La curiosità

«Io, uomo cinepresa, che carico tutta la mia vita su YouTube»

L'impresa di un 48.enne che filma la sua quotidianità senza interruzioni dal 1989: «Da un'adolescenza caotica alla serenità di oggi. E di Locarno vi dico che...»
Beat Hess, tecnico radiotv di 48 anni, vive nella campagna del canton Berna; sulla sinistra, alcuni fotogrammi tratti dai suoi video caricati su YouTube
Jona Mantovan
07.11.2023 11:00

Beat Hess, in arte Bidus (pronunciato ‘Bidù’), è un tecnico radiotv di 48 anni che vive nella campagna del canton Berna. È una persona pacata e molto positiva, ma non è sempre stato così. La sua adolescenza, infatti, la definisce «ribelle e caotica», come quella di molte persone, dopotutto. «Sono cresciuto negli anni Novanta», esordisce nella presentazione del suo canale YouTube, Bidus Leben. «Oggi abbiamo tutti un telefono cellulare e i media sociali, ma all'epoca non c'era nulla di tutto questo. Con me, tuttavia, ho sempre avuto una videocamera». Ed ecco perché molti suoi amici lo chiamano 'regista': perché lui doveva filmare. Sempre. Tutto. Ancora oggi. «È dal 1989 che lo faccio, praticamente senza interruzioni». E ancora oggi continua, usando una GoPro, un apparecchio più adatto ai tempi di oggi. Da qualche anno carica, ogni giorno, un filmato selezionato dal suo sconfinato archivio. Dalla prima registrazione di quando aveva 14 anni alla sua prima 'scenetta' del 1990. Dalla sua prima Streetparade (1993 «peraltro le ho frequentate tutte, senza eccezioni») alla prima auto (1994), una berlina gialla dalla linea un po' squadrata (ma all'epoca le forme erano quelle, no?). Nell'elenco spunta anche Locarno, visitata in occasione dell'allagamento dell'ottobre 1993. «Avevo voluto fare un esperimento un po' pazzo», racconta l'“uomo cinepresa” al Corriere del Ticino, in collegamento dalla sua abitazione. Alle sue spalle e tutt'intorno, le pareti sono ricoperte da migliaia di cassette. La sua sconfinata raccolta di memorie sotto forma di suoni e immagini, un flusso continuo di impulsi elettronici su chilometri e chilometri di nastri magnetici, oggi trasformati nella precisione digitale degli 'uno e zero' riversati su dischi rigidi. Quasi un progetto artistico, più che una mera registrazione della sua realtà e del suo punto di vista.

«Non saprei dire perché, ma a un certo punto ho voluto provare a non dormire per 108 ore consecutive. Sì, chissà cosa mi passava per la testa», dice il nostro interlocutore senza riuscire a trattenere una risata. «Però sì, era andata così». E ammette che quella sfida non l'ha più ripetuta «non sarebbe possibile», afferma categorico. «Per restare sveglio avevo bisogno di molta varietà, di cambi continui, di stare insieme ai miei amici e di continuare a parlare con loro. Avevamo sentito tutti dai notiziari che a Locarno il lago era esondato e così ci siamo detti 'Ehi, perché non ci andiamo? Andiamo a filmare cosa succede da quelle parti’. E così è stato, insieme a un mio amico. Abbiamo preso il treno e ci siamo fatti un giro a Locarno. Una città bellissima, tra l'altro».

E così—nel lungo spezzone visibile sulla popolare piattaforma di condivisione di filmati—passa una Piazza Grande sommersa dalle acque, i battelli che sembrano fluttuare sopra le strade, persone al lavoro con bocchette e pompe di aspirazione nelle case. E tanta, tanta pioggia. In maniera del tutto involontaria, l'obiettivo cattura espressioni, volti, mezzi di trasporto. Gli autobus dell'epoca, le automobili dell'epoca. Il microfono, sempre acceso, intercetta brandelli di conversazione tra le persone. Chi è andato a fare la spesa, chi si stupisce dello stato del fiume Maggia passando sul ponte, bambini che gridano nei dintorni della stazione ferroviaria.

Il punto di vista di Bidus, uno spaccato della sua vita privata di tutti i giorni. «Presto attenzione alle persone, se sono riconoscibili chiedo se sono d'accordo. A volte cancello nomi o taglio dei pezzi affinché non appaiano». Il nostro interlocutore riavvolge il tempo e ricorda com'è iniziato: «La mia prima camera, all'età di 14 anni, era una Video8. Era un'offerta che finalmente non sfiorava i tre o quattromila franchi. Per 1.500 ho potuto acquistarla. Come tutti, le prime registrazioni sono a casa, con i miei familiari. C'è anche il mio gatto. La cosa è proseguita fino a filmare me stesso, i miei pensieri, il mio modo di vedere il mondo. E questo, alla fine, mi ha fatto accumulare molte più cassette di quel che pensavo. Le Video8 erano piccole, ma costose. Allora io, una volta piena, la riversavo su una VHS, le cassette grandi e molto più economiche, riciclando la preziosa Video8».

