Proteste

L'Iran si ribella per Mahsa Amini, morta «per un capello fuori posto»

Che cosa sta succedendo nel Paese? In alcuni casi le donne si sono tolte l'hijab e lo hanno bruciato per protestare contro la legge sul velo obbligatorio o si sono tagliate i capelli in segno di protesta
Jenny Covelli
22.09.2022 21:25

Fiamme, gente per strada, urla, proteste. E, questa volta, tra la folla ci sono anche le donne. Che cosa sta succedendo in Iran? Tutto è iniziato il 16 settembre, quando Mahsa Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano, è morta a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non avere indossato correttamente il velo islamico come prescritto dalle leggi iraniane. Secondo la sezione iraniana di Amnesty International, la ragazza «è stata arrestata in modo arbitrario dalla cosiddetta polizia della moralità» e ci sono accuse rispetto a presunte torture durante la detenzione. La famiglia della ragazza sostiene che la polizia religiosa, dopo l’arresto, l’avrebbe picchiata fino a mandarla in coma. Suo fratello ha raccontato che poco dopo l’arresto, avvenuto il 13 settembre, stava aspettando Mahsa fuori dalla prigione quando ha sentito delle urla provenire dall’interno: poco dopo una persona gli ha raccontato che le forze di sicurezza avevano ucciso una giovane donna. Il padre, Amjad Amini, ha detto che i medici si sono rifiutati di fargli vedere Mahsa dopo il decesso: «Stanno mentendo. Stanno dicendo bugie. Tutto è una bugia. Non gli importa quanto abbia implorato, non mi hanno permesso di vedere mia figlia», ha dichiarato a BBC Persia.

© CLEMENS BILAN
© CLEMENS BILAN

Le proteste

Il 17 settembre i funerali della ragazza, nella sua città natale del Kurdistan iraniano, sono sfociati in scontri con la polizia. Le proteste e la repressione si sono poi estese al resto del Paese. I manifestanti bloccano il traffico, incendiano cassonetti e veicoli della polizia, lanciano pietre contro le forze di sicurezza e scandiscono slogan antigovernativi. La polizia ha usato gas lacrimogeni e pallottole di gomma e ha effettuato arresti per disperdere la folla. Uomini e donne si sono riuniti a Teheran e in altre grandi città, tra cui Mashhad, Tabriz, Rasht, Isfahan e Kish. Cortei anche in diverse università, comprese quelle della capitale, con gli studenti di 14 associazioni che chiedono che i responsabili siano puniti.

Sono almeno 31, secondo l'ultimo bilancio, i civili uccisi. Lo ha reso noto oggi l'Ong Iran Human Rights (IHR) che ha sede ad Oslo. «Il popolo iraniano è sceso in piazza per lottare per i propri diritti fondamentali e la propria dignità umana e il governo sta rispondendo a queste manifestazioni pacifiche con le pallottole», ha denunciato il direttore, Mahmood Amiry-Moghaddam. La TV di Stato iraniana ha invece riferito di «diciassette persone, compresi manifestanti e poliziotti, che hanno perso la vita negli eventi degli ultimi giorni». Secondo l'ultimo rapporto ufficiale pubblicato oggi, sette manifestanti e quattro membri delle forze di sicurezza sono stati uccisi dall'inizio delle proteste, sei giorni fa. E i funzionari iraniani hanno negato qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza nella morte dei manifestanti.

La ribellione delle donne

Quello che stupisce, come accennavamo all'inizio, è che per strada sono scese anche le donne, consce delle conseguenze che potrebbero subire. E hanno inscenato proteste che fanno rumore. In alcuni casi si sono tolte l'hijab e lo hanno bruciato per protestare contro la legge sul velo obbligatorio nel Paese e i video sono stati postati online. «Donne, vita, libertà» e «abbasso il dittatore» sono solo alcuni degli slogan infuocati che riecheggiano. Sui social network si vedono le ragazze che si tagliano i capelli davanti alle telecamere in segno di solidarietà con Mahsa in una protesta altamente simbolica. Il fondo la 22.enne è morta perché sotto il suo velo era visibile una ciocca di capelli di troppo.

