colpito la Vallemaggia. Non sarà l’ultima. Anzi, sappiamo che con il cambiamento climatico saranno più frequenti. Ed è anche per questo che non possiamo rimanere concentrati sul passato, sul singolo evento. C’è un quadro ben più ampio, da considerare. E che la stessa gente della valle ci impone quale priorità, subito dopo la ricostruzione. Ciò che occorre considerare, come ci ha d’altronde suggerito anche Carmelia Maissen, presidente dei governi dei Cantoni alpini, è che «la regione montana non è un’area statica e arretrata, né unicamente superficie di proiezione del mito della Svizzera quale Paese alpino». È questo l’aspetto da evidenziare, oggi. La regione montana è molto più di questo, è vita quotidiana, è economia, è una parte concreta e viva della Svizzera moderna. Riconoscerlo è fondamentale, perché ci porterà a ragionare sulle valli non come territorio debole, fragile, oltre che franabile, bensì come luogo di vita vera, di forza, di energia, dove ancora è possibile fare e investire. A proposito di energia, sono le nostre regioni montane a fornirci garanzie di approvvigionamento a lungo termine. Oltre a rappresentare aree di benessere, di fuga dalla realtà cittadina, di energia nel senso più vitale del termine. Investire nelle valli non significa quindi - come suggerito da qualcuno - stanziare finanziamenti a fondo perso, magari in protezioni che non proteggono. Sono argomenti fuorvianti, miopi per dirla con Maissen. In primo luogo perché le protezioni - ciò che già è stato fatto - in realtà proteggono. E poi perché investire nelle valli è molto più di questo, non significa soltanto giocare in difesa, bensì guardare lontano. Lo ha sottolineato, lo scorso Primo Agosto, proprio dalla Vallemaggia, Christian Vitta. Il presidente del Consiglio di Stato ha ricordato che «la valle è viva e crede nel suo futuro». E ha aggiunto: «È questo il messaggio che deve passare». Vitta ha criticato a sua volta, proprio come fatto poi da Maissen nell’intervista pubblicata sabato dal Corriere del Ticino, «ciò che è stato ventilato da certi ambienti nei giorni seguenti il disastro in Vallemaggia», ossia che occorra rassegnarsi all’idea di abbandonare le valli. Può essere così per alcune singole valli, per alcune aree. Adattarsi, in questo senso, è necessario, può esserlo qua e là, ma saranno gli studi del territorio a determinare che cosa e dove. Sierre, per esempio, è l’ultimo paese ad aver pagato un conto di questo tipo, con 141 persone costrette a cercarsi una nuova casa, in una zona diversa da quella nella quale abitavano. Ma parliamo - lo ribadiamo - di singoli episodi. Non esiste una politica di reinsediamento. E non esiste anche perché la nostra società nemmeno potrebbe permettersela. Vivere le valli significa anche occuparsi della natura, delle fonti di energia, di tenere viva quella rete di cui tutti noi facciamo parte, significa banalmente esserci, essere lì, per scelta. Poi gli esperti lo dicono senza giri di parole: il rischio zero non esiste. Ridurre i rischi - come d’altronde già si è fatto - è però possibile. Anzi, è un dovere. E allora, pensando alla Vallemaggia, occorrerà una revisione delle mappe di pericolosità che tenga conto del nuovo territorio, ma anche un continuo aggiornamento delle stesse sulla base delle conoscenze legate al cambiamento climatico. E poi molto si può fare sui sistemi di allerta. Insomma, adattarsi ai rischi significa fare in modo di ridurli. E ciò vale anche in termini di protezione del clima.

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