Repressione

Iran e hijab: donne sotto controllo, anche in auto

Avviata la nuova fase del programma Nazer-1, che prevede l’invio di un «promemoria» via SMS ai proprietari della macchina e a chi trasgredisce – E sarebbe ripreso anche il pattugliamento per le strade della polizia morale
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Jenny Covelli
02.01.2023 18:30

L'Iran ripristina i controlli sul velo islamico. In particolare, in auto. Ha infatti preso il via la nuova fase del programma Nazer-1 («sorveglianza» in lingua farsi) avviato in tutto il Paese nel 2020, che prevede la ripresa del monitoraggio da parte della polizia sull’hijab da parte delle donne in macchina. Nuova fase che prevede l’invio di un «promemoria» via SMS ai proprietari dell’auto in cui è stato rilevato il velo e un messaggio a chi trasgredisce. «L’assenza del velo è stata osservata nella vostra auto. È necessario rispettare le norme della società e non ripetere questo atto». La minaccia contenuta in una versione precedente del messaggio -«se questa azione si ripete, vi saranno applicate conseguenze legali e giudiziarie» - è stata rimossa. Lo riferisce l'agenzia di stampa Fars, che cita un alto ufficiale di polizia. 

E sarebbe anche ripreso il pattugliamento per le strade di Teheran della polizia morale. Ma come? Non era stata abolita? Stando alle segnalazioni sui social network, pare proprio di no. Durante una conferenza stampa del 3 dicembre 2022, il procuratore generale dell'Iran, Mohammad Jafar Montazeri, aveva dichiarato: «La polizia morale (gasht-e ershad) non ha nulla a che fare con la magistratura ed è stata chiusa da qualunque [organo] l'abbia istituita in passato». E aveva poi aggiunto: «La magistratura continuerà a regolare il comportamento delle persone nella società», indicando che la sorveglianza del corpo delle donne in base alle leggi sul velo obbligatorio sarebbe proseguita. Il giorno successivo i media statali avevano riferito: «Nessuna autorità ufficiale della Repubblica islamica dell'Iran ha confermato la chiusura della polizia morale». Heba Morayef, direttrice regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e l'Africa del Nord, aveva quindi voluto chiarire: «La dichiarazione del procuratore generale è stata volutamente vaga e non ha menzionato l'infrastruttura legale e politica che mantiene saldamente in vigore la pratica del velo obbligatorio nei confronti di donne e ragazze. Affermare che la "polizia morale" non ha nulla a che fare con la magistratura distorce la realtà, il fatto che per decenni la criminalizzazione di donne e ragazze in base a leggi abusive e discriminatorie sul velo obbligatorio è stata avallata dalla magistratura». Un mese fa Hossein Jalali, membro del Consiglio islamico e della Commissione culturale, ha affermato che il costo da pagare per le donne che non indossano l'hijab sarebbe stato più alto. Non a causa di «pattuglie della polizia morale»: le persone che non indossano il velo sarebbero state avvisate tramite messaggi, prima di passare alle punizioni. «Non ci sarà alcun ritiro dal piano dell'hijab perché il ritiro significa il ritiro della Repubblica islamica», aveva aggiunto. Ebbene, la polizia morale iraniana avrebbe ora (di nuovo?) il mandato di entrare nelle aree pubbliche per verificare l'attuazione del rigoroso codice di abbigliamento. Perlomeno stando alle informazioni che trapelano online.

Si era provato a discuterne...

Nell'estate del 2017 i media internazionali parlavano della discussione in corso in Iran sulla possibilità per le donne di non indossare l'hijab all'interno dell'auto, considerandolo «uno spazio privato». Un dibattito che aveva reso evidente, ancora una volta, le grandi differenze presenti tra i due principali centri del potere iraniano: quello più conservatore, di cui fanno parte la magistratura e la polizia, e quello più moderato che dal 2013 aveva trovato sostegno nel governo di Hassan Rouhani. Il portavoce della polizia iraniana, Saeid Montazeralmahdi, allora aveva affermato: «Ciò che è visibile all’occhio del pubblico non è spazio privato, e le norme e le leggi andrebbero rispettate anche all’interno delle macchine».