Sembra che mai come ora giovani uomini e donne siano pronti a sfidare le autorità e rovesciare il regime. Per impedire la divulgazione dei video sui social, il governo pare abbia disposto la diminuzione dell’accesso a Internet in alcune città dell’Iran. Ma nel frattempo la polizia iraniana continua a parlare di «sfortunato incidente» riferendosi alla morte di Mahsa Amini. È morta venerdì in ospedale dopo tre giorni di coma «per cause naturali», secondo le autorità iraniane. Il comandante della polizia della zona di Teheran, Sardar Hossein Rahimi, in dichiarazioni riportate dall’agenzia iraniana Far non si è astenuto da apprezzamenti per il lavoro della polizia morale «che porta avanti un lavoro positivo» e ha denunciato «accuse disoneste» contro gli agenti dopo la morte della ragazza, che – ha confermato – era stata fermata per il suo modo di vestire, ma «non ci sono state contestazioni o resistenza durante il trasferimento. Le dichiarazioni sul web sulle cause della morte sono menzogne».

C'è davvero speranza?

Il caso di Mahsa Amini può mettere in discussione l'esistenza del corpo della «polizia morale»? Alcuni parlamentari hanno osato criticare questa istituzione, chiedendone la revisione o l'abolizione. La polizia morale, nota anche come Gasht-e Ershad, o «pattuglia della morte», «non ottiene alcun risultato, se non quello di causare danni al Paese», ha detto all'agenzia di stampa ISNA il deputato Jalal Rashidi Koochi. Il presidente del Parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf, ha chiesto che la condotta di questa unità di polizia sia oggetto di una inchiesta: per evitare che si ripeta quanto accaduto a Mahsa Amini, ha dichiarato, «i metodi utilizzati da queste pattuglie dovrebbero essere rivisti». Ancora più radicale un altro parlamentare, Moeenoddin Saeedi, che ha annunciato la sua intenzione di proporre l'abolizione totale del corpo. «Credo che a causa dell'inefficacia del Gasht-e Ershad nel trasmettere la cultura dell'hijab, questa unità dovrebbe essere abolita, in modo che i bambini di questo Paese non abbiano paura quando vi si imbatteranno». Lunedì circolavano voci di una rimozione o una sospensione del capo della polizia morale, circostanza negata dalla polizia di Teheran.

E anche il resto del mondo ha iniziato a seguire quello che sta succedendo in Iran. La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha denunciato «il brutale attacco contro le donne coraggiose» che da diversi giorni manifestano in Iran, vedendo nella repressione delle manifestazioni un attentato all'umanità», ha affermato a margine dell'assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Baerbock ha poi aggiunto che la Germania intende portare «questa violazione dei diritti delle donne e quindi dei diritti umani davanti al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite». Gli Stati Uniti impongono sanzioni alla polizia morale iraniana dopo la morte di Mahsa Amini. «Condanniamo questo atto nei termini più duri e chiediamo al governo iraniano di mettere fine alla violenza contro le donne», ha affermato il segretario al Tesoro Janet Yellen. «La tragica morte di Mahsa Amini e le accuse di tortura e maltrattamenti devono essere indagate in modo rapido, imparziale ed efficace da un'autorità indipendente competente, assicurando, in particolare, che la sua famiglia abbia accesso alla giustizia e alla verità», ha affermato l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ad interim, Nada Al-Nashif.

E, è notizia di questa sera, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha detto che la morte di Mahsa Amini «sarà oggetto di indagine». «Ho contattato la famiglia della vittima e ho assicurato che continueremo a investigare velocemente l'incidente - ha aggiunto parlando a New York -. La nostra preoccupazione è la salvaguardia dei diritti di tutti i cittadini». Raisi, nella giornata odierna, ha rifiutato all'ultimo minuto un'intervista con la CNN perché la giornalista Christiane Amanpour si è rifiutata di indossare il velo. Lo ha raccontato la stessa giornalista e inviata di guerra di origine iraniana che avrebbe dovuto intervistare il leader iraniano. «Credo - ha spiegato la reporter - che non voglia essere visto con una donna senza velo nel momento in cui nel suo Paese infuriano le proteste».

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