La migliore? Di sicuro è stata la più globale

È proseguita su Twitter, soprattutto su Twitter, la finalissima tra Argentina e Francia. E mentre scriviamo si sta ancora giocando. Nessun triplice fischio, nessuna serie di hashtag conclusiva. Tutti, chi elegantemente, chi senza vergogna, cercano di alzare a loro modo la Coppa del Mondo. Magari riscrivendone la storia. Magari modellandola a propria immagine e somiglianza, con un 9 all’eroe mancato e un 8 a quello per sempre. Il cuore del dibattito, va da sé, riguarda la portata della sfida andata in scena al Lusail Stadium. È stata o non è stata la più bella partita di sempre? Sì, no, forse. La nostra risposta, invero, l’abbiamo già fornita, annuendo con la testa, certi di aver assistito a qualcosa di una bellezza inaudita. Il miglior regalo di Natale. Di sempre. Il calcio, signori. La consacrazione di Lionel Messi e la resa, maestosa, di Kylian Mbappé hanno d’altronde ridisegnato i confini della drammaticità sportiva. E su questo punto, in attesa di conoscere a chi andrà il prossimo Pallone d’oro, crediamo che l’accordo sia unanime.
Effetto amplificatore
«Okay, ma per 80 anni minuti la formazione di Didier Deschamps è stata inguardabile», sentenzia – grossomodo così – la schiera degli esteti e dei professoroni. Per i diretti interessati, i canoni della perfezione sarebbero in qualche modo prestabiliti. E quindi da intercettare in parametri tecnico-tattici di un certo livello, ripetuti senza sosta. Con tanti saluti all’imponderabile, all’umano e disumano, che in una domenica pomeriggio di Doha hanno tramutato un incontro di pallone in altro. In molto di più. A proposito di barriere infrante: forse, la principale differenza con le finali o i grandi duelli del passato risiede anche nell’ampiezza di coloro che ne hanno potuto cogliere l’essenza. Il discorso, lo ammettiamo, è infantiniano. Perché guarda ai numeri e osserva pure i volti, calpestando altre cifre, dimenticando altri visi. Ma a fare la differenza rischia proprio di essere la dimensione globale assunta da Argentina-Francia. No, in Qatar non c’erano unicamente tifosi di Buenos Aires, Rosario e chissà quant’altre città. E nemmeno solo parigini. Il coinvolgimento – totale – di popoli rimasti a lungo in disparte ha avuto un effetto moltiplicatore. Amplificatore, anche. Nel Golfo persico, in Medio Oriente, per tacere dell’India, i suoi vicini, e financo dell’Oceania.
Un climax maradoniano
Lungi da noi ridimensionare o peggio ancora togliere valore a una lunga lista di match iconici. Però, appunto, siamo certi che Italia-Germania Ovest, e le loro sette, indimenticabili reti del 1970, rapirono i cuori di così tante donne e uomini? O che l’eco dell’Argentina campione del mondo nel 1986 risuonò praticamente in ogni angolo della terra? Beh, sì, allora c’era Diego Armando Maradona. E semmai fu lui – non la qualità del 3-2 rifilato ai tedeschi – a riecheggiare in aeternum. Di più: proprio l’ingombrante presenza del Diez, sopra Doha, ha conferito alla tercera argentina, all’incoronazione dell’erede al trono, una solennità vertiginosa. Un climax sviluppatosi lungo il torneo, dall’esordio bucato con l’Arabia Saudita, su su, fino all’immenso. In Qatar cielo e terra si sono dunque sfiorate le labbra, mentre quelle di miliardi di persone davano forma allo stupore e alla felicità.
Il quinto set e l’8-7 di Federer
La sensazione di proibito – una mano malandrina, una testata simbolica – ci ha messo quindi del suo. Ah, eccome. Dai rigorini alla cerimonia di premiazione, con la controversa vestizione di Messi da parte dello sceicco Tamin bin Hamad al-Thani. Bisht, tornando a monte, è oramai # e controtendenza. Un gesto inappropriato e finanche oltraggioso, per molti. Argentini compresi. Il lascito definitivo dell’emiro su ciò che banalmente riteneva e ritiene di sua proprietà, la lucida constatazione di altri. Ma che non si sia trattato solo di una partita di calcio lo abbiamo già detto. No, Argentina-Francia – a ben guardare – è stata una piattaforma per veicolare un’infinità di messaggi. Sociali, sportivi, politici ed economici. E chi se non un animale sociale ed economico – con inevitabili riflessi sulle altre due componenti – poteva sintetizzare al meglio la complessità dell’ultimo atto di Qatar 2022? Elon Musk, maglietta maniche corte e capello trasandato, è stato l’invitato a sorpresa del gran finale. A questo punto non quello inaspettato. Aspirante star fra le stelle dello sport. Una di loro, domenica, non c’era. Ma Roger Federer – a riprova della forza travolgente della terza stella albiceleste – ha voluto riconoscere la grandezza di Lionel Messi con parole di spessore. «Ancora una volta hai ridefinito la grandezza». Ecco, forse esiste una sfida che ha conosciuto un grado di drammaticità e di spettacolo paragonabile alla finalissima del Mondiale. Wimbledon, Roger che serve, avanti 8-7 40-15 nel quinto. Come Kolo Muani, al 122’ e una cinquantina di secondi, si appresta a colpire nel cuore dell’area avversaria. Poi cambia la storia. Festeggia Djokovic, para Martinez, trionfano Messi e l’Argentina. Sia Leo, sia il Maestro – per fortuna – erano già i più grandi.