Tesi a confronto

La classe media è uno dei motori dell'economia

Sergio Rossi (UNI Friburgo): «Preservare il potere di acquisto delle famiglie conviene a collettività e imprese» — Edoardo Beretta (USI): «I rendimenti sul risparmio sono ancora troppo bassi»
©Chiara Zocchetti
Generoso Chiaradonna
28.09.2023 06:00

L’inflazione è una sorta di tassa regressiva che penalizza soprattutto le persone con i redditi più bassi. I salariati e i pensionati sono i soggetti più colpiti da questo fenomeno in quanto l’acquisto del loro «paniere di riferimento», ovvero i beni e i servizi rappresentativi dei loro consumi (spesa alimentare, elettricità e benzina), assorbe una parte maggiore del loro reddito rispetto ai più abbienti. A queste voci di spesa obbligatoria bisogna aggiungere quella per i premi di cassa malati, altro salasso che peserà da gennaio ancora di più sui bilanci familiari. E questa volta per intero sulle famiglie del cosiddetto e «mitico» ceto medio escluse da ogni sussidio e che vengono sospinte sempre più verso il basso. Insomma, facendo calcoli spannometrici ed errati al ribasso, se quest’anno una famiglia standard (due adulti e due figli minorenni) ha dovuto mettere in conto di spendere in media circa 14.000 franchi per la cassa malati, dal prossimo anno spenderà più di 15 mila franchi (15.500 per la precisione, 1.500 franchi in più). L’esplosione della spesa sanitaria è certamente un problema per la finanza pubblica, ma diventa assai più problematica per le famiglie con redditi stagnanti e fuori dalla cerchia dei sussidi.

«La tutela del potere di acquisto è fondamentale per mantenere la capacità di spesa delle famiglie. Sappiamo che i consumi sono un motore importantissimo per la crescita economica», ci spiega il professor Sergio Rossi, ordinario di macroeconomia e politica monetaria all’Università di Friburgo. «Per questa ragione è necessario che i salari più bassi salgano più velocemente di quelli alti». «Se le famiglie non consumano, le imprese non investono e quindi non assumono», continua Rossi, che ricorda come questo crea anche squilibri nei conti pubblici «con lo Stato che ha meno risorse fiscali e maggiori oneri per le politiche sociali». «Nel caso contrario, invece, si attiverebbe un circolo economico virtuoso di crescita: più reddito disponibile, più risorse fiscali e minore spesa sociale», aggiunge Rossi.

In questo modo non c’è però il rischio di attivare la cosiddetta spirale inflazionistica prezzi–salari, con i secondi che alimentano i primi e viceversa? «Le imprese che possono permettersi di aumentare i salari dovrebbero farlo e se operano sul mercato interno, è anche nel loro interesse. Se non fossero nelle condizioni di farlo, dovrebbero ridurre le disparità all’interno dell’impresa tra i salari dei dirigenti e quelli della parte inferiore della scala gerarchica». «In questo modo si manterrebbe stabile la massa salariale, ma con effetti benefici per chi riceve gli stipendi più bassi, perciò anche per la crescita economica indotta dalle spese di questi consumatori».

Sanità, servono riforme

Negli ultimi tre anni l’inflazione cumulata è stata superiore al 10%, ma il costo della vita (tra affitti e premi di cassa malati) è aumentato molto più di questo dato. «Per questa ragione andrebbe introdotto un indice che calcoli il costo della vita, da usare per orientare la politica economica e le trattative salariali. Per quanto riguarda l’assicurazione malattia, le proposte di riforma non mancano. Secondo me, un modello che ricalchi l’assicurazione sociale per eccellenza – l’AVS – con premi proporzionali al reddito dovrebbe essere preso seriamente in considerazione dalla politica», conclude Rossi.

Per Edoardo Beretta, professore titolare presso la Facoltà di scienze economiche dell’USI, il recupero del potere di acquisto è lento anche a causa di rendimenti scarsi sul risparmio. «La perdita di potere d’acquisto ha afflitto gran parte delle fasce sociali in quanto anche non compensata da rendimenti positivi sui risparmi che, pur adesso con tassi d’interesse in rialzo, spesso non sono fruibili», spiega Beretta che aggiunge: «Credo che l’unica “ricetta” – difficile da comporre – sia sempre la stessa: tenere i costi “sotto controllo” e, prima ancora, perseguire una crescita economica diffusa ed equa in grado di migliorare il tenore di vita di tutti».

L’indice dei prezzi al consumo è solo una parte della misura del calo del potere di acquisto, il cui calo inteso come rialzo dei prezzi al consumo è particolarmente aggravato dai rincari dei premi di cassa malati (che, a differenza degli affitti, non sono inclusi nell’indice dei prezzi al consumo). «Per quanto riguarda il “dossier sanità” – preso atto anche dell’esito sfavorevole del voto popolare nel 2014 concernente una “cassa malati pubblica” – penso che un’opzione a breve-medio termine sia lavorare sui prezzi dei medicinali e in parte sulla struttura tariffale: ridurre eventualmente le prestazioni coperte o disincentivare gli individui dal richiedere prestazioni sanitarie sarebbe, invece, controproducente da un punto di vista economico-sociale oltre che eticamente discutibile», afferma il professor Beretta che rilancia: «Piuttosto, il “costo della sanità” è spesso un “prezzo della sanità”, che incorpora già margini di guadagno e sta divenendo progressivamente insostenibile laddove la popolazione si dovesse trovare nella condizione di dovere rinviare o rinunciare alle cure. Ragionare in termini di sussidi o condizioni agevolate – anche per le pigioni – sarebbe un “palliativo” ai problemi che rischierebbe di sfociare in rialzi futuri».

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