La fede e il terrorismo islamico in una Russia che sta cambiando

Una presenza silenziosa, ma sempre più numerosa. Al presidente russo, Vladimir Putin, piace poco che si sappia in giro, ma Mosca è la città con più musulmani in Europa, oltre due milioni sui 13 di abitanti totali. E i rapporti con i cosiddetti russi bianchi non sono sereni e propri di quell’ex grande impero multietnico che vogliono fare credere dal Cremlino. Mosca, dalle unità amministrative a maggioranza islamica e dalle ex Repubbliche dell’Asia centrale, è spesso vista come una matrigna, soprattutto per chi ha scelto di andarci a vivere. La Russia, come noto a molti, è stata decisiva in Siria per l’eliminazione dello Stato Islamico e, cosa meno nota, ma non ignota del tutto, in Afghanistan ha stretto dei patti con i Talebani in funzione anti Daesh. I musulmani non sono visti di buon occhio, a causa degli attentati degli anni scorsi, dove c’era, pesante, lo zampino dei servizi segreti russi. E i musulmani russi o ex sovietici non vedono di buon occhio i russi bianchi per le guerre in Cecenia, in Siria e per la presenza in Afghanistan. Fin qui, sembrerebbe una poco serena storia di astio reciproco. Il problema, per il Cremlino, è che la Russia sta cambiando.
Numeri in crescita
Con buona pace del presidente Putin e del patriarca Kirill, molto impegnati (invano) a costruire un Paese sempre più fondato sulla famiglia tradizionale e la Chiesa Ortodossa, la componente islamica sta aumentando progressivamente. Se oggi rappresenta il 10% della popolazione, nel 2050 arriverà al 30%. Su questo dato pesano non solo i tassi di riproduzione, le unità amministrative a maggioranza musulmana fanno molti più figli dei russi «bianchi». Ma anche la forte immigrazione dalle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale.
Il presidente Putin, a furia di stare rinchiuso al Cremlino o nelle residenze ufficiali, non si rende conto che la Russia sta cambiando sotto i suoi occhi. Nel centro di Mosca alcuni lavori sono ormai esclusiva di persone con i tratti asiatici e si tratta sempre di mestieri a scarso valore aggiunto: camerieri, cassieri, donne delle pulizie, commesse. I taxi sono tutti in mano a gruppi uzbeki. Molti di loro nati quando l’Unione Sovietica si era già dissolta e quindi, non avendo imparato il russo in maniera corretta, come si faceva una volta, lo parlano commettendo molti errori, o mischiandolo alla loro lingua natale. Alcuni, si trovano molto più a proprio agio con il turco, che imparano molto più facilmente perché appartiene allo stesso ceppo degli idiomi parlati nei Paesi di provenienza.
«Con l’inizio della guerra – spiega al Corriere del Ticino Bermet Beishembieva, originaria del Kyrgyzstan e che lavora in una delle tante caffetterie della capitale – la nostra situazione è peggiorata. Molti alimentari sono diventati più cari. La vita in alcune zone del Kyrgyzstan è talmente più economica che riuscivamo a vivere qui e mandare i soldi a casa. Adesso molti se ne sono andati, dopo tutto quello che hanno fatto per essere messi in regola».
Entrare in Russia, infatti, è tutto fuorché una cosa facile. E nella capitale la quotidianità è particolarmente spietata. Kuzminki è noto per essere il quartiere a Mosca dove vivono molti dei migranti irregolari. Per la precisione, ci vivono quelli che, pur in modo illegale e spesso in condizioni proibitive, sono riusciti a trovare un tetto sulla testa. Ad altri va persino peggio. Ne sanno qualcosa le persone che, a cadenza regolare, vengono scoperte dalla polizia a vivere in vecchi rifugi anti aerei di epoca sovietica o in tunnel sotto la metropolitana. Prima dell’inizio della guerra erano circa due milioni le persone che ogni anno arrivavano in Russia in cerca di una vita migliore. La metà è rappresentata da uzbeki, seguono tagiki e kirghizi.
L’integrazione è difficile, anche per l’impegno messo dalla Russia nel rimandarne il più possibile «a casa loro». Se proprio si deve prendere persone che sono di fatto considerate estranei, il Cremlino sceglie le risorse migliori e per questo sta cercando di introdurre nel Paese giovani generazioni qualificate tramite generosi sistemi di borse di studio, rimandando invece a casa quelli che non vengono considerati sufficientemente utili per la Russia del futuro. La guerra in Ucraina ha modificato questa tendenza, ma si tratta di un cambiamento temporaneo e soprattutto poco conveniente per chi accetta. Dall’inizio della mobilitazione, nei centri di accoglienza temporanei, le autorità hanno concesso migliaia di permessi di soggiorno, in molti casi anche la cittadinanza, purché i firmatari andassero a combattere per un anno sulla prima linea del fronte. Si tratta spesso di giovani, completamente inesperti e soprattutto disperati, pronti ad accettare un sacrificio, con il rischio di perdere la vita, pur di assicurarsi un avvenire nel Paese.
Quello militare è un altro aspetto a cui Vladimir Putin deve fare molta attenzione. È stato calcolato che il 40% delle forze armate russe è di fede islamica. Una percentuale destinata ad aumentare in futuro per le tendenze demografiche illustrate poco sopra. Questo significa maggiore possibilità di infiltrazione degli apparati di sicurezza da parte dello Stato Islamico o di altre sigle terroristiche, ma soprattutto la necessità di una maggiore integrazione e coesione nazionale.
Mosca, con oltre due milioni di musulmani, ha appena quattro moschee. La più grande, la Moskovskaya sobornaya mechet, può contenere al massimo 10 mila fedeli e quindi non di rado, nelle periferie della capitale, nella bella stagione si vede gente pregare nelle aree verdi o per strada. Spesso suscitando critiche e reazioni da parte degli abitanti che sovente si sono rivolti al Cremlino. Come se i moscoviti per primi, come il loro presidente, vivessero in un mondo parallelo e non si fossero ancora accorti che la Russia di oggi non è quella raccontata dalla retorica nazionale. La minoranza musulmana è la più numerosa nel Paese, ma non è l’unica. Nel lungo termine tutte potrebbero reclamare maggiori diritti. Chissà, a quel punto, cosa resterà della Grande Russia.