E così, sì, ogni anno la pila diventa sempre più grande. «Sono andato avanti con questo sistema fino al 2006. In tutto, sono arrivato a 4.500 cassette, che sono ancora tutte qui». Hess fa una panoramica della stanza. «A metà degli anni Novanta sono poi passato alle MiniDV, più piccole. Anche di queste ne ho a migliaia. Come migliaia sono le ore di girato, su formati diversi, analogici e digitali. Tutti materiali che, però, ho riversato su una serie di dischi rigidi nel corso di sei anni, sfruttando due computer sempre accesi, 24 ore su 24». Un'impresa particolare, titanica, bizzarra ma che richiede una costanza di ferro. «Ma è un lavoro che volevo fare. Ci tengo e sapevo già dall'inizio che avrei voluto conservare tutte le registrazioni ed evitare che si perdessero».

La camera è in funzione praticamente sempre, tranne quando dormo o lavoro. Per esempio, quando salgo in macchina per tornare a casa e finché non sono a letto, continuo a riprendere

Un documentario in arrivo

Ma come funziona, questa 'sindrome dell'uomo cinepresa'? Perché il progetto è tuttora in corso. «La camera è in funzione praticamente sempre, tranne quando dormo o lavoro. Per esempio, quando salgo in macchina per tornare a casa e finché non sono a letto, continuo a riprendere. Il tutto finisce poi su un disco rigido». E grazie alla tecnologia digitale il passaggio è meno 'doloroso' rispetto ai tempi in cui c'erano soltanto i nastri analogici. «Ogni due o due mesi e mezzo circa, riempio un disco da 18 terabyte con le mie registrazioni».

L'idea, però, è destinata a svilupparsi ulteriormente. E non si limiterà al canale YouTube. «Già—afferma—. Un gruppo di cineasti di Berna sta lavorando alla produzione di un documentario. L'idea è si he concretizzata circa un anno fa e probabilmente ci vorranno ancora uno o due anni. Loro guardano i video, ma si tratta di una quantità enorme di materiale. Non guardano tutto, non possono guardare tutto. D'altronde, nemmeno io ci riesco! Secondo una stima, abbiamo circa 50/60.000 ore di materiale! Però sì, sono contento che, probabilmente tra due anni, ci sarà davvero un film documentario della mia vita».

Beat era già stato oggetto di una troupe di professionisti oltre vent'anni fa. «Nel 2000, questo gruppo aveva realizzato un documentario su di me e su tre altri registi amatoriali. Il lavoro («Die wahren Liebhaber — Ein Film über Filmen» di Peter Aschwanden, ndr) è poi andato a vari festival, oltre a essere trasmesso dalla televisione, sia SRF, sia Arte e 3SAT». Un più giovane Beat, alle prese con grossi registratori, lo si vede già circondato dalle preziose VHS.

È come attraversare una quarta dimensione. È molto interessante da guardare oggi. Sono successe molte cose... i cellulari non esistevano, i media sociali. Nulla del genere

Le automobili, vecchie ma nuove

Se oggi su YouTube finiscono i materiali di trent'anni fa... quello registrato oggi, quando si potranno vedere? «Ah, chi lo sa! Forse tra venti, trent'anni... Non saprei proprio. Mi sembra già un miracolo riuscire a caricare qualcosa tutti i giorni. Non so nemmeno per quanto tempo potrò ancora farlo. Insomma, c'è comunque parecchio lavoro dietro: programmarli in anticipo; tagliare nomi o intere scene per motivi diversi; guardare ogni cosa che intendo far finire su internet... Al momento sono arrivato all'estate del 1994. Sarà la cassetta numero 800. Di Oltre 4.500...».

Beat subisce il fascino magnetico di quella che definisce come una «macchina del tempo»: «È come attraversare una quarta dimensione. È molto interessante da guardare oggi. Sono successe molte cose... i cellulari non esistevano, i media sociali. Nulla del genere. La comunicazione è cambiata. E questa, inevitabilmente, si riflette su me stesso. Posso vedere come sono arrivato a oggi, cosa è accaduto nella mia vita per essere come sono oggi, e ne sono molto felice, comunque, ma è molto interessante vedere che strada ho preso, anche molto presto, da quando avevo 14 o 15 anni».

E ancora: «Quando si è adolescenti, non si sa bene dove si sta andando o cosa stia succedendo. Ammetto che sono tutte cose delle quali non ho memoria, perché le ho dimenticate. Ma con questa attrezzatura posso guardare indietro a oltre trent’anni fa e vedere cosa stavo pensando. Le case non sono cambiate molto, ma le auto, le vecchie auto che all’epoca erano nuove e circolavano per le strade... quello è qualcosa di speciale da vedere. I negozi, sono cambiati. I vestiti e le acconciature, ma è il modo di comunicare che fa capire lo stacco temporale rispetto a oggi. Il modo di parlare delle persone, le parole inglesi... alcune delle quali non erano nemmeno conosciute, allora. Questo è un aspetto che risalta parecchio—conclude il nostro 'uomo-cinepresa'—quando si guarda al passato e quando esploro i momenti della mia vita degli anni Novanta».

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