La guerra passa anche dalle recensioni (poi bloccate)

«Vai su Google Maps. Clicca sulla Russia. Cerca un ristorante o un’attività commerciale e scrivi una recensione in cui spieghi cosa sta accadendo in Ucraina». Così twittava lunedì il gruppo di hacker Anonymous. L’idea condivisa sul profilo @YourAnonNews arrivava da quello polacco @Konrad03249040, che sostiene azioni di cyber attivismo per la guerra in Ucraina. Qual è lo scopo? Aggirare la «censura» governativa sulla diffusione di news sul conflitto in Ucraina. Sì perché questa guerra si combatte anche sul digitale. «Tutti i media russi sono organizzati su un’unica narrativa – ha spiegato al CdT negli scorsi giorni Luca Lovisolo, ricercatore indipendente in relazioni internazionali –. Perciò i russi che aprono un giornale, che accendono la radio o che guardano la televisione sentono le stesse cose con minime varianti». Media liberi, come Echo of Moscow o TV Rain, sono stati chiusi. Ecco perché l’idea di sfruttare «canali alternativi» per far conoscere la verità e/o esprimere dissenso. Ma, è notizia di oggi, Google Maps ha deciso di sospendere la pubblicazione delle recensioni in Russia, Bielorussia e Ucraina. Non perché sia pro-Russia, ma perché «le condizioni d’uso del servizio vietano contenuti volutamente falsi, foto copiate o rubate, recensioni fuori tema, linguaggio diffamatorio, attacchi personali e qualsiasi contenuto non necessario o inesatto», come ha spiegato un portavoce.
Un ottimo ristorante? No, «ti mentono»
Anche TripAdvisor ha dichiarato a Business Insider che sta bloccando le recensioni dei ristoranti/hotel in cui «ha notato movimenti anomali», cioè persone che scrivono dell’invasione dell’Ucraina. «Stiamo sta monitorando da vicino tutti gli invii di recensioni in arrivo per le aziende situate nei paesi interessati e adotteremo misure per applicare quelli che chiamiamo avvisi di blocco ogni volta che una struttura riceve un afflusso di invii che non descrivono esperienze di prima mano dei clienti». Il Grand Cafe Dr. Zhivago, un famoso ristorante di Mosca con vista sul Cremlino, aveva ricevuto una marea di recensioni su Google nella giornata di martedì. «Il tuo governo ti sta mentendo sul conflitto in Ucraina». «Non è un’operazione di salvataggio, non ci sono nazisti lì! È una guerra iniziata da Putin contro un’intera nazione, contro bambini, donne e uomini». Niente Google e niente TripAdvisor. Amen. Troveranno canali diversi.

La narrazione. Che cosa importante. Consente di decidere quale storia raccontare e come farlo. E permette di alimentare la propaganda, il patriottismo. Oppure la diffidenza, l’odio. E la guerra ucraina, in Russia, non è guerra. Nemmeno un tentativo di invasione. È «un’operazione militare speciale a sostegno delle repubbliche di Donetsk e Lugansk». Vladimir Putin vuole «demilitarizzare» e «denazificare» l’Ucraina. Ancora oggi il presidente russo, a colloquio con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha negato i bombardamenti nelle zone residenziali di Kiev e delle altre grandi città dell’Ucraina, definendo le notizie al riguardo una «volgare propaganda». «Non abbiamo cattive intenzioni contro i nostri vicini» ha dichiarato oggi – nel nono giorno di conflitto – durante una riunione del suo governo trasmessa da Rossiya 24.
Di siti di propaganda e di bufale
Insomma, l’attenzione per le notizie che circolano è altissima. Il 25 febbraio 2022, il giorno seguente all’annuncio dell’«operazione militare speciale» di Putin, è stato registrato in Russia il dominio объясняем.рф. «Spiegare». Si tratta di un sito nato per contrastare le fake news. O perlomeno così è stato presentato da NTV, il canale televisivo di proprietà di Gazprom in parte in mano allo Stato. Chi lo ha aperto? Il Cremlino. È stato lanciato e promosso dal vicepresidente della Federazione russa Dmitry Chernyshenko. La prima notizia? «Non è stata la Russia a bombardare il palazzo del Governo ucraino a Kharkiv, si sono bombardati da soli». Stando al Centro di monitoraggio della disinformazione sul conflitto Russia-Ucraina, la propaganda russa può contare su oltre 100 siti Internet. Ad oggi, il team del network giornalistico sta monitorando 116 domini, i tre più influenti sono RT (Russia Today), TASS e Sputnik News, ma ci sono anche siti anonimi, fondazioni e siti di ricerca gestiti con finanziamenti non chiari. I giornalisti di Meduza, uno degli ultimi media svincolati dal diktat dell’autorità, in un editoriale affermano di «non poter essere zittiti», anche se presto potrebbero essere costretti a chiudere. La testata ha sottolineato quanto siano stati gli stessi media governativi ad aver contribuito alla guerra in Ucraina, senza che ci si potesse opporre.
Anche Wikipedia dice bugie
In Russia ogni manifestazione è vietata e l’intervento delle forze dell’ordine è immediato. Al momento sono state arrestate almeno 7.000 persone in seguito a proteste spontanee. Dall’altra parte i principali big dell’hi-tech si sono uniti per isolare il Paese con un giro di vite. Da Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger) a TikTok, passando per YouTube e Twitter che hanno bloccato i canali di informazione accusati di diffondere disinformazione. E la Russia non ci sta. Il regolatore della tecnologia e delle comunicazioni Roskomnadzor si è scagliato anche contro Wikipedia – per la pagina «Invasione russa dell’Ucraina (2022)» – in quanto «contiene informazioni errate sui soldati russi morti e sulla violenza militare contro i civili». «Il 1. marzo 2022 la Wikimedia Foundation ha ricevuto una richiesta del governo russo di rimuovere i contenuti relativi all’invasione dell’Ucraina pubblicati da collaboratori volontari sulla versione russa di Wikipedia» si legge in una dichiarazione inviata a The Verge. «Come sempre, Wikipedia è un’importante fonte di informazioni affidabili e fattuali, specialmente in periodi di crisi. In riconoscimento di questo importante ruolo, non ci tireremo indietro di fronte agli sforzi per censurare e intimidire i membri del nostro movimento. Sosteniamo la missione di fornire conoscenza gratuita a tutto il mondo». Wikimedia ha definito le affermazioni di Mosca «fondamentalmente impossibili» da valutare e ha esortato il governo a non bloccare l’accesso all’articolo, che richiederebbe un blocco a tutta Wikipedia. Ha anche notato che la pagina è in continua evoluzione grazie al lavoro dei suoi numerosi editori. «Tutte queste persone hanno opinioni molto diverse su ciò che sta accadendo e sono attente a garantire che non vengano inserite informazioni false o parole fuorvianti nell’articolo» sottolinea il gruppo.
E se da stamattina le pagine Internet di Facebook e di vari media indipendenti o internazionali – Deutsche Welle, Radio Free Europe/Radio Liberty (Rte/Rl) del Congresso americano e i servizi in lingua russa della BBC – erano diventati in parte inaccessibili in Russia, ora arriva l’ufficialità: è stato bloccato anche l’accesso a Facebook e Twitter. Insomma, se sul territorio ci sono sirene, bombe, carri armati, fumo e tanta paura. Sul web la guerra ha un sapore diverso.