L'Italia piange Mehdi Zare Ashkzari

Nel frattempo, proseguono le proteste  scoppiate nel Paese il 16 settembre, quando Mahsa Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano, è morta a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non avere indossato correttamente il velo islamico come prescritto dalle leggi iraniane. E, dall'altro lato, prosegue la repressione. Che ha mietuto l'ennesima vitta. Mehdi Zare Ashkzari, 30 anni, è entrato in coma e dopo venti giorni è morto. A dare la notizia è stato il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury. Il ragazzo, infatti, nel 2015 aveva studiato Farmacia a Bologna, dove aveva lavorato anche in una pizzeria d’asporto per pagarsi gli studi. Due anni fa, era tornato a casa, a Yazd (Iran centrale), perché la mamma era in fin di vita. Secondo la testimonianza di Noury raccolta da Domani,  che ha deciso di diffondere l’allarme ricevuto da un’attivista iraniana, Ashkzari era stato fermato durante le proteste a Teheran, mentre manifestava al fianco del movimento Donne Vita Libertà. Avrebbe quindi subito pestaggi e torture e sarebbe stato in seguito rilasciato dalle autorità iraniane per evitare che si sentisse male mentre era in cella. Ma il giovane sarebbe entrato subito dopo in coma. È stato torturato «tanto, al punto che dopo 20 giorni di coma è morto».

Roozbeh Sohrabianmehryazdi, iraniano di 33 anni che vive a Bologna dal 2014, ha raccontato al Corriere della Sera di essere rimasto in contatto con Mehdi Zare Ashkzari. «Mentalmente non stava bene per la perdita della mamma e poi aveva dei problemi con il permesso di soggiorno e non è riuscito a tornare subito in Italia. Da quando sono iniziate le manifestazioni, anzi la rivoluzione direi, lui scendeva tutti i giorni in piazza per lottare contro il regime iraniano. L’hanno arrestato. Me l’ha raccontato un altro mio amico che era con lui il giorno dell’arresto, ma a differenza di Mehdi lui è riuscito a scappare». Il 30.enne è uscito dalla cella solo per passare a un letto d’ospedale. Roozbeh Sohrabianmehryazdi ha fatto riferimento al messaggio d'addio scritto da un parente: «Domani ti seppelliranno accanto alla tomba di tua madre è li ritroverai la pace, ma mi raccomando non farle vedere i segni delle botte e dei lividi e il tuo naso rotto, che hai subito nella detenzione di sicurezza». 

Anche Patrick Zaki - lo studente egiziano dell’università di Bologna arrestato il 7 febbraio 2020 al suo rientro in Egitto, infine liberato l'8 dicembre 2021, e tuttora sotto processo per reati d’opinione - ha espresso il suo cordoglio: «Il nuovo anno inizia con questa notizia per darci un avviso sulle violazioni dei diritti umani che si verificano nella regione di Swana e in particolare in Iran. L'Università di Bologna ha ora una nuova vittima della libertà di espressione. Purtroppo, questa volta, era troppo tardi per salvarlo. Tutte le mie condoglianze alla sua famiglia e a noi per questa grande perdita».

Proseguono le condanne

La magistratura iraniana ha emesso due sentenze di condanna a morte per un manifestante di 18 anni a Mazandaran. Lo riferisce l'agenzia di stampa Harana. Si tratta di Mehdi Mohammadifard, arrestato durante le proteste a Nowshahr, accusato di corruzione e guerra. Oltre alla pena capitale, il tribunale di Sari lo ha condannato a sette anni e mezzo di carcere per le accuse di «propaganda contro il regime, incitamento a turbare la sicurezza del Paese, insulto alla leadership e reati contro la sicurezza del Paese».